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Potere integrazione probatoria: limiti in appello?

Una donna, condannata per furto in concorso, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che la Corte d’Appello avesse illegittimamente esercitato il potere di integrazione probatoria, dato che il primo grado si era svolto con rito abbreviato. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, ribadendo il principio consolidato secondo cui il giudice d’appello può sempre disporre d’ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari alla decisione, ai sensi dell’art. 603, comma 3, c.p.p., anche quando il processo di primo grado si è celebrato con le forme del rito abbreviato.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Potere di Integrazione Probatoria in Appello: Chiarimenti dalla Cassazione

L’ordinanza in esame offre un’importante delucidazione su un tema cruciale della procedura penale: il potere di integrazione probatoria del giudice d’appello, specialmente quando il giudizio di primo grado si è svolto con il rito abbreviato. La questione centrale è se la scelta di un rito che si basa sugli atti precluda al giudice del secondo grado la possibilità di acquisire nuove prove. La Corte di Cassazione, con una decisione netta, conferma un orientamento ormai consolidato, respingendo le doglianze della ricorrente.

I Fatti del Caso: dal Tribunale alla Cassazione

Il caso ha origine da una condanna per furto in concorso emessa dal Tribunale di La Spezia. La sentenza è stata successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Genova. L’imputata, non rassegnata alla decisione, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un’unica, ma fondamentale, questione di diritto processuale.

Il Motivo del Ricorso: Potere del Giudice e Rito Abbreviato

Il fulcro del ricorso verteva sulla presunta violazione di legge da parte della Corte d’Appello. Secondo la difesa, i giudici di secondo grado avrebbero esercitato illegittimamente il potere di integrazione probatoria. La tesi si fondava sull’idea che, essendosi il primo grado celebrato con il rito abbreviato – un procedimento che si definisce “allo stato degli atti” – non fosse più possibile per il giudice d’appello disporre d’ufficio l’assunzione di nuove prove. L’esercizio di tale potere, secondo la ricorrente, avrebbe alterato la natura stessa del rito prescelto.

La Decisione della Corte e il Potere di Integrazione Probatoria

La Corte di Cassazione ha liquidato il ricorso come “manifestamente infondato”. I giudici supremi hanno ribadito che la tesi della ricorrente si pone in netto contrasto con la giurisprudenza di legittimità, ormai stabile e consolidata in materia. La Corte territoriale, secondo l’ordinanza, ha fatto una corretta applicazione dei principi di diritto vigenti.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Corte si basa su un principio cardine sancito dall’articolo 603, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma conferisce al giudice d’appello il potere di disporre “ex officio” (cioè di propria iniziativa) l’assunzione dei mezzi di prova che ritiene “assolutamente necessari” per l’accertamento dei fatti oggetto della decisione. La Cassazione chiarisce che questo potere non viene meno neanche nei casi in cui il giudizio di primo grado si sia svolto con il rito abbreviato.

La scelta del rito alternativo, sebbene limiti l’attività probatoria in primo grado, non può “congelare” il processo al punto da impedire al giudice dell’impugnazione di ricercare la verità, qualora lo ritenga indispensabile. Il potere del giudice è suppletivo: interviene per colmare eventuali lacune istruttorie che potrebbero compromettere la giustizia della decisione. Le parti, in questo contesto, non hanno un diritto a richiedere nuove prove, ma possono solo “sollecitare” il giudice a esercitare questo suo potere discrezionale.

Conclusioni

L’ordinanza in commento conferma con forza che la ricerca della verità processuale prevale sulla struttura formale del rito prescelto in primo grado. Il potere di integrazione probatoria del giudice d’appello è uno strumento fondamentale per garantire che la decisione finale sia fondata su un quadro conoscitivo il più completo possibile. Per gli avvocati e i loro assistiti, ciò significa che la scelta del rito abbreviato non rappresenta una garanzia assoluta che il materiale probatorio non possa essere ampliato in appello. Se il giudice di secondo grado ravvisa una necessità assoluta di approfondire alcuni aspetti, ha il pieno potere e dovere di farlo, agendo d’ufficio per il superiore interesse della giustizia.

In un processo d’appello che segue un giudizio abbreviato, il giudice può ammettere nuove prove?
Sì, secondo l’ordinanza, è consentito al giudice d’appello disporre “ex officio”, cioè di propria iniziativa, l’assunzione di nuovi mezzi di prova anche se il primo grado si è svolto con rito abbreviato.

A quali condizioni il giudice può disporre questa integrazione probatoria?
Il giudice può disporre l’assunzione di nuove prove solo se le ritiene “assolutamente necessari” per l’accertamento dei fatti che costituiscono l’oggetto della decisione, come previsto dall’art. 603, comma 3, del codice di procedura penale.

Le parti processuali possono chiedere l’ammissione di nuove prove in appello dopo un rito abbreviato?
No, le parti non hanno un diritto autonomo di chiedere l’ammissione di nuove prove. Possono unicamente “sollecitare” il giudice a esercitare i suoi poteri suppletivi di iniziativa probatoria, ma la decisione finale spetta discrezionalmente al giudice stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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