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Potere discrezionale del giudice e limiti al ricorso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso contro la misura della pena, ribadendo un principio fondamentale: il potere discrezionale del giudice di merito nella determinazione della sanzione non è sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è sufficiente e non illogica. L’impugnazione è stata respinta perché mirava a una rivalutazione dei fatti, compito precluso alla Suprema Corte.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Potere discrezionale del giudice: quando la Cassazione non può intervenire

L’Ordinanza n. 1595/2024 della Corte di Cassazione riafferma un principio cardine del nostro sistema processuale: i limiti invalicabili del giudizio di legittimità di fronte al potere discrezionale del giudice di merito nella commisurazione della pena. Questo provvedimento offre uno spunto prezioso per comprendere perché non ogni doglianza sulla severità di una condanna può trovare accoglimento presso la Suprema Corte.

Il Caso in Esame: Una Condanna e il Ricorso in Cassazione

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo, confermata in appello, alla pena di due mesi di arresto per la violazione delle prescrizioni imposte da una misura di prevenzione, reato previsto dall’art. 76, comma 2, del d.lgs. 159/2011. Al condannato erano state concesse le circostanze attenuanti generiche.

Insoddisfatto della quantificazione della pena, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge penale (in particolare dell’art. 133 c.p., che elenca i criteri per la determinazione della pena) e una motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. In sostanza, il ricorrente contestava il trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo.

I Limiti del Giudizio di Legittimità e il Potere Discrezionale del Giudice

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo in modo netto la propria funzione. Il ricorso, sebbene formalmente basato su una presunta violazione di legge, in realtà mirava a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e della congruità della pena. Questo tipo di valutazione, tuttavia, è di esclusiva competenza dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere oggetto del giudizio di legittimità.

La Suprema Corte non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono riesaminare le prove o l’opportunità di una decisione, ma un organo che vigila sulla corretta applicazione del diritto e sulla logicità della motivazione. Le censure che si risolvono in una critica al potere discrezionale del giudice nella scelta della pena, se questa è sorretta da una motivazione coerente, sono destinate a essere respinte.

Le Motivazioni

Nel motivare la propria decisione, la Corte ha sottolineato che la sentenza d’appello impugnata presentava una motivazione “sofficiente e non illogica”. I giudici di secondo grado avevano adeguatamente considerato le deduzioni difensive e fondato la loro decisione su elementi concreti, come le modalità del fatto e la pericolosità dell’agente.

La Corte ha inoltre ribadito un importante principio giurisprudenziale: nell’esercitare il proprio potere discrezionale, il giudice non è tenuto a un’analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione. È sufficiente che indichi i fattori determinanti che lo hanno guidato nella scelta, purché il ragionamento sia immune da vizi logici. La concessione delle attenuanti generiche e la conseguente diminuzione della pena erano già il risultato di una valutazione discrezionale che aveva portato a una sanzione definita “già moderata”.

Conclusioni

L’ordinanza in esame è emblematica nel tracciare la linea di demarcazione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. La determinazione della pena è una delle massime espressioni del potere discrezionale del giudice, il quale deve bilanciare le esigenze di prevenzione generale e speciale con la personalità del reo e la gravità del fatto. Finché questa valutazione è ancorata ai criteri di legge e supportata da una motivazione logica e non contraddittoria, essa risulta insindacabile in sede di Cassazione. La decisione serve da monito: un ricorso che si limiti a criticare l’entità della pena senza individuare un reale vizio di legge o un’aperta illogicità della motivazione è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È possibile contestare in Cassazione la misura della pena decisa dal giudice?
No, non è possibile se la contestazione riguarda il merito della decisione, ovvero una nuova valutazione sulla congruità della pena. Il ricorso in Cassazione è ammissibile solo per vizi di legge o per una motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, non per chiedere una sanzione diversa.

Cosa significa che il giudice ha un “potere discrezionale” nel determinare la pena?
Significa che, all’interno dei limiti minimi e massimi previsti dalla legge per un reato, il giudice ha la facoltà di scegliere la sanzione più adeguata al caso concreto, basandosi sui criteri indicati dall’art. 133 del codice penale (come la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole).

Il giudice deve motivare in modo analitico perché ha scelto una certa pena?
No. Secondo l’ordinanza, per adempiere all’obbligo di motivazione, il giudice non è tenuto a un’analitica enunciazione di tutti gli elementi considerati, ma può limitarsi a indicare quelli determinanti per la sua decisione, a condizione che il ragionamento sia logico e coerente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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