Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3742 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 3742  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Finale Emilia il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/11/2022 della Corte d’appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente COGNOME NOME, di replica alle conclusioni del Pubblico Ministero e con le quali il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 07/11/2022, la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza del 17/11/2020 del Tribunale di Modena di condanna di NOME COGNOME alla pena di nove mesi di arresto ed C 1.500,00 di ammenda per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di possesso ingiustificato di un tronchese in ferro, strumento atto ad aprire o a sforzare serrature (art. 707 cod. pen.; capo A dell’imputazione) e di porto di una mazza da baseball (art. 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110; capo B dell’imputazione).
Avverso l’indicata sentenza del 07/11/2022 della Corte d’appello di Bologna, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta che il Tribunale di Modena, con l’ordinanza dibattimentale del 17/12/2020, non abbia ammesso le prove («Il giudice non ammette le prove stante il verbale di sequestro agli atti e dichiara chiusa l’istruttoria»), con particolare riferimento all’esame dell’imputato che era stato richiesto dal suo difensore, nonostante l’udienza del 17/12/2020 fosse un’udienza di “smistamento”, ai sensi del provvedimento del Presidente del Tribunale di Modena, alla quale l’imputato «ovviamente non comparso», «anziché rinviare a una successiva udienza», così «spiazza», con una decisione «imprevedibile», lo stesso imputato e «azzera il contraddittorio».
Il ricorrente precisa che il dibattimento era stato originariamente fissato per l’udienza del 19/05/2020, la quale poi, a causa dell’epidemia di Covid-19, era stata rinviata, fuori udienza, al 17/12/2020 (quando fu emessa la sentenza di primo grado), con un provvedimento nel quale si affermava «per i medesimi incombenti», e che lo stesso giudice di primo grado, non avendo autorizzato la citazione fuori udienza, aveva «riconosc implicitamente che si trattava di udienza di smistamento».
Pertanto, «l provvedimento del Presidente del Tribunale afferma che il diritto doveva essere esercitato nella successiva udienza, mentre l’ordinanza del Tribunale nega tale diritto», azzerando «tanto il diritto dell’imputato alla prova contraria, quanto il suo diritto a difendersi direttamente».
Il ricorrente reputa che tale asserita violazione del proprio legittimo affidamento integrerebbe una nullità assoluta, ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen., in quanto derivante dall’omessa citazione dell’imputato, atteso che «il contenuto della citazione è duplice e indivisibile; la citazione di cui parla l’art. 1 c.p.p. non consiste nel solo provvedimento materiale, nel “foglio” notificato all’imputato ma anche nella completa indicazione delle modalità, che il giudice indicherà in udienza, attraverso le quali saranno individuati giorno, ora e luogo del suo esame».
Il COGNOME deduce altresì che, poiché «la citazione dell’imputato per un’udienza che avrebbe dovuto essere di smistamento consente di affermare che egli non partecipò all’udienza per caso fortuito, contando legittimamente sulle indicazioni del Presidente del Tribunale», anche qualora si dovesse ritenere la sussistenza di una nullità a regime intermedio, la locuzione «immediatamente dopo», contenuta nell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., «comporta la necessità che l’imputato venga a conoscenza di quanto accaduto per poterlo eccepire, con
la conseguenza che la nullità fu ritualmente eccepita nel primo momento utile, e cioè nell’atto di appello.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., l’erronea interpretazione dell’art. 707 cod. pen. e la mancanza o contraddittorietà della motivazione con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di possesso ingiustificato di un tronchese in ferro.
Il ricorrente deduce che l’affermazione della Corte d’appello di Bologna secondo cui «il giustificato motivo richiamato dalle norme incriminatrici in oggetto deve essere reso nell’immediatezza del controllo e contestualmente verificabile dagli inquirenti» – con la conseguente asserzione che l’imputato si era «risolto solo all’odierna udienza a dichiarare che il mezzo era di proprietà della ditta del figlio, che la tronchese serviva per lavorare» – sarebbe smentita da Sez. 2, n. 4436 del 24/11/2021, COGNOME, non massimata, dalla quale si trarrebbe la possibilità per l’imputato di giustificare l’attuale destinazione degli oggetti indicati nell’art. cod. pen. anche in un momento successivo rispetto all’accertamento del possesso degli stessi oggetti da parte della polizia giudiziaria.
