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Possesso di stupefacenti: quando è reato di spaccio?

La Cassazione conferma la condanna per spaccio, respingendo la tesi dell’uso personale. Decisivi per la qualificazione del reato di possesso di stupefacenti la grande quantità di droga (oltre 1500 dosi), la presenza di bilancini e i precedenti penali specifici dell’imputato.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Possesso di stupefacenti: quando la quantità esclude l’uso personale?

Il confine tra uso personale e spaccio è uno dei temi più dibattuti nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quali elementi sono determinanti per qualificare il possesso di stupefacenti come un reato finalizzato alla cessione a terzi, escludendo l’ipotesi di una detenzione per consumo esclusivamente personale. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la sua condanna per spaccio sulla base di una valutazione complessiva degli indizi.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo trovato in possesso di un notevole quantitativo di sostanze stupefacenti. Durante una perquisizione domiciliare, l’imputato ha tentato di disfarsi dell’eroina gettandola nel water, rendendo difficoltoso il recupero da parte delle forze dell’ordine. L’analisi tecnica ha rivelato il possesso di 160,2 grammi di eroina, da cui si potevano ricavare ben 1563,5 dosi medie, e 5,1 grammi di marijuana, corrispondenti a 16 dosi. Oltre alla droga, sono stati rinvenuti quattro bilancini di precisione e materiale per il confezionamento. L’imputato, inoltre, aveva precedenti penali specifici per traffico di stupefacenti, come risultava dal certificato del casellario giudiziale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La difesa dell’imputato aveva basato il ricorso su due punti principali: la destinazione della droga a un uso esclusivamente personale e la richiesta di derubricazione del reato nell’ipotesi di ‘fatto di lieve entità’ (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90). La Corte di Cassazione ha rigettato entrambe le argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che i motivi del ricorso fossero una mera riproposizione di censure già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello, senza introdurre una critica specifica e puntuale alla motivazione della sentenza impugnata.

Le motivazioni: un’analisi complessiva degli indizi per il possesso di stupefacenti

La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza: per distinguere il possesso di stupefacenti per uso personale da quello finalizzato allo spaccio, il giudice deve compiere una valutazione globale di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto. Il solo dato quantitativo, sebbene importante, non è di per sé sufficiente a fondare una presunzione di spaccio. Tuttavia, la sua rilevanza indiziaria cresce proporzionalmente all’aumentare delle dosi ricavabili.

Nel caso specifico, gli elementi a carico dell’imputato erano schiaccianti e andavano ben oltre la mera quantità:
1. Quantità ingente: Oltre 1500 dosi di eroina sono state considerate incompatibili con un consumo puramente personale.
2. Strumentazione: La presenza di quattro bilancini di precisione e materiale per il confezionamento è un chiaro indicatore di un’attività di preparazione per la vendita.
3. Condotta dell’imputato: Il tentativo di occultare e distruggere la prova opponendosi alla perquisizione è stato valutato come un comportamento tipico di chi è consapevole di commettere un’attività illecita di spaccio.
4. Precedenti specifici: I precedenti penali per reati legati agli stupefacenti hanno ulteriormente rafforzato la convinzione dei giudici circa la destinazione della droga alla cessione a terzi.

La Corte ha inoltre specificato che l’ipotesi del ‘fatto di lieve entità’ non poteva essere accolta proprio a causa dell’eccezionale dato quantitativo e delle modalità complessive dell’azione, che denotavano una significativa offensività della condotta.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma che la valutazione sulla destinazione della droga non può basarsi su un singolo elemento, ma deve derivare da un’analisi logica e concatenata di tutti gli indizi disponibili. La quantità di sostanza detenuta, le modalità di conservazione, la presenza di strumenti per la pesatura e il confezionamento, e il profilo soggettivo dell’imputato (come i suoi precedenti) costituiscono un quadro probatorio che, se valutato nel suo insieme, può legittimamente condurre a una condanna per spaccio, escludendo sia l’uso personale sia la meno grave ipotesi del fatto di lieve entità.

La sola quantità di droga è sufficiente a determinare se si tratta di spaccio?
No, la giurisprudenza costante, ribadita in questa ordinanza, afferma che il solo dato quantitativo non determina una presunzione di spaccio. Tuttavia, acquista una maggiore rilevanza indiziaria all’aumentare delle dosi ricavabili e deve essere valutato insieme a tutti gli altri elementi del caso.

Quali elementi, oltre alla quantità, usa un giudice per distinguere l’uso personale dal possesso di stupefacenti finalizzato allo spaccio?
Il giudice valuta un insieme di circostanze, tra cui: le modalità di presentazione e confezionamento della sostanza, la presenza di strumenti come bilancini di precisione, la condotta dell’imputato al momento del controllo (es. tentativo di fuga o di disfarsi della droga) e i suoi precedenti penali specifici.

È possibile ottenere la qualifica di ‘fatto di lieve entità’ se si possiede una quantità di droga molto elevata?
È molto difficile. La Corte ha chiarito che l’ipotesi del ‘fatto di lieve entità’ presuppone una minima offensività penale della condotta. Un quantitativo eccezionalmente elevato, come le oltre 1500 dosi del caso in esame, è considerato un elemento ostativo al riconoscimento di tale attenuante, specialmente se unito ad altre circostanze che indicano un’attività di spaccio strutturata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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