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Potere discrezionale del giudice: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso che contestava unicamente l’entità della pena. L’ordinanza chiarisce che il potere discrezionale del giudice nella determinazione della sanzione non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che la decisione non sia palesemente arbitraria o illogica, soprattutto se la pena inflitta è vicina al minimo edittale.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Potere discrezionale del giudice: quando la pena non si può contestare

L’esercizio del potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena rappresenta uno dei pilastri del sistema sanzionatorio penale. Tuttavia, quali sono i limiti entro cui un imputato può contestare la misura della sanzione inflitta? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. 7, Num. 30736/2024) offre chiarimenti cruciali, stabilendo l’inammissibilità di un ricorso basato unicamente sulla presunta eccessività della pena quando questa rientra nei confini della logicità e non si discosta significativamente dal minimo previsto dalla legge.

I Fatti del Caso: Un Ricorso contro la Misura della Pena

Il caso in esame ha origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Catania. L’unico motivo di doglianza sollevato dal ricorrente riguardava il trattamento sanzionatorio, ritenuto sproporzionato. In sostanza, la difesa non contestava la colpevolezza dell’imputato, ma si concentrava esclusivamente sulla richiesta di una riduzione della pena applicata dal giudice di merito.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Con una motivazione sintetica ma incisiva, i giudici hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: la graduazione della pena è un’attività che rientra pienamente nel potere discrezionale del giudice di merito e, come tale, non può essere oggetto di un riesame in Cassazione.

Oltre a respingere il ricorso, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione tipica per i ricorsi giudicati inammissibili.

Le Motivazioni: Il Limite al Potere Discrezionale del Giudice

Il cuore dell’ordinanza risiede nella spiegazione dei confini entro cui il potere discrezionale del giudice può essere esercitato e, di conseguenza, contestato. La Cassazione ha chiarito che un ricorso sulla quantificazione della pena è ammissibile solo in circostanze eccezionali, ovvero quando la determinazione del giudice di merito sia il risultato di “mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico”.

In altre parole, non basta che la pena appaia severa; è necessario dimostrare che la decisione del giudice sia stata del tutto irragionevole o priva di una motivazione sufficiente. La Corte ha inoltre specificato un punto fondamentale: quando la pena irrogata è pari o vicina al minimo edittale (il minimo previsto dalla legge per quel reato), il giudice non è tenuto a fornire una giustificazione espressa e dettagliata. In questi casi, la scelta di una sanzione contenuta è di per sé indicativa del fatto che il giudice ha implicitamente considerato i criteri di cui all’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole, etc.) in senso favorevole all’imputato.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la decisione impugnata fosse sorretta da una motivazione adeguata e non presentasse alcun vizio di manifesta illogicità, rendendo di fatto il ricorso privo di fondamento.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza rafforza il principio secondo cui la Corte di Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio di merito. Il suo compito non è ricalcolare la pena, ma assicurare la corretta applicazione della legge. Per gli operatori del diritto, la lezione è chiara: impugnare una sentenza solo per la misura della pena è una strategia processuale ad alto rischio di inammissibilità. Per avere successo, è indispensabile individuare e argomentare un vizio logico palese e incontrovertibile nel ragionamento del giudice che ha inflitto la sanzione. Diversamente, il ricorso si scontrerà con il solido principio del potere discrezionale del giudice, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

È possibile contestare in Cassazione una pena ritenuta troppo severa?
No, di regola non è possibile. La determinazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Un ricorso è ammissibile solo se si dimostra che la decisione è frutto di puro arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico, e non semplicemente perché si ritiene la sanzione eccessiva.

Il giudice deve sempre motivare in modo dettagliato la quantità di pena inflitta?
Non sempre. Secondo la Corte, se la pena applicata è vicina o corrispondente al minimo previsto dalla legge, non è necessaria una giustificazione espressa. Si presume infatti che il giudice abbia già valutato positivamente i criteri dell’art. 133 del codice penale, optando per una sanzione lieve.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la conferma della decisione impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come stabilito nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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