Dalla citata erronea affermazione sarebbe quindi conseguito che la Corte d’appello di Bologna aveva omesso di verificare se la spiegazione che era stata data dall’imputato secondo cui il furgone da lui condotto era di proprietà dell’impresa di distribuzione di carburanti e officina di proprietà del figlio (com era stato anche documentalmente provato) e il tronchese era un attrezzo da lavoro della stessa impresa fosse idonea a integrare giustificazione della reale lecita destinazione del tronchese.
Il ricorrente asserisce inoltre che anche gli elementi che egli aveva da poco ottenuto la riabilitazione da reati commessi in gioventù e lavorava nella menzionata impresa del figlio avrebbero dovuto essere valutati al fine di ritenere la sussistenza dell’anzidetta giustificazione.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge e la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione con riguardo sia al «giustificato motivo che toglie alla mazza da baseball la caratteristica di strumento utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona», sia ai «criteri di valutazione del fatto di lieve entità» previsto dal secondo periodo del terzo comma dell’art. 4 della legge n. 110 del 1975.
Sotto il primo aspetto, il ricorrente rappresenta che egli dichiarò che nel furgone da lui condotto c’erano anche il guanto e la palla per giocare a baseball e che il maresciallo COGNOME dichiarò di non ricordare quali altri oggetti (oltre tronchese e alla mazza da baseball) vi fossero nello stesso furgone. Ciò
rappresentato, il COGNOME deduce che «la circostanza che il maresciallo COGNOME non ricordi cosa c’era sul mezzo impone di affermare che è contraddittorio affermare che manca la prova della utilizzabilità per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona». Inoltre, il fatto, valorizzato dalla Corte d’appello di Bologna che egli fosse stato controllato di notte non rileverebbe al fine di ritenere che la mazza da baseball fosse «chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona».
Sotto il secondo aspetto, il ricorrente lamenta la mancanza della motivazione in ordine al proprio motivo di appello con il quale aveva chiesto che, in relazione all’«oggetto materiale della contravvenzione», il caso fosse ritenuto di lieve entità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
L’imputato, il cui esame era stato richiesto dal suo difensore, era infatti assente all’udienza del 17/11/2022, la quale si è tenuta come un’udienza di effettiva trattazione. A tale proposito, non si può ritenere rilevare il fatto che, sensi del provvedimento del Presidente del Tribunale di Modena (il cui punto 6, che viene in qui rilevo, è stato trascritto nel ricorso), nella prima udienza d comparizione, «di regola», non «si dà corso all’esame di imputati», atteso che la locuzione «di regola» – la quale va intesa come “normalmente”, “di solito” -, non escludendo, perciò, in modo assoluto che, nella stessa udienza, si esamini l’imputato, non appare in grado di ingenerare una legittima contraria aspettativa dello stesso imputato. Pertanto, il fatto che il Tribunale di Modena abbia proceduto alla trattazione della causa senza esaminare l’imputato perché assente non integra alcuna ipotesi di nullità.
A tale proposito, si deve altresì rammentare il principio, che è stato più volte ribadito dalla Corte di cassazione e che è condiviso dal Collegio, secondo cui il mancato svolgimento dell’esame dell’imputato che ne abbia fatto preventiva richiesta e non si sia opposto alla chiusura dell’istruzione dibattimentale – come è accaduto nel caso di specie – non realizza alcuna violazione del diritto di difesa che determini nullità, in quanto il predetto può chiedere in ogni momento (anche in secondo grado) di rendere dichiarazioni (Sez. 2, n. 23186 del 02/05/2019, COGNOME, Rv. 275785-01; Sez. 6, n. 1081 del 11/12/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 245707-01; Sez. 6, n. 42442 del 20/10/2003, COGNOME, Rv. 226928-01). Dichiarazioni che il COGNOME ha peraltro effettivamente reso nel corso del giudizio di secondo grado davanti alla Corte d’appello di Bologna, la quale, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., ha ritenuto assolutamente necessario sia esaminare l’imputato sia escutere il maresciallo dei Carabinieri NOME COGNOME che aveva proceduto al controllo del COGNOME e alla perquisizione e al sequestro del
tronchese e della mazza da baseball rinvenuti in suo possesso; con la conseguente insussistenza di qualsiasi effettivo pregiudizio del diritto di difesa.
