LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Possesso di documenti falsi: quando è reato

Un soggetto, condannato per possesso di documenti falsi ai fini dell’espatrio, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che la carta d’identità non fosse un documento valido a tal fine. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la carta d’identità è titolo valido per viaggiare nell’UE e che le argomentazioni erano manifestamente infondate, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Possesso di Documenti Falsi: la Cassazione Conferma la Condanna

Il possesso di documenti falsi finalizzato all’espatrio costituisce un reato grave, le cui implicazioni sono state recentemente ribadite dalla Corte di Cassazione. Con l’ordinanza n. 14263 del 2024, la Suprema Corte ha affrontato il caso di un individuo condannato per tale illecito, chiarendo in modo definitivo la validità della carta d’identità come documento per l’espatrio e le conseguenze di un ricorso basato su argomentazioni palesemente infondate.

I Fatti del Processo

La vicenda giudiziaria ha origine con la condanna in primo grado emessa dal Tribunale di Roma nei confronti di un soggetto per il reato previsto dall’art. 497-bis, secondo comma, del codice penale, ossia il possesso di documenti di identificazione falsi validi per l’espatrio. La Corte d’Appello di Roma, in un secondo momento, aveva parzialmente riformato la sentenza, escludendo l’aggravante della recidiva e rideterminando la pena in un anno e sei mesi di reclusione.

Nonostante la riduzione di pena, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, contestando la decisione dei giudici di merito su due punti principali.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorrente ha basato la sua difesa su due motivi principali, entrambi volti a smontare l’impianto accusatorio:

1. Erronea applicazione della legge: Secondo la difesa, il reato non sussisteva perché la carta d’identità in suo possesso non avrebbe avuto il requisito della validità per l’espatrio, elemento ritenuto essenziale per la configurazione del delitto contestato.
2. Mancata riqualificazione del fatto: Si lamentava la mancata derubricazione del reato in un’ipotesi meno grave (primo comma dell’art. 497-bis c.p.) e la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis c.p.

La Valutazione della Corte sul Possesso di Documenti Falsi

La Corte di Cassazione ha esaminato entrambi i motivi di ricorso, giudicandoli entrambi “manifestamente infondati”. Questa valutazione ha portato a una dichiarazione di inammissibilità, chiudendo di fatto la porta a qualsiasi ulteriore discussione nel merito. I giudici hanno sottolineato come le tesi difensive si ponessero in netto e palese contrasto non solo con il dato normativo, ma anche con la giurisprudenza consolidata in materia.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha smontato le argomentazioni difensive con motivazioni nette e precise.

In primo luogo, ha ribadito un principio consolidato: la carta d’identità è a tutti gli effetti un titolo valido per l’espatrio non solo negli Stati membri dell’Unione Europea, ma anche in tutti quei Paesi con cui vigono specifici accordi internazionali. L’argomento del ricorrente è stato quindi giudicato privo di qualsiasi fondamento giuridico, poiché si basava su un’interpretazione errata della normativa vigente. La Corte ha richiamato una sua precedente pronuncia (Sez. 5, n. 47613 del 2019) a sostegno di questa pacifica interpretazione.

In secondo luogo, anche la richiesta di riqualificare il reato e di applicare l’art. 131-bis c.p. è stata respinta. La Corte ha rilevato che tale motivo, oltre a contrastare con la giurisprudenza, si basava su presunti vizi di motivazione (difetto, contraddittorietà, illogicità) che non emergevano affatto dalla sentenza impugnata. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile in toto.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma di principi giuridici fondamentali in materia di possesso di documenti falsi. La decisione sottolinea due aspetti pratici cruciali: primo, la carta d’identità è considerata un documento valido per l’espatrio in un’ampia area geografica, e la sua falsificazione integra una fattispecie di reato grave. Secondo, presentare un ricorso in Cassazione basato su motivi “manifestamente infondati” non solo non porta al risultato sperato, ma comporta conseguenze economiche significative per il ricorrente, come la condanna al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma alla Cassa delle ammende, fissata in questo caso a 3.000,00 euro.

È reato possedere una carta d’identità falsa anche se si sostiene che non sia valida per l’espatrio?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la carta d’identità è un documento valido per l’espatrio negli Stati membri dell’Unione Europea e in altri paesi convenzionati. Pertanto, il possesso di una carta d’identità falsa valida per l’espatrio integra il reato previsto dall’art. 497-bis, secondo comma, del codice penale.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati sono stati ritenuti “manifestamente infondati”. Le argomentazioni, in particolare quella sulla non validità della carta d’identità per l’espatrio, erano in palese contrasto con la normativa e la giurisprudenza consolidata.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati