Potere discrezionale del giudice: la Cassazione chiarisce i limiti del sindacato
Il potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena rappresenta uno dei pilastri del nostro sistema sanzionatorio. Tuttavia, quali sono i confini di tale potere e quando è possibile contestarne l’esercizio in sede di legittimità? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 24223 del 2024, offre importanti chiarimenti, ribadendo principi consolidati in materia di motivazione della pena e inammissibilità del ricorso.
Il caso: una condanna e il ricorso in Cassazione
La vicenda processuale trae origine da una condanna per violazione della normativa sugli stupefacenti (art. 73 D.P.R. 309/1990). La Corte di Appello di Napoli, in sede di rinvio dalla Cassazione, aveva rideterminato la pena inflitta a un imputato in 10 mesi di reclusione e 1.000 euro di multa.
L’imputato, tramite il suo difensore, ha nuovamente presentato ricorso per Cassazione, lamentando una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione proprio in relazione al trattamento sanzionatorio applicato, ritenuto eccessivo.
Il potere discrezionale del giudice e l’obbligo di motivazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha colto l’occasione per riaffermare alcuni capisaldi della giurisprudenza in materia. Il punto centrale della decisione ruota attorno all’ampiezza del potere discrezionale del giudice di merito nella quantificazione della pena.
I criteri dell’art. 133 c.p. e la motivazione sintetica
Secondo la Corte, la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale è un’attività che rientra pienamente nella discrezionalità del giudice, il quale può adempiere al suo obbligo di motivazione anche valutando in modo globale e intuitivo gli elementi indicati dall’art. 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del reo).
Non è necessaria una disamina analitica di ogni singolo criterio. È sufficiente un’enunciazione, anche sintetica, che dia conto della valutazione compiuta. In particolare, la Corte ha specificato che quando la pena irrogata non supera la “media edittale” (il punto intermedio tra il minimo e il massimo), non è richiesta un’argomentazione particolarmente dettagliata. Il controllo della Cassazione, o “sindacato di legittimità”, interviene solo qualora la decisione sia palesemente arbitraria o basata su un ragionamento illogico, eventualità non riscontrata nel caso di specie.
L’inammissibilità del ricorso e le sue gravi conseguenze
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, una decisione che comporta conseguenze significative per il ricorrente.
L’impatto sulla prescrizione
Una delle implicazioni più rilevanti è l’impossibilità di dichiarare eventuali cause di non punibilità sopravvenute, come la prescrizione del reato. Citando un fondamentale principio delle Sezioni Unite (sentenza n. 32 del 2000), i giudici hanno spiegato che un ricorso manifestamente infondato non instaura un valido rapporto processuale di impugnazione. Di conseguenza, preclude al giudice di legittimità la possibilità di rilevare la prescrizione maturata nelle more del giudizio.
La condanna alle spese
All’inammissibilità del ricorso segue, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, non ravvisando ipotesi di esonero, la Corte ha condannato l’imputato al versamento di una somma, determinata in 3.000 euro, in favore della Cassa delle ammende.
Le motivazioni
La motivazione della Corte si fonda sulla natura del giudizio di legittimità, che non è un terzo grado di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice della fase precedente, ma solo verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione sia logica e non contraddittoria. Nel caso in esame, la Corte d’Appello aveva esercitato legittimamente il proprio potere discrezionale, fornendo una motivazione ritenuta adeguata al quantum di pena inflitto, rendendo così il ricorso privo di fondamento.
Le conclusioni
Questa ordinanza conferma che contestare la misura della pena in Cassazione è un’operazione complessa. Non è sufficiente un generico dissenso sulla quantificazione, ma è necessario dimostrare un vero e proprio arbitrio o un’illogicità manifesta nel ragionamento del giudice di merito. La decisione sottolinea l’importanza di formulare motivi di ricorso specifici e fondati, pena l’inammissibilità e le conseguenti sanzioni processuali ed economiche, oltre all’impossibilità di beneficiare di cause estintive del reato come la prescrizione.
Quando è possibile contestare in Cassazione la misura della pena decisa dal giudice?
È possibile contestarla solo quando la quantificazione della pena è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Non è sufficiente un semplice disaccordo con la valutazione del giudice, poiché rientra nel suo ampio potere discrezionale.
Il giudice è sempre obbligato a fornire una motivazione dettagliata sulla pena inflitta?
No. La motivazione può essere anche sintetica, purché dia conto dei criteri seguiti. In particolare, se la pena non supera la media tra il minimo e il massimo previsto dalla legge per quel reato, non è necessaria un’argomentazione più dettagliata.
Se un ricorso in Cassazione è dichiarato inammissibile, la prescrizione maturata nel frattempo può essere dichiarata?
No. Secondo la sentenza, l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza impedisce la formazione di un valido rapporto di impugnazione e, di conseguenza, preclude alla Corte di Cassazione la possibilità di dichiarare la prescrizione del reato, anche se maturata durante il giudizio di legittimità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24223 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24223 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SALERNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/03/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, su rinvio del Cassazione, ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME NOME in mesi 10 di re euro mille di multa per il reato di cui all’art. 73 DPR 309/1990.
L’imputato, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la s della Corte di appello, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in trattamento sanzionatorio.
Il ricorso è inammissibile.
Va infatti ricordato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati ne cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278). Il giudice del meri la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche s eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (S del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754). La pena è stata i misura non superiore alla media edittale e, in relazione ad essa, non era dunque un’argomentazione più dettagliata da parte del giudice (Sez. 3, n. 38251 del 1 Rignanese, Rv. 267949). Il sindacato di legittimità è infatti ammissibile sol quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico nè che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli dedotti dalla p sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevan tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei m consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la p dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art.129 c.p.p. ivi compresa l intervenuta nelle more del giudizio di legittimità ( Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, – 01 ).
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla C ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese p e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 29 maggio 2024
LI Consigl” re estensore
Presidente