In ogni caso, anche a volere ritenere la sussistenza di una nullità, questa, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente: a) non si potrebbe reputare assoluta, ai sensi dell’art. 179, comma 1, cod. proc. pen., atteso che, come è stato giustamente rilevato dalla Corte d’appello di Bologna, nel caso in esame, l’imputato era stato regolarmente citato per l’udienza del 17/11/2020 – nella quale, come si è detto, poteva darsi corso al suo esame – il che esclude, di per sé, che si possa trattare di nullità «derivant dall’omessa citazione dell’imputato»; b) qualora reputata a regime intermedio, essa, a norma dell’art. 182 cod. proc. pen., poiché la parte vi aveva assistito, avrebbe dovuto essere eccepita, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non nell’atto di appello, ma alla stessa udienza del 17/11/2020, nella quale, invece, il difensore dell’imputato non la eccepì né richiese il rinvio a un’udienza successiva per procedere all’esame dell’imputato.
2. Il secondo motivo non è manifestamente infondato, con la conseguenza che, poiché si deve ritenere formato un valido rapporto d’impugnazione, deve essere rilevata la prescrizione del reato.
L’art. 707 cod. pen. prevede che «chiunque, essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, è colto in possesso di chiavi alterate o contraffatte, ovvero di chiavi genuine o di strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature, dei quali non giustifichi l’attuale destinazione, è punito con l’arresto d sei mesi a due anni».
Dal testo di tale disposizione si ricava perciò che, in presenza del dato soggettivo costituito dalle menzionate qualità personali dell’agente (l’essere stato condannato in via definitiva per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio) e del dato oggettivo costituito dal possesso dei menzionati oggetti (chiavi alterate o contraffatte, ovvero chiavi genuine o strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature), la prova della giustificazione attuale e lecita degli stessi deve essere fornita dall’imputato, essendo la pubblica accusa esente dall’onere di dare la prova della destinazione illecita dei medesimi.
Dalla stessa disposizione si desume altresì che, per pervenire a una pronuncia assolutoria, è necessaria la prova piena che l’agente, nel momento in cui venne sorpreso in possesso degli oggetti in considerazione, aveva la necessità o, comunque, un giusto motivo di portarli con sé per servirsene, o per essersene poco prima servito, per un uso legittimo.
In proposito, la Corte di cassazione ha affermato il principio secondo cui, in tema di possesso ingiustificato di arnesi atti allo scasso, previsto dall’art. 707 cod. pen., è sufficiente, ai fini della configurabilità del reato, il suddetto possesso o loro immediata disponibilità, incombendo all’imputato l’obbligo di dare una seria giustificazione della destinazione attuale e lecita degli strumenti rinvenuti presso di lui (Sez. 2, n. 52523 del 03/11/2016, Cicchi, Rv. 268410-01; Sez. 5, n. 1304 del 14/11/1985, dep. 1986, COGNOME, Rv. 171854-01; Sez. 5, n. 8315 del 06/06/1984, COGNOME, Rv. 166010-01; Sez. 6, n. 478 del 01/12/1971, COGNOME, Rv. 119942-01).
Ciò posto, la questione che viene qui in rilievo attiene alle modalità di assolvimento di tale onere probatorio dell’imputato, con particolare riguardo al momento in cui egli deve fornire la giustificazione che è prevista dalla norma incriminatrice ai fini dell’esclusione della rilevanza penale del fatto. Si tratta specie, di stabilire se tale giustificazione possa essere fornita solo immediatamente, cioè al momento della sorpresa “in flagranza” da parte dei verbalizzanti (quando l’agente «è colto in possesso»), o possa essere fornita anche in un momento successivo.
Con riguardo a tale questione, la Corte d’appello di Bologna ha fatto propria la tesi secondo cui la giustificazione de quo «deve essere res nell’immediatezza del controllo e contestualmente verificabile dagli operanti».
