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Potere discrezionale del giudice: il limite del ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che contestava la misura della pena. La decisione riafferma il principio del potere discrezionale del giudice nella determinazione della sanzione, che non è sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è logica e congrua, basata su elementi come la natura del reato e i precedenti dell’imputato.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Potere discrezionale del giudice: quando la pena non è contestabile

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sul potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena. Quando un giudice di merito fornisce una motivazione logica e coerente per la sua decisione, la Corte Suprema non può intervenire per modificarla. Analizziamo come questo principio sia stato applicato in un caso concreto di ricorso avverso la quantificazione della sanzione.

I Fatti del Caso

Un soggetto condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello ha presentato ricorso in Cassazione. Le sue lamentele non riguardavano la colpevolezza, ma esclusivamente la severità della pena inflitta. In particolare, il ricorrente contestava due aspetti:
1. Il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella loro massima estensione possibile.
2. L’applicazione di una pena pecuniaria superiore al minimo previsto dalla legge.

In sostanza, l’imputato chiedeva una pena più mite, ritenendo che i giudici dei gradi precedenti non avessero valutato adeguatamente gli elementi a suo favore.

La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha respinto le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. La decisione si fonda su un caposaldo del nostro sistema giudiziario: la graduazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere, se esercitato nel rispetto dei principi stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, non può essere oggetto di una nuova valutazione da parte della Corte di legittimità. Il compito della Cassazione, infatti, non è decidere se una pena più mite sarebbe stata più “giusta”, ma verificare se la decisione del giudice inferiore sia viziata da errori logici, arbitrarietà o carenza di motivazione.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha ritenuto che i giudici di appello avessero pienamente adempiuto al loro onere motivazionale. La decisione di non concedere la massima riduzione per le attenuanti e di fissare una pena pecuniaria superiore al minimo era stata giustificata in modo congruo e specifico. I giudici avevano basato il loro potere discrezionale su elementi concreti e pertinenti, tra cui:

* La natura del bene oggetto del reato: Si trattava di un “bene mobile registrato”, la cui sottrazione è considerata di maggiore gravità.
* Le concrete modalità del fatto: Le circostanze specifiche in cui il reato è stato commesso.
* I precedenti penali dell’imputato: La storia criminale del soggetto è un fattore rilevante ai sensi dell’art. 133 c.p.

La Cassazione ha chiarito che il giudice non è tenuto a un’analisi minuziosa di ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole. È sufficiente che, in una visione d’insieme, indichi quali fattori ha ritenuto prevalenti e decisivi per giungere a una determinata quantificazione della pena. Nel caso di specie, la motivazione è stata giudicata sufficiente, logica e non contraddittoria, rendendo così l’impugnazione inammissibile.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: non si può ricorrere in Cassazione semplicemente perché non si è soddisfatti dell’entità della pena. Per avere successo, è necessario dimostrare un vizio specifico nella motivazione del giudice, come un’evidente illogicità o l’assenza totale di giustificazione. Il potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena è ampio e, se ancorato a criteri legali e a una motivazione adeguata, diventa insindacabile in sede di legittimità. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, a conferma della temerarietà del suo ricorso.

Quando è possibile contestare in Cassazione la misura di una pena?
È possibile contestare la misura della pena solo se la motivazione del giudice di merito è illogica, arbitraria o del tutto assente. Non è possibile chiedere alla Corte di Cassazione una nuova valutazione sulla congruità della pena se la decisione è sorretta da una motivazione sufficiente.

Perché nel caso specifico le attenuanti generiche non sono state applicate nella massima estensione?
Perché i giudici hanno valutato negativamente alcuni elementi specifici, quali la natura del bene ricettato (un bene mobile registrato), le concrete modalità del fatto e i precedenti penali dell’imputato. Questi fattori hanno giustificato una riduzione della pena inferiore al massimo consentito.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la Corte di Cassazione non esamina il merito della questione. Il provvedimento impugnato diventa definitivo e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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