Potere Discrezionale del Giudice: Quando la Scelta sulla Pena è Insindacabile
L’ordinanza n. 12387/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sul potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena e sui limiti entro cui tale potere può essere contestato in sede di legittimità. Spesso, l’esito di un processo penale si concentra non solo sull’accertamento della colpevolezza, ma anche sulla quantificazione della sanzione. Questa decisione, tuttavia, non è arbitraria, ma guidata da precisi criteri di legge. Vediamo come la Suprema Corte ha affrontato il caso.
I Fatti del Caso: La Contestazione sulla Sanzione
Il caso riguarda un soggetto condannato per il delitto di cui all’art. 457 del codice penale. Dopo una prima condanna, la Corte d’Appello aveva già parzialmente riformato la sentenza, riducendo la pena inflitta. Nonostante ciò, l’imputato ha deciso di ricorrere in Cassazione, sollevando un unico motivo: la violazione di legge e il vizio di motivazione per la mancata applicazione della sola sanzione pecuniaria.
In sostanza, la difesa sosteneva che il giudice avrebbe dovuto limitarsi a imporre una multa, senza applicare pene più afflittive. La richiesta si basava su una diversa interpretazione degli elementi che il giudice deve considerare per commisurare la pena.
La Decisione della Cassazione e il Potere Discrezionale del Giudice
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento processuale: la valutazione degli elementi per la determinazione della pena è una prerogativa del giudice di merito, il cui esercizio del potere discrezionale del giudice non è censurabile in Cassazione se la motivazione fornita è logica, coerente e non manifestamente errata.
le motivazioni
La Corte ha spiegato che il giudice d’appello aveva correttamente motivato la sua decisione, basandosi sugli elementi previsti dall’art. 133 del codice penale. In particolare, erano stati considerati due fattori decisivi:
1. I precedenti penali: L’imputato non era incensurato e aveva precedenti specifici, indicativi di una certa propensione a delinquere.
2. La pervicacia: La condotta dell’imputato, caratterizzata dalla consumazione di un reato continuato, dimostrava una particolare ostinazione nel violare la legge.
Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello ha fornito una giustificazione congrua e logica per non applicare la sola pena pecuniaria. Il tentativo della difesa di proporre una diversa valutazione di questi elementi, suggerendo che altri fattori avrebbero dovuto prevalere, è stato considerato un tentativo di riesaminare il merito dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Il ricorso è stato quindi definito “versato in fatto”, ovvero concentrato su una rivalutazione delle prove e delle circostanze che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado.
le conclusioni
Con questa ordinanza, la Suprema Corte ribadisce che il potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena è ampio, ma non illimitato. È ancorato ai criteri dell’art. 133 c.p. e deve essere supportato da una motivazione adeguata. Tuttavia, una volta che tale motivazione sia stata fornita in modo logico e coerente, non è possibile ricorrere in Cassazione semplicemente perché non si condivide la valutazione del giudice. L’inammissibilità del ricorso ha comportato per l’imputato non solo la condanna al pagamento delle spese processuali, ma anche il versamento di una somma alla Cassa delle ammende, a sanzione di un’impugnazione palesemente infondata.
Posso contestare in Cassazione la scelta del giudice sulla misura della pena?
No, non se la contestazione si basa su una diversa valutazione dei fatti. Il ricorso in Cassazione è ammissibile solo se si lamenta una violazione di legge o un vizio logico manifesto nella motivazione del giudice, non per chiedere una semplice riconsiderazione degli elementi già valutati nel merito.
Quali elementi considera il giudice per decidere la pena?
Il giudice esercita il suo potere discrezionale basandosi sui criteri dell’art. 133 del codice penale, che includono la gravità del reato (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e modalità dell’azione) e la capacità a delinquere del colpevole (precedenti penali, condotta di vita, etc.).
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente (come nel caso di motivi manifestamente infondati), la legge (art. 616 c.p.p.) prevede che il ricorrente sia condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12387 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12387 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce che ha ridetermiNOME in mitius la pena inflitta e ha confermato nel resto la decisione di primo grado ch ne aveva affermato la responsabilità per il delitto di cui all’art. 457 cod. pen.
considerato che l’unico motivo di ricorso – con cui si denunciano la violazione della l penale e il vizio di motivazione in ragione della mancata applicazione della sola sanzione pecuni – è manifestamente infondato e versato in fatto, in quanto la Corte distrettuale ha dato con maniera congrua e logica degli elementi rientranti nel novero di quelli previsti dall’art. 133 co che ha considerato preponderanti nell’esercizio del potere discrezionale ad essa riservato (cfr. S 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549 – 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 COGNOME, Rv. 271269 – 01), richiamando i precedenti penali, anche specifici, dell’imput evidenziandone la pervicacia palesata dalla consumazione del reato continuato di cui è stato ritenu responsabile; e tale iter non può essere ritualmente censurato mediante la prospettazione di elementi di fatto, ad avviso della difesa, meritevoli di vaglio né perorando un diverso apprezzamento pregiudizi riportati dal ricorrente;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui conse ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 13/12/2023.