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Possesso documento falso: Cassazione su art. 497 bis

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un individuo condannato per il possesso di un documento falso. La sentenza chiarisce che il reato di cui all’art. 497 bis c.p. è integrato anche quando il documento riporta la fotografia del possessore ma generalità altrui, poiché ciò dimostra la partecipazione alla falsificazione. La Corte ha inoltre confermato la correttezza della decisione dei giudici di merito di negare le attenuanti generiche, basandosi su elementi personali e fattuali ritenuti decisivi.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Possesso di Documento Falso: Quando la Propria Foto Diventa Prova di Reato

Il tema del possesso documento falso è di costante attualità e la giurisprudenza continua a delinearne i confini con precisione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre spunti cruciali per comprendere quando questa condotta integri il reato previsto dall’art. 497 bis del codice penale, specialmente in un caso apparentemente ambiguo: quello in cui sul documento figura la fotografia del possessore ma le generalità di un’altra persona. Analizziamo la decisione per capire la logica giuridica seguita dalla Suprema Corte e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso: Una Carta d’Identità con Sorpresa

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo, confermata sia in primo grado dal Tribunale di Firenze sia in appello, per i reati di cui agli articoli 497 bis (possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi) e 482 (falsità materiale commessa da privato) del codice penale. L’imputato era stato trovato in possesso di una carta d’identità che, sebbene riportasse la sua fotografia, conteneva dati anagrafici appartenenti a un’altra persona. Insoddisfatto della decisione della Corte d’Appello, l’imputato ha presentato ricorso per Cassazione.

L’Appello in Cassazione e i Motivi del Ricorso

Il ricorrente ha basato la sua difesa su due principali motivi:

1. Erronea applicazione della legge: Sosteneva che la sua condotta non potesse essere ricondotta al secondo comma dell’art. 497 bis c.p. e lamentava una violazione del principio di corrispondenza tra l’accusa formulata e la sentenza di condanna.
2. Mancato riconoscimento delle attenuanti: Contestava la decisione dei giudici di merito di non concedergli le circostanze attenuanti generiche e di applicare un aumento di pena per la continuazione ritenuto eccessivo.

Il Possesso di Documento Falso secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i motivi di ricorso inammissibili, ritenendoli manifestamente infondati. Vediamo nel dettaglio le argomentazioni della Corte.

La Riconducibilità all’art. 497 bis, comma 2, cod. pen.

Sul primo punto, la Corte ha stabilito che la riconduzione del fatto alla fattispecie di reato contestata è corretta. Citando un proprio precedente (Cass. Sez V, n.2650/22), ha ribadito un principio fondamentale: il possesso di un documento d’identità falso che reca la fotografia del possessore, ma generalità non veritiere, è una prova evidente della partecipazione del possessore stesso alla condotta penalmente rilevante. La presenza della propria immagine sul documento non è un elemento a discolpa, ma, al contrario, un indicatore inequivocabile del concorso nella falsificazione, finalizzata a creare un’identità fittizia ma utilizzabile.

L’Assenza di Violazione del Principio di Corrispondenza

Di conseguenza, la Corte ha respinto anche la doglianza relativa alla presunta violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza. I giudici hanno osservato che il capo di imputazione conteneva già tutti gli elementi costitutivi del reato, compreso quello dirimente: la presenza della foto dell’imputato sul documento. Questo elemento era sufficiente per qualificare correttamente il fatto e per individuare la sua diretta partecipazione, senza che vi fosse alcuna sorpresa o mutamento dell’accusa nel corso del processo.

Le Attenuanti Generiche e la Motivazione del Giudice

Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile. La Corte d’Appello, secondo la Cassazione, aveva adeguatamente motivato il diniego delle attenuanti generiche, facendo riferimento a precisi indici di natura personale e fattuale. In particolare, era stato valorizzato il tentativo dell’imputato di sottrarsi all’esecuzione di precedenti condanne, comportamento che deponeva a suo sfavore.

La Suprema Corte ha colto l’occasione per ricordare un importante orientamento giurisprudenziale: quando un giudice rigetta la richiesta di concessione delle attenuanti generiche, non è tenuto a esaminare e confutare ogni singolo elemento favorevole dedotto dalla difesa. Può, invece, limitarsi a indicare gli elementi che ha ritenuto decisivi per la sua scelta. Similmente, per quanto riguarda la determinazione della pena, una motivazione rafforzata è richiesta solo quando ci si discosta significativamente dal minimo edittale, cosa che non era avvenuta nel caso di specie.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano su una logica stringente e coerente con la giurisprudenza consolidata. La decisione di considerare la fotografia del possessore come prova della sua partecipazione al reato è centrale: impedisce che il possesso di un documento così confezionato possa essere considerato una condotta meno grave. La Corte ha inteso ribadire che l’utilizzo della propria immagine per avvalorare dati anagrafici falsi è l’essenza stessa della condotta fraudolenta sanzionata dalla norma. Per quanto riguarda le attenuanti, la Corte ha riaffermato l’ampia discrezionalità del giudice di merito nel valutare gli elementi fattuali e personali, purché la decisione sia sorretta da una motivazione logica e non palesemente contraddittoria, come nel caso esaminato.

le conclusioni

L’ordinanza in commento consolida l’interpretazione dell’art. 497 bis c.p. in materia di possesso documento falso. La decisione chiarisce che la presenza della propria foto su un documento con generalità altrui non attenua la responsabilità, ma anzi la aggrava, costituendo prova del concorso nel reato. Questo principio ha importanti implicazioni pratiche, poiché restringe notevolmente le possibilità difensive in casi analoghi. Inoltre, la pronuncia riafferma i limiti del sindacato di legittimità sulla valutazione delle circostanze attenuanti e sulla commisurazione della pena, ribadendo che il giudizio della Corte di Cassazione si concentra sulla correttezza giuridica e sulla logicità della motivazione, non sull’opportunità della decisione di merito.

Possedere un documento d’identità con la propria foto ma con generalità false costituisce reato?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che tale condotta integra il reato di cui all’art. 497 bis, comma 2, del codice penale, in quanto la presenza della foto del possessore dimostra in modo evidente la sua partecipazione alla condotta penalmente rilevante.

Quando un giudice nega le circostanze attenuanti generiche, deve giustificare la sua decisione su ogni singolo elemento a favore dell’imputato?
No, secondo la giurisprudenza citata nell’ordinanza, il giudice può limitarsi a fare riferimento agli elementi ritenuti decisivi o comunque più rilevanti per la sua decisione, senza dover analizzare tutti gli aspetti favorevoli o sfavorevoli emersi dalle carte processuali.

C’è violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza se la condanna si basa su una qualificazione del fatto che evidenzia il concorso dell’imputato nella falsificazione?
No, la Corte ha stabilito che non vi è alcuna violazione se il capo di imputazione indicava già tutti gli elementi costitutivi del reato, incluso quello (la presenza della foto dell’imputato) che è stato ritenuto decisivo per qualificare il fatto e individuare il suo concorso nella falsificazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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