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Potere discrezionale del giudice: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due imputati che contestavano una pena superiore al minimo. La Corte ha riaffermato il principio del potere discrezionale del giudice nel determinare la sanzione, chiarendo che non esiste un diritto alla pena minima e che la valutazione del giudice di merito non è sindacabile se adeguatamente motivata e non illogica.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Potere discrezionale del giudice: quando la pena può superare il minimo

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione riafferma un principio cardine del nostro sistema penale: il potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena. La decisione chiarisce i limiti entro cui un imputato può contestare la misura della sanzione inflitta, sottolineando come non esista un vero e proprio ‘diritto’ a ricevere la pena minima prevista dalla legge. Analizziamo insieme questa pronuncia per capire meglio come funziona la graduazione della pena e quali sono i margini di sindacato della Suprema Corte.

I fatti del caso

Due soggetti presentavano ricorso in Cassazione contro una sentenza della Corte d’Appello. Le loro doglianze si concentravano su due aspetti principali: la mancata esclusione di una circostanza aggravante per uno dei due e, per entrambi, il fatto che la pena finale non fosse stata contenuta entro il minimo edittale, ovvero la soglia più bassa prevista dalla legge per quel reato. Sostanzialmente, i ricorrenti lamentavano una sanzione a loro dire eccessiva, auspicando un intervento della Suprema Corte per ridurla.

La decisione della Corte e il potere discrezionale del giudice

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, giudicandoli manifestamente infondati. Il cuore della decisione risiede nella netta riaffermazione del potere discrezionale del giudice di merito (cioè del Tribunale e della Corte d’Appello) nella quantificazione della pena. La Corte ha specificato che la scelta di fissare una pena base superiore al minimo legale, così come la gestione degli aumenti per le aggravanti o le diminuzioni per le attenuanti, è una prerogativa del giudice che ha valutato i fatti.

Questo potere non è assoluto, ma deve essere esercitato seguendo i criteri indicati dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono al giudice di tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole. Se questa valutazione è supportata da una motivazione logica, coerente e non arbitraria, non può essere messa in discussione in sede di legittimità.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si articolano su alcuni punti fondamentali. In primo luogo, viene ribadito che l’onere argomentativo del giudice d’appello sulla misura della pena era stato adeguatamente assolto. La sentenza impugnata, infatti, aveva spiegato in modo congruo sia le ragioni per l’applicazione della recidiva, sia i motivi che giustificavano una pena superiore al minimo.

In secondo luogo, e questo è il passaggio cruciale, la Cassazione ha smontato la pretesa dei ricorrenti di avere un inesistente ‘diritto al minimo della pena’. Secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, non esiste alcuna norma che obblighi il giudice a partire dal minimo edittale o a non discostarsene se non in presenza di circostanze eccezionali. La scelta rientra pienamente nella sua valutazione discrezionale.

Di conseguenza, un ricorso in Cassazione non può limitarsi a chiedere una nuova e più favorevole valutazione della congruità della pena. Il giudizio di legittimità ha il compito di verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione, non di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. L’intervento della Suprema Corte è consentito solo quando la decisione sulla pena appaia come frutto di puro arbitrio o si basi su un ragionamento palesemente illogico.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante promemoria sui ruoli e i limiti dei diversi gradi di giudizio. Essa consolida il principio secondo cui il potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena è ampio e insindacabile in Cassazione, a patto che sia esercitato in modo razionale e motivato. Per gli imputati e i loro difensori, ciò significa che un’eventuale impugnazione sulla misura della pena avrà successo solo se si è in grado di dimostrare un vizio logico o una violazione di legge nella motivazione della sentenza, e non semplicemente contestando l’entità della sanzione ritenuta troppo severa. La decisione finale sulla pena, se ben argomentata, rimane saldamente nelle mani del giudice che ha conosciuto direttamente il processo.

Un imputato ha diritto a ricevere sempre la pena minima prevista dalla legge?
No, secondo la Corte di Cassazione non esiste un ‘diritto al minimo della pena’. La determinazione della sanzione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che deve motivare la sua scelta in base ai criteri di legge.

In quali casi la Corte di Cassazione può modificare la quantità della pena inflitta?
La Corte di Cassazione non può effettuare una nuova valutazione sulla congruità della pena, ma può intervenire solo se la determinazione della stessa è il risultato di una decisione arbitraria o di un ragionamento palesemente illogico, e non è supportata da una motivazione sufficiente.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, i ricorrenti vengono condannati al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro stabilita dal giudice in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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