Tale tesi si pone peraltro in contrasto con l’opposto orientamento della Corte di cassazione secondo cui la disposizione di cui all’art. 707 cod. pen. pone a carico del detentore – per le sue qualità personali – l’onere di dare la prova che gli oggetti rinvenuti in suo possesso sono destinati ad un uso legittimo, ma non fissa alcun limite temporale entro il quale tale giustificazione deve essere fornita né tantomeno richiede che ciò possa legittimamente avvenire solo al momento della sorpresa in flagranza, come se fosse preclusa qualsiasi possibilità di successiva utile deduzione difensiva; è sempre compito del giudice di merito, infatti, valutare se la prova della legittimità della detenzione degli oggetti predetti, comunque fornita, sia stata o meno raggiunta e, specialmente nelle ipotesi di tardiva discolpa, motivare adeguatamente le ragioni del suo convincimento (Sez. 2, n. 6929 del 14/06/1996, COGNOME, Rv. 205411-01. Nello stesso senso, successivamente: Sez. 2, n. 4436 del 24/11/2021, dep. 2022, COGNOME, non massimata).
Per tale ragione, il motivo di ricorso non si può ritenere manifestamente infondato.
Tuttavia, con riguardo a tale orientamento, il Collegio ritiene di dovere precisare che, affinché possa valere a integrare la necessaria prova piena di cui si è detto, la giustificazione “tardiva” (rispetto al momento della sorpresa “in flagranza”) – pur possibile e legittima, nell’esercizio del diritto di dif
dell’imputato – debba essere resa dallo stesso imputato in un momento in cui ne sia ancora possibile la verifica, nel senso della possibilità di verificare che, in qu momento in cui l’agente fu colto in possesso dell’arnese da scasso, esso fosse effettivamente destinato, o fosse stato poco prima effettivamente destinato, a un uso legittimo.
Tale possibilità di verifica è infatti necessaria, tenuto conto del fatto ch l’imputato, diversamente dal testimone, non ha l’obbligo di dire la verità, ma ha anzi il diritto, oltre che di tacere, anche di mentire nel processo, senza che da ciò possano derivargli conseguenze negative.
Si deve pertanto ritenere che una spiegazione “tardiva”, se resa dall’imputato in un momento in cui essa non è più verificabile, nei termini che si sono detti, non è in sé idonea a integrare la giustificazione richiesta dall’art. 707 cod. pen. al fine di escludere la rilevanza penale del possesso degli oggetti (idonei ad aprire o a sforzare serrature) che sono indicati nello stesso articolo.
Il Collegio ritiene altresì opportuno ribadire che, poiché, come si è ricordato, la giustificazione del possesso di tali strumenti deve essere relativa alla loro «attuale destinazione», all’imputato è richiesto di spiegare a cosa gli servissero quegli strumenti nel momento in cui fu fermato e non di dare una spiegazione (quand’anche plausibile) sull’utilizzo che, in genere, veniva fatto degli stessi strumenti, con la conseguenza che il semplice fatto di svolgere un’attività lavorativa che, in astratto, può giustificare l’uso di un determinato strumento non ne rende lecito il porto al di fuori dei casi di immediata utilizzazione dello stesso i detta attività (Sez. 2, n. 52523 del 03/11/2016, Cicchi, cit.).
Fatte tali precisazioni, come si è anticipato, si deve rilevare la prescrizione del reato. In proposito, si deve infatti osservare che: a) il reato di cui all’art. 707 c pen. si prescrive in quattro anni; b) attesa la sussistenza di atti interruttivi d corso della prescrizione, tale interruzione non può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, con la conseguenza che lo stesso reato si prescrive in cinque anni; c) poiché il reato è stato commesso il 10/01/2018, esso si è prescritto il 10/01/2023.
Il terzo motivo è manifestamente infondato.
3.1. Cominciando dalla ritenuta sussistenza del reato, si deve anzitutto rammentare che la Corte di cassazione ha chiarito che gli oggetti indicati specificamente nella prima parte dell’art. 4, secondo comma, della legge n. 110 del 1975, sono equiparabili alle armi improprie, per cui il loro porto costituisce reato alla sola condizione che avvenga «senza giustificato motivo», mentre per gli altri oggetti, non indicati in dettaglio, cui si riferisce l’ultima parte della disposizione, occorre anche che appaiano «chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona» (Sez. 2, n. 15908 del
08/03/2022, COGNOME, Rv. 283101-01; Sez. 7, n. 34774 del 15/01/2015, Cinnpoesu, Rv. 264771; Sez. 1, n. 32269 del 03/07/2003, COGNOME, Rv. 225116-01).
