Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 21003 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 21003 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/05/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta presentata – ex art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con modif. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 – dal Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 maggio 2023 la Corte di appello di Palermo, a seguito del gravame interposto da NOME COGNOME, ha confermato la pronuncia del 28 settembre 2021 con la quale il G.u.p. del Tribunale di Palermo, all’esito di giudizio abbreviato, One aveva affermato l responsabilità per i delitti di cui agli artt. 110, 640 cod. pen. (capo 1. della rubrica) e agl 61, comma 1, n. 2, 497-bis, comma 2, cod. pen. (capo 2.), commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, e l’aveva condanNOME alla pena ritenuta di giustizia, oltre al pagamento delle spese processuali.
Avverso la decisione di appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, formulando quattro motivi (di seguito esposti nei limiti di cui all’art. 173, comma d. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo ha dedotto la violazione dell’art. 497-bis cod. pen. e il vizio motivazione, in quanto la Corte di merito (tra l’altro, ribadendo acriticamente la decisione primo grado):
avrebbe affermato la responsabilità dell’imputato per il delitto di cui al capo 2 nonostante ne sia oggetto materiale la copia fotostatica di un documento di identità falso (contenuto in un plico chiuso di cui il ricorrente è stato latore per conto del coimputa separatamente giudicato) e, dunque, difformemente da quanto chiarito dalla giurisprudenza e, in particolare, dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 35814 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 276285 – 01);
gli avrebbe attribuito l’elemento soggettivo del reato con un’argomentazione viziata (non emergendo alcuna prova che il plico fosse aperto e il contenuto sia stato visto dal COGNOME ed anzi deponendo in senso contrario il suo comportamento allorché è stato convocato dalla polizia giudiziaria);
avrebbe ritenuto l’ipotesi di cui all’art. 497-bis, comma 2, cit., in mancanza della prova di un suo concorso nel confezionamento del documento falso e nonostante non possa sostenersi che gli lo abbia detenuto fuori dai casi di uso personale, ipotesi in contrasto la contestazione d delitto di truffa (capo 1.), che il ricorrente avrebbe commesso utilizzando la falsa fotocopia.
2.2. Con il secondo motivo sono stati prospettati la violazione degli artt. 497-bis e 489 cod. pen. e il vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto di cui al 2., nell’ipotesi di uso di atto falso, per il tramite di un’argomentazione in contrasto con qua chiarito da Sez. U, n. 35814/2019, cit., atteso che la condotta del ricorrente ha avuto ad oggetto una copia non autenticata di un documento di identità, utilizzato non per l’identificazione del stesso imputato ma per l’avvio di un’impresa individuale strumentale alla commissione di una truffa (di cui egli non avrebbe dovuto essere ritenuto responsabile: cfr. terzo motivo).
2.3. Con il terzo motivo sono stati prospettati la violazione degli artt. 640 e 61, comma 1, n. 2, cod. pen. e il vizio di motivazione, in quanto – con un iter illogico e in contrasto con la giurisprudenza di legittimità – si sarebbe affermata la responsabilità del COGNOME, a tito concorso, per il delitto di truffa (capo 1.) valorizzando il rilievo della sua condotta (la cons
del documento di cui al capo 2.) rispetto alla commissione di essa, ossia la mera idoneità di essa, in assenza della prova di un suo concreto e consapevole contributo rilevante ex art. 110 cod. pen.
2.4. Con il quarto motivo sono stati denunciati la violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, negate per il tramite dell’apodittico richiamo delle modalità della condotta e del danno ingente arrecato, senza considerare «la sostanziale incensuratezza» dell’imputato (che ha riportato una sola condanna con decreto penale) e la sua «condotta procedimentale».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato, nei termini di seguito esposti, rimanendo assorbito il secondo e il quarto motivo. È, invece, inammissibile il terzo motivo.
Il primo motivo di ricorso, relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputato p il delitto previsto dall’art. 497-bis, comma 2, cod. pen. (capo 2. della rubrica), è fondato nei termini che seguono.
