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Potere discrezionale del giudice: quando è legittimo

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una pena per spaccio, riaffermando l’ampio potere discrezionale del giudice nella quantificazione della sanzione entro i limiti edittali. La Corte ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello sufficiente, anche se sintetica, poiché la pena irrogata non superava la media edittale e non vi era traccia di arbitrarietà.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Potere discrezionale del giudice: la Cassazione chiarisce i limiti del sindacato

Il potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena rappresenta uno dei pilastri del nostro sistema sanzionatorio. Tuttavia, quali sono i confini di tale potere e quando è possibile contestarne l’esercizio in sede di legittimità? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 24223 del 2024, offre importanti chiarimenti, ribadendo principi consolidati in materia di motivazione della pena e inammissibilità del ricorso.

Il caso: una condanna e il ricorso in Cassazione

La vicenda processuale trae origine da una condanna per violazione della normativa sugli stupefacenti (art. 73 D.P.R. 309/1990). La Corte di Appello di Napoli, in sede di rinvio dalla Cassazione, aveva rideterminato la pena inflitta a un imputato in 10 mesi di reclusione e 1.000 euro di multa.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha nuovamente presentato ricorso per Cassazione, lamentando una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione proprio in relazione al trattamento sanzionatorio applicato, ritenuto eccessivo.

Il potere discrezionale del giudice e l’obbligo di motivazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha colto l’occasione per riaffermare alcuni capisaldi della giurisprudenza in materia. Il punto centrale della decisione ruota attorno all’ampiezza del potere discrezionale del giudice di merito nella quantificazione della pena.

I criteri dell’art. 133 c.p. e la motivazione sintetica

Secondo la Corte, la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale è un’attività che rientra pienamente nella discrezionalità del giudice, il quale può adempiere al suo obbligo di motivazione anche valutando in modo globale e intuitivo gli elementi indicati dall’art. 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del reo).

Non è necessaria una disamina analitica di ogni singolo criterio. È sufficiente un’enunciazione, anche sintetica, che dia conto della valutazione compiuta. In particolare, la Corte ha specificato che quando la pena irrogata non supera la “media edittale” (il punto intermedio tra il minimo e il massimo), non è richiesta un’argomentazione particolarmente dettagliata. Il controllo della Cassazione, o “sindacato di legittimità”, interviene solo qualora la decisione sia palesemente arbitraria o basata su un ragionamento illogico, eventualità non riscontrata nel caso di specie.

L’inammissibilità del ricorso e le sue gravi conseguenze

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, una decisione che comporta conseguenze significative per il ricorrente.

L’impatto sulla prescrizione

Una delle implicazioni più rilevanti è l’impossibilità di dichiarare eventuali cause di non punibilità sopravvenute, come la prescrizione del reato. Citando un fondamentale principio delle Sezioni Unite (sentenza n. 32 del 2000), i giudici hanno spiegato che un ricorso manifestamente infondato non instaura un valido rapporto processuale di impugnazione. Di conseguenza, preclude al giudice di legittimità la possibilità di rilevare la prescrizione maturata nelle more del giudizio.

La condanna alle spese

All’inammissibilità del ricorso segue, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, non ravvisando ipotesi di esonero, la Corte ha condannato l’imputato al versamento di una somma, determinata in 3.000 euro, in favore della Cassa delle ammende.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla natura del giudizio di legittimità, che non è un terzo grado di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice della fase precedente, ma solo verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione sia logica e non contraddittoria. Nel caso in esame, la Corte d’Appello aveva esercitato legittimamente il proprio potere discrezionale, fornendo una motivazione ritenuta adeguata al quantum di pena inflitto, rendendo così il ricorso privo di fondamento.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma che contestare la misura della pena in Cassazione è un’operazione complessa. Non è sufficiente un generico dissenso sulla quantificazione, ma è necessario dimostrare un vero e proprio arbitrio o un’illogicità manifesta nel ragionamento del giudice di merito. La decisione sottolinea l’importanza di formulare motivi di ricorso specifici e fondati, pena l’inammissibilità e le conseguenti sanzioni processuali ed economiche, oltre all’impossibilità di beneficiare di cause estintive del reato come la prescrizione.

Quando è possibile contestare in Cassazione la misura della pena decisa dal giudice?
È possibile contestarla solo quando la quantificazione della pena è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Non è sufficiente un semplice disaccordo con la valutazione del giudice, poiché rientra nel suo ampio potere discrezionale.

Il giudice è sempre obbligato a fornire una motivazione dettagliata sulla pena inflitta?
No. La motivazione può essere anche sintetica, purché dia conto dei criteri seguiti. In particolare, se la pena non supera la media tra il minimo e il massimo previsto dalla legge per quel reato, non è necessaria un’argomentazione più dettagliata.

Se un ricorso in Cassazione è dichiarato inammissibile, la prescrizione maturata nel frattempo può essere dichiarata?
No. Secondo la sentenza, l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza impedisce la formazione di un valido rapporto di impugnazione e, di conseguenza, preclude alla Corte di Cassazione la possibilità di dichiarare la prescrizione del reato, anche se maturata durante il giudizio di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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