Da ciò consegue che, poiché fra gli oggetti specificamente indicati nella prima parte dell’art. 4, secondo comma, della legge n. 110 del 1975, figurano anche le «mazze», il porto senza giustificato motivo, fuori della propria abitazione, di una mazza da baseball costituisce reato anche qualora non emergano circostanze di tempo e di luogo indicative della sua chiara utilizzabilità per l’offesa alla persona (Sez. 7, n. 34774 del 15/01/2015, Cimpoesu, cit.; Sez. 1, n. 32269 del 03/07/2003, COGNOME, cit.).
Ciò posto, occorre quindi valutare esclusivamente se il porto, da parte dell’imputato, fuori della sua abitazione, della mazza da baseball si potesse ritenere giustificato in relazione a un uso lecito di tale strumento.
A tale proposito, si deve ancora rammentare che la Corte di cassazione, alla luce della struttura della fattispecie incriminatrice de quo in cui l’anzidetta giustificazione costituisce un’eccezione alla configurabilità del reato – ha affermato che tale eccezione può trovare applicazione solo quando la situazione di fatto alla quale essa si riferisce sia pienamente provata e che l’onere di provare tale situazione incombe sull’imputato che la deduca (Sez. 6, n. 17777 del 29/09/1989, Tornei, Rv. 182923-01; Sez. 6, n. 9369 del 18/07/1094, COGNOME, Rv. 16638901).
Nel caso in esame, il COGNOME ha dedotto che, sul furgone da lui condotto, oltre alla mazza da baseball, vi sarebbero stati anche un guanto e una palla da baseball, con ciò intendendo evidentemente giustificare il porto della suddetta mazza in relazione all’uso lecito della stessa costituito dalla pratica dello sport del baseball.
Tale dedotta giustificazione non si può tuttavia ritenere in alcun modo provata, atteso che la situazione di fatto alla quale essa si riferisce, cioè l presenza, all’interno del furgone, anche di un guanto e di una palla da baseball, come è stato correttamente evidenziato dalla Corte d’appello di Bologna, non aveva trovato riscontro né nel verbale di perquisizione e sequestro né nella deposizione del maresciallo COGNOME che aveva eseguito tali attività di ricerca della prova, il quale non aveva riferito del rinvenimento di un guanto e di una palla da baseball e al quale, peraltro, la difesa dell’imputato, nonostante l’evidente rilevanza del tema, in sede di controesame, non aveva rivolto alcuna domanda sul punto.
Né risulta che, come è stato sostenuto dal ricorrente, il COGNOME abbia dichiarato di non ricordare quali oggetti vi fossero sul furgone oltre alla mazza da baseball e al tronchese. Il testimone, semplicemente, non menzionò la presenza né di un guanto né di una palla da baseball e, a tale proposito, si deve ritenere del tutto
congrua la motivazione della Corte d’appello di Bologna secondo cui «non si vede  per quale ragione il teste dovesse omettere una circostanza così importante nel corso del proprio esame», come pure la già ricordata sottolineatura del fatto che la difesa dell’imputato, in modo ritenuto non illogicamente «significativo», non formulò alcuna domanda al testimone sul punto, nonostante la sua evidente rileva nza.
3.2. Quanto alla negazione della sussistenza della circostanza attenuante del caso di lieve entità, prevista dal secondo periodo del terzo comma dell’art. 4 della legge n. 110 del 1975, si deve osservare che, contrariamente a quanto è stato sostenuto dal ricorrente – secondo cui «anca inoltre qualsiasi motivazione sul motivo di appello col quale si chiedeva che l’oggetto materiale della contravvenzione di cui all’art. 4 co. 3 I. n. 110/1975 configurasse l’attenuante del fatto lieve, se non altro per la palese inoffensività» – la Corte d’appello di Bologna ha motivato in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto l’insussistenza della suddetta circostanza attenuante, argomentando che la lievità del caso doveva essere esclusa in ragione sia della «potenzialità lesiva della mazza da baseball» sia del fatto che l’imputato stava circolando con la stessa «in piena notte». Motivazione con la quale il ricorrente, sull’erroneo presupposto della sua insussistenza, ha del tutto omesso di confrontarsi.
In conclusione: a) la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo A) dell’imputazione, il quale deve essere dichiarato estinto per prescrizione, con la conseguente eliminazione del relativo aumento di pena per la continuazione nella misura di due mesi di arresto ed C 500,00 di ammenda; b) il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A), che dichiara estinto per prescrizione, eliminando il relativo aumento di pena in continuazione nella misura di mesi due di arresto ed euro cinquecento di ammenda. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 30/11/2023.