Potere Discrezionale del Giudice: Quando la Cassazione Dichiara Inammissibile il Ricorso sulla Pena
L’esercizio del potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena è uno dei cardini del nostro sistema penale. Tuttavia, i confini di tale discrezionalità e le possibilità di contestarla sono spesso oggetto di dibattito. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del sindacato di legittimità su questo aspetto, stabilendo che un ricorso basato esclusivamente sulla presunta eccessività della pena, se la motivazione del giudice di merito è logica e sufficiente, è destinato all’inammissibilità.
Il Contesto del Caso: Violazione delle Misure di Prevenzione
Il caso analizzato trae origine dalla condanna di un individuo per il reato previsto dall’art. 76, comma 3, del D.Lgs. 159/2011. La Corte d’Appello di Bologna aveva confermato la sentenza di primo grado, che infliggeva una pena di due mesi di arresto, pur concedendo le circostanze attenuanti generiche. La condanna prevedeva inoltre che, una volta espiata la pena, il soggetto fosse ricondotto nel luogo di rimpatrio designato.
I Motivi del Ricorso: Una Censura sul Trattamento Punitivo
L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando l’erronea applicazione della legge penale, in particolare dell’art. 133 del codice penale, che regola i criteri per la commisurazione della pena. Secondo la difesa, la motivazione della Corte d’Appello era carente, contraddittoria e manifestamente illogica nel giustificare l’entità della sanzione. In sostanza, il ricorso non contestava la colpevolezza, ma mirava a ottenere una riduzione della pena ritenuta sproporzionata.
Il potere discrezionale del giudice e la decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale del giudizio di legittimità. La valutazione sull’adeguatezza della pena rientra pienamente nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere, se esercitato correttamente, non è sindacabile in sede di Cassazione. I giudici hanno sottolineato come il ricorso, di fatto, si traducesse in una critica di merito, volta a ottenere una nuova e diversa valutazione degli elementi già considerati dalla Corte d’Appello, un’operazione preclusa alla Cassazione.
I Criteri Valutati dalla Corte d’Appello
La decisione della Corte d’Appello non era affatto immotivata o illogica. Al contrario, era fondata su una valutazione concreta di specifici elementi, quali:
– La personalità dell’imputato, definita come “propensa a delinquere”.
– La durata della violazione, poiché il soggetto non si era mai allontanato dal territorio in cui non poteva stare.
– I precedenti penali specifici, che indicavano una recidività nel comportamento illecito.
I Limiti del Giudizio di Legittimità
La Cassazione ha ricordato che il giudice di merito, per adempiere al suo obbligo di motivazione, non è tenuto a un’analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione. È sufficiente che indichi i fattori determinanti per la sua decisione. Se tale percorso argomentativo è immune da vizi logici, la scelta è insindacabile. Nel caso di specie, la motivazione è stata ritenuta “sofficiente e non illogica”, chiudendo così ogni spazio per una rivalutazione.
Le Motivazioni
La Corte ha ritenuto che la censura dell’appellante investisse direttamente il potere discrezionale del giudice di merito, esercitato in conformità con i principi degli artt. 132 e 133 del codice penale. La motivazione della sentenza impugnata non è apparsa né frutto di arbitrio né illogica. L’entità della pena e la sua diminuzione per le attenuanti sono state giustificate in modo articolato, facendo richiamo a elementi concreti come la personalità dell’imputato, la persistenza della violazione e i suoi precedenti penali. La giurisprudenza consolidata, citata nell’ordinanza, conferma che il giudice di merito può limitarsi a indicare gli elementi determinanti per la sua scelta, e tale scelta è insindacabile in sede di legittimità se non presenta vizi logici evidenti.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame riafferma un principio cruciale: il potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena è ampio, ma non arbitrario. La sua decisione, tuttavia, può essere contestata in Cassazione solo per vizi di legittimità, come una motivazione manifestamente illogica o totalmente assente, e non per una diversa valutazione del merito. Quando la motivazione, seppur sintetica, si basa su elementi concreti e segue un ragionamento coerente, il ricorso volto a ottenere una pena più mite è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa da un giudice?
No, se la decisione è basata sul potere discrezionale del giudice e supportata da una motivazione logica e non contraddittoria. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti per decidere una pena diversa, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.
Quali elementi può considerare un giudice per decidere l’entità di una pena?
Il giudice può valutare diversi elementi indicati dall’art. 133 del codice penale, come la personalità dell’imputato, la sua propensione a delinquere, la durata della violazione e i suoi precedenti penali, come è stato fatto in questo caso.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non lo esamina nel merito. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1598 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1598 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARI il 28/05/1966
avverso la sentenza del 23/03/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e IN DIRITTO
Rilevato che, con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna, resa dal Tribunale in sede, nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 76, comma 3, d. Igs. n. 159 del 2011, alla pena di mesi due di arresto concesse le circostanze attenuanti generiche, disponendo che, a pena espiata, il contravventore sia tradotto nel luogo di rimpatrio.
Considerato che il motivo dedotto (inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 133 cod. pen. e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione) non è consentito in sede di legittimità perché devolve censura in fatto e, comunque, inerente al trattamento punitivo, benché sorretto da sofficiente e non illogica motivazione, con adeguato esame delle deduzioni difensive (cfr. p. 4 della sentenza di secondo grado).
Reputato, altresì, che la censura investe il potere discrezionale dei giudice di merito esercitato, nella specie, in aderenza ai principi fissati dagli artt. 132 133 cod. pen., dandone conto con ragionamento che non risulta frutto di mero arbitrio né illogico, posto che l’entità della pena e la misura della stessa derivata all’esito della diminuzione per la concessione delle circostanze attenuanti, fonda su giustificazioni sufficientemente articolate in quanto operano richiamo alla personalità propensa a delinquere, alla durata della violazione (per non essersi mai allontanato, in sostanza, dal territorio di Bologna), ai precedenti penali anche specifici (nel senso che la misura della diminuzione della pena, per ciascuna delle circostanze attenuanti applicate, costituisce oggetto di facoltà discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere al relativo obbligo di motivazione, non è tenuto a una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola indicazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento : Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016 – dep. 2017, S., Rv. 269196 – 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/08/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142).
Ritenuto che deriva, da quanto sin qui esposto, l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, determinata equitativamente nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 dicembre 2023
Il Presidente