Dalla ricostruzione del fatto compiuta dai Giudici di merito non si trae con chiarezza se il COGNOME abbia in effetti detenuto un falso documento di identità (apparentemente rilasciato a NOME COGNOME, soggetto inesistente, su cui era apposta la foto del coimputato NOME COGNOME, zio del COGNOME) o (come prospetta il ricorso e come già assunto con l’atto di appello solo una copia di esso, utilizzata per l’avvio dell’impresa individuale (la cui ditta sarebbe st spesa per commettere il delitto di truffa). Difatti:
la sentenza di appello ha affermato che il COGNOME ha detenuto «un documento di identità falso» e ne ha esibito copia al AVV_NOTAIO per «l’apertura di una partita IVA» a nome del COGNOME, escludendo rilevanza – nell’ottica difensiva – alla dedotta detenzione solo di una copia (richiamando il principio posto da Sez. U, n. 35814/2019, COGNOME, cit., secondo cui «la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo c la copia assuma l’apparenza di un atto originale»); la medesima sentenza – allorché ha avuto riguardo all’elemento soggettivo del reato – ha poi affermato che il COGNOME «ha detenuto copia» della carta di identità de qua;
-la pronuncia di primo grado, nella parte in cui ha richiamato la deposizione dello AVV_NOTAIO (chiarendo che egli aveva curato la presentazione della richiesta di assegnazione della partita IVA per via telematica), ha fatto riferimento all’esibizione da parte del COGNOME «di una carta identità all’evidenza falsa»; purtuttavia, nel prosieguo, ha negato rilevanza – al fine di esclude la responsabilità dell’imputato – all’esibizione da parte sua di «una fotocopia della carta identità», sempre richiamando Sez. U, n. 35814/2019, COGNOME, cit.; inoltre, il dato dell’effetti possesso da parte del COGNOME del documento di identità contraffatto non si trae dall’esito dell investigazioni (riportate dal primo Giudice) che hanno condotto la polizia giudiziaria a «entra in possesso della carta di identità» apparentemente rilasciata al COGNOME, poiché la stessa
sentenza ha dato conto della trasmissione, da parte dell’Ufficio postale dal quale era stata rilasciata la carta Postepay utilizzata della truffa, degli atti relativi alla medesima carta postale, inclusa «la carta di identità della persona» (non specificata) «che ne aveva chiesto il rilascio» espressione che tuttavia deve riferirsi alla copia del documento di identità (non essendo previsto il trattenimento dell’originale del documento di identità da parte dell’ufficio postale).
1.1. Tanto premesso, ad avviso del Collegio, non si può trarre dal principio posto da Sez. U, n. 35814/2019, COGNOME, cit. per la falsità in atti, l’irrilevanza del possesso della sola c fotostatica di un documento falso valido per l’espatrio, invece che del documento contraffatto, rispetto alla sussistenza delle ipotesi di reato punite dall’art. 497-bis cod. pen.
