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Possesso di stupefacenti: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per possesso di stupefacenti. La decisione si fonda sulla manifesta infondatezza dei motivi, evidenziando come la detenzione di un quantitativo idoneo a confezionare 405 dosi, unitamente a strumenti come un bilancino di precisione e un coltello, costituisca prova sufficiente dell’intento di spaccio, in assenza di prove contrarie sull’uso personale e sui mezzi economici per l’acquisto.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Possesso di Stupefacenti: La Cassazione Dichiara Inammissibile il Ricorso

L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come la Corte di Cassazione valuti i ricorsi in materia di possesso di stupefacenti, delineando i confini tra un’impugnazione fondata e una destinata all’inammissibilità. La Suprema Corte ha confermato la condanna di un soggetto, ritenendo le sue argomentazioni manifestamente infondate di fronte a un quadro probatorio che indicava chiaramente un’attività di spaccio, e non un mero uso personale. Analizziamo i dettagli della decisione.

I Fatti del Caso: Oltre la Semplice Detenzione

Il caso trae origine da una sentenza di condanna della Corte d’Appello. Durante una perquisizione domiciliare, le forze dell’ordine avevano rinvenuto un significativo quantitativo di sostanza stupefacente, sufficiente per il confezionamento di circa 405 dosi. Oltre alla droga, erano stati trovati elementi inequivocabili:

* Due piante di marijuana.
* Un involucro contenente 0,30 grammi di sostanza.
* Un bilancino di precisione.
* Un coltello con evidenti tracce della stessa sostanza stupefacente.

Di fronte a tali prove, la difesa dell’imputato non era riuscita a dimostrare né un uso personale così rilevante da giustificare la quantità, né la disponibilità economica per l’acquisto di tale quantitativo. Questi elementi, nel loro complesso, hanno indirizzato i giudici di merito verso la qualificazione del fatto come detenzione ai fini di spaccio.

Valutazione della Cassazione sul Possesso di Stupefacenti

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali, tutti respinti dalla Corte perché ritenuti palesemente infondati o generici.

Primo Motivo: Il Valore degli Indizi

La difesa sosteneva un’errata valutazione del quadro probatorio da parte della Corte d’Appello. La Cassazione ha ribattuto che la valutazione era stata, al contrario, logica e coerente. La presenza congiunta di un quantitativo ingente, di un bilancino e di un coltello intriso di sostanza costituisce un insieme di elementi idonei a dimostrare l’attività di preparazione e confezionamento delle dosi, superando l’ipotesi del consumo personale.

Secondo Motivo: La Speciale Tenuità del Fatto

Il ricorrente aveva tentato di sostenere che il presunto lucro derivante dall’attività fosse di ‘speciale tenuità’, così come l’evento dannoso. La Corte ha liquidato questo motivo come generico e manifestamente infondato, sottolineando come il quantitativo detenuto fosse tutt’altro che tenue.

Terzo Motivo: Pena e Attenuanti Generiche

L’ultimo motivo riguardava la misura della pena e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Anche in questo caso, la Cassazione ha dichiarato l’infondatezza del motivo. La Corte ha evidenziato che la decisione dei giudici di merito era basata sul ‘profilo personologico’ dell’imputato, caratterizzato da numerosi precedenti penali. La Suprema Corte ha ribadito di non poter entrare nel merito di una valutazione discrezionale del giudice, se correttamente motivata, come in questo caso.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi proposti non rappresentavano valide censure di legittimità, ma tentavano di sollecitare un nuovo giudizio sui fatti, attività preclusa in sede di legittimità. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta immune da vizi logici o giuridici. La concatenazione degli elementi probatori (quantità, strumenti, precedenti) formava una base solida e sufficiente per la condanna per possesso di stupefacenti ai fini di spaccio. La conseguenza dell’inammissibilità è stata non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa nell’aver promosso un ricorso privo di fondamento.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per contestare una condanna per spaccio, non basta negare l’intento. È necessario smontare pezzo per pezzo il castello accusatorio con argomentazioni solide e pertinenti. Un ricorso basato su critiche generiche alla valutazione delle prove o su una richiesta di riconsiderazione del merito è destinato al fallimento in Cassazione. La decisione sottolinea l’importanza del quadro indiziario complessivo: quando la quantità di droga è significativa e si accompagna a strumenti tipici dello spaccio, l’onere di provare l’esclusivo uso personale diventa estremamente gravoso per l’imputato.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi erano manifestamente infondati e miravano a ottenere un nuovo esame dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione. La valutazione delle prove da parte della Corte d’Appello è stata considerata logica e priva di vizi.

Quali prove sono state decisive per confermare la condanna per spaccio?
Le prove decisive sono state il notevole quantitativo di stupefacente (sufficiente per circa 405 dosi), la presenza di un bilancino di precisione, un coltello con tracce di droga e due piante di marijuana. Questi elementi, uniti, indicavano un’attività di preparazione per la vendita.

Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso inammissibile come questo?
L’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un ricorso basato su motivi palesemente infondati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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