Vero è, infatti, che – come già osservato – «la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale» (Sez. U, n. 35814/2019, cit.); e che l’Alto Consesso – nel delineare i limiti de rilevanza penale della «contraffazione che si realizza mediante la formazione di un atto in realtà inesistente» compiuta mediante «l’utilizzo di una falsa copia», pervenendo all’elaborazione del principio appena esposto – ha a chiare lettere condiviso «quel filone interpretativo» già presente nella giurisprudenza di legittimità, «che meglio ne definisce l’ambito di estensione incentrando la sua attenzione sulle ipotesi in cui la copia di un documento si presenti o venga esibita con caratteristiche tali, di qualsiasi guisa, da voler sembrare un originale, ed averne l’apparenza», ovvero «la sua formazione sia idonea e sufficiente a documentare nei confronti dei terzi l’esistenza di un originale conforme», caso in cui «la contraffazione si ritiene sanzionabile ex artt. 476 o 477 cod. pen., secondo la natura del documento che mediante la copia viene in realtà falsamente formato o attestato esistente (cfr., in motivazione, Sez. 5, n. 7385 del 14/12/2007, dep. 2008, Favia, Rv. 239112; v., inoltre, Sez. 5, n. 9366 del 22/05/1998, Celestini, Rv. 211443). Entro tale prospettiva, a ben vedere, deve ritenersi indifferente la circostanza fatto legata alla materiale esistenza o meno dell’atto “originale” rispetto al quale dovrebb operarsi il raffronto comparativo con la copia, perché l’intervento falsificatorio effettuato con modalità della contraffazione assume come riferimento non tanto la copia in sé, quanto il falso contenuto dichiarativo o di attestazione apparentemente mostrato dalla natura della copia formata ed esibita dall’agente, laddove l’atto originale non esiste affatto ovvero, se realmente esistente, rimane inalterato e comunque estraneo alla vicenda»: in tale ipotesi, «la falsità materiale si concentra sull’esistenza stessa dell’oggetto documentato, ma non investe, nella realtà, un documento pubblico, bensì solo una copia informe» la quale «nell’intenzione dell’agente destinata a provare artificiosamente l’esistenza» del primo (Sez. U, n. 35814/2019, cit.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tuttavia, deve considerarsi che:
«le fattispecie di possesso e fabbricazione di documenti d’identità falsi di cui all’art. 4 bis c.p. sono state introdotte dal legislatore tra i reati contro la fede pubblica nel capo dedic a quelli concernenti le falsità personali al fine di rendere più severa la repressione penale de comportamenti tesi ad ostacolare l’identificazione delle persone (come suggerisce la stessa
rubrica dell’articolo del d.l. n. 144 del 2005 incriminazioni sia innanzi tutto la pubblica fede personale, ancor tutelato in maniera indiretta, tanto da rimanere sullo sfondo, attraverso la punizione di condotte che sembrano anticipare perfino il pericolo di una lesione o che comunque si rivelano solo astrattamente idonee a generarlo. Ciò che rileva ai fini della sussistenza del reato è infatti già materiale falsificazione dell’atto certificativo o il mero possesso del documento contraffatto» non rilevandone, invece, l’uso (al di là della genesi storica della norma, contenuta nel citat decreto legge contenente «misure urgenti per il contrasto al terrorismo internazionale», in ossequio alla Convenzione del RAGIONE_SOCIALE d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani del 16 maggio 2005» (cfr. Sez. 5, n. 4029 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267355 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 40272 del 11/07/2016, COGNOME, Rv. 267791 – 01, e Sez. 5, n. 39408 del 18/07/2012, COGNOME, Rv. 253579 – 01);
– tanto che la giurisprudenza ha evidenziato la «radicale diversità» tra l’uso di atto fals (incrimiNOME dall’art. 489 cod. pen.) e il possesso o la fabbricazione di documenti di identificazione falsi (previsti dall’art. 497-bis cod. pen.), proprio sotto il profilo del bene giuridico tutelato, ritenendo «eloquente la diversa collocazione sistematica delle due norme, essendo la prima inserita nel capo 2, titolo 3, libro 2, dedicato alla falsità in atti, mentre la seco collocata nel capo 4 dedicato alle falsità personali, ad evidente significazione che la ratio è la tutela non della genuinità del documento in sé, quanto l’affidabilità dell’identificazione personale ovviamente vulnerata dall’uso di un documento falso ai fini dell’espatrio» (Sez. 5, n. 15833 del 27/01/2010, COGNOME, n.m.; cfr. pure Sez. 5, n. 40272 del 11/07/2016, COGNOME, Rv. 267791 – 01: «integra il delitto di cui all’art. 497-bis cod. pen. il mero possesso di un documento falso valido per l’espatrio o la materiale falsificazione dello stesso, indipendentemente dall’uso che il soggetto agente intenda farne, in quanto l’aver circoscritto l’oggetto materiale del reato ai suddet documenti trova la sua giustificazione nella ritenuta maggiore pericolosità delle condotte che li riguardano e non nella intenzione di punire soltanto le condotte di effettiva agevolazione all’espatrio o all’ingresso»).
Di conseguenza, perché ricorra una delle ipotesi di cui all’art. 497-bis cod. pen., occorre che oggetto materiale del reato sia il documento valido per l’espatrio, per l’appunto, falso e non la sua fotocopia utilizzata come tale, ossia proprio quale copia (vale a dire che «non si presenti o venga esibita con caratteristiche tali, di qualsiasi guisa, da voler sembrare un originale, e averne l’apparenza»: Sez. U, n. 35814/2019, cit.); in altri termini, non può sussumersi nell’art 497-bis il solo possesso di una copia, esibita come tale, che potrà essere ritenuto rappresentativo (ossia avere efficacia probatoria), per il tramite di una congrua argomentazione, del possesso effettivo del documento contraffatto, questo sì incrimiNOME dall’art. 497-bis cod. pen. (sol che si pensi che la giurisprudenza ha già chiarito che, «per l’integrazione del delitto di possesso di documenti di identificazione falsi», non è «necessaria una contiguità fisica, attuale e costante, tra il documento ed il soggetto agente, essendo sufficiente che questi detenga o abbia detenuto,
anche prima dell’accertamento del fatto da parte della polizia giudiziaria, l’atto certificativo i luogo e con modalità tali da assicurarsene l’immediata disponibilità»: Sez. 5, n. 14029/2016, cit.; Sez. 5, n. 17944 del 19 marzo 2014, Sino, Rv. 259075).
Il che non conduce a negare la rilevanza penale aliunde delle ipotesi in cui la formazione della copia falsa del documento di identità valido per l’espatrio sia idonea e sufficiente documentare nei confronti dei terzi l’esistenza di un originale conforme, ipotesi in cui conformità all’insegnamento di Sez. U, n. 35814/2019, cit. – la falsità in atti (e non personal sarà sanzionabile, «secondo la natura del documento che mediante la copia viene in realtà falsamente formato o attestato esistente (e del soggetto agente), a mente degli artt. 477 (e 482 cod. pen., se il fatto è commesso da un privato), quale falsità materiale in certifica amministrativo (cfr. Sez. 5, n. 14548 del 12/01/2023, COGNOME, Rv. 284296 – 01); e l’utilizz della copia potrà pure in rilievo sub specie del delitto di truffa (cfr. Sez. 5, n. 2935 del 05/11/2018 – dep. 2019, COGNOME, Rv. 274589 – 02; Sez. 5, n. 1926 del 06/12/2017 – dep. 2018, COGNOME, Rv. 272323 – 01).
Ne deriva, l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 2) della rubrica, con rinvio per nuovo giudizio – da compiersi secondo i princìpi sopra esposti ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo. Restano assorbiti il secondo e il quarto motivo di ricorso.
Il terzo motivo di ricorso, inerente al delitto di cui agli artt. 640 e 61, comma 1, cod. pen. (capo 1.) è inammissibile, poiché privo della necessaria specificità (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, COGNOME, Rv. 254584 – 01).
La prospettazione difensiva non si è confronta compiutamente con la sentenza impugnata, che non si è espressa affatto in termini di mera idoneità del fatto del COGNOME, m ha attribuito ad esso efficienza causale nella concreta articolazione della truffa, avendo negato – alla luce della ricostruzione dell’occorso, in forza anzitutto delle dichiarazioni del AVV_NOTAIO COGNOME difetto di consapevolezza dell’imputato della falsità della copia della carta di identità (s sufficienza, a tal fine della copia, si è detto retro), in difetto di elementi da cui trarre che il plico fosse chiuso, elementi che il ricorso non adduce, non avendo dunque neppure compiutamente denunciato un travisamento della prova (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268360 01).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 2) della rubrica con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 22/02/2024.