Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20348 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20348 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti dalle parti civili NOME, NOME e NOME COGNOME, in proprio e in qualità di eredi di NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME nel procedimento a carico di: Provincia di Grosseto COGNOME NOME, nato a MONTIERI il 26/12/1951 COGNOME NOME, nato a CASTEL DEL PIANO il 25/08/1972 COGNOME NOME, nato a GROSSETO il 24/10/1949 COGNOME NOME, nato a GROSSETO il 10/03/1968 e nei confronti di: COGNOME NOME, quale esercente la responsabilità genitoriale di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del 02/07/2024 della Corte d’appello di Firenze. Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che si è riportato alla memoria scritta depositata e ha concluso per l’annullamento con rinvio in accoglimento del motivo n.5) del ricorso delle parti civili e del motivo n.2) del ricorso proposto da COGNOME rigetto nel resto.
Udito il difensore avvocato NOME COGNOME in difesa delle parti civili COGNOME NOME e COGNOME il quale si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
Udita l’avvocata NOME COGNOME in difesa di NOMECOGNOME in proprio e in qualità di erede di NOME Aldo, NOME Andrea, in proprio e in qualità di erede di NOME Aldo, NOME, in proprio ed in qualità di erede di NOME Aldo e di COGNOME NOME, la quale si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
Udito l’avvocato NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME, anche in sostituzione ex art.102 c.p.p. per delega scritta, dell’avvocata NOME COGNOME difensore del responsabile civile Provincia di Grosseto, il quale si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
Udito l’avvocato COGNOME Amanda in difesa di COGNOME il quale chiede il rigetto dei ricorsi di parte civile.
Udito l’avvocato COGNOME in difesa di COGNOME il quale chiede dichiararsi l’inammissibilità, o quantomeno, il rigetto dei ricorsi di parte civile.
Udito l’avvocato COGNOME in difesa di COGNOME Umberto, il quale chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
I fatti .
Il presente procedimento ha tratto origine dagli eventi verificatisi il 12 novembre 2012 nel territorio provinciale di Grosseto, precisamente in Manciano, allorché, a seguito di piogge eccezionalmente intense e concentrate, si verificò il crollo del rilevato stradale in prossimità della spalletta del ponte sul fiume Albegna, in località INDIRIZZO, nel momento in cui, intorno alle ore 22,30, lo stesso tratto veniva percorso dalla vettura FIAT Punto sulla quale viaggiavano NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME A causa del crollo l’automobile fu sommersa dall’acqua del fiume Albegna, così determinandosi la morte per annegamento dei tre occupanti.
Le contestazioni.
Con imputazione coatta, disposta dal GIP del Tribunale di Grosseto il 12 gennaio 2016, era stato contestato il reato previsto dagli artt. 40, secondo comma, 113 e 589, commi secondo e quarto, cod. pen., in cooperazione colposa, per aver
cagionato il decesso di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, nei confronti di:
NOME NOME, in qualità di referente tecnico di zona di RAGIONE_SOCIALE, società incaricata dalla Provincia di Grosseto della manutenzione e del pronto intervento anche sulla strada provinciale 94, per non avere apposto segnale stradale idoneo a rappresentare agli utenti della strada la chiusura della stessa, limitandosi a far posizionare una transenna sulla corsia di marcia. In particolare, in conseguenza di tale omissione, l’autovettura su cui viaggiavano i già menzionati, tutti dipendenti Enel di ritorno da una trasferta a Roma, intorno alle ore 22,30 aveva aggirato la suddetta transenna e aveva proseguito verso il ponte, ma, a seguito del crollo del rilevato stradale, in prossimità della spalletta del ponte, era stata sommersa dall’acqua del fiume Albegna, così determinandosi l’annegamento e la morte degli occupanti;
NOME COGNOME in qualità di responsabile del servizio viabilità della Provincia di Grosseto, per non aver vigilato sulla concreta esecuzione dell’ordine di chiusura della strada provinciale 94 da lui stesso impartito, soprattutto alla luce delle segnalazioni di presenza di veicoli in transito sul ponte sul fiume Albegna, per non aver richiesto l’adozione di misure più efficaci, come il presidio del tratto di strada in questione da parte delle Forze dell’ordine, per non aver comunicato alle Forze dell’ordine presenti sul territorio la chiusura del medesimo tratto stradale.
Inoltre, ai responsabili, succedutisi nel tempo, del settore viabilità della Provincia di Grosseto e al Direttore generale del Consorzio OSA Albegna erano stati contestati i reati previsti dagli artt. 40, secondo comma, 81, 434-449 e 589, quarto comma, cod.pen. per aver – in cooperazione colposa tra loro, tutti quali titolari di doveri di intervento per la messa in sicurezza del fiume Albegna e del ponte in località Sant’Andrea – cagionato il crollo del ponte suddetto sulla strada provinciale 94 e la conseguente morte di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia. In particolare, non essendo stati effettuati i necessari lavori di messa in sicurezza e ogni opportuna opera idrica.
La sentenza del Tribunale di Grosseto .
Il Tribunale ha ricostruito la dinamica del sinistro, rifacendosi ai contenuti del cd. report pubblicato dalla Regione Toscana e acquisito agli atti del fascicolo dibattimentale su richiesta del P.M., all’udienza del 7 marzo 2017. Il documento conteneva la descrizione del sistema delle opere idrauliche presenti nella pianura
costiera del fiume Albegna, dalla foce fino alla zona a monte del ponte INDIRIZZO o di Sant’Andrea tra i territori dei Comuni di Manciano e Magliano, cioè della struttura viaria interessata dal crollo che, la notte del 12 novembre 2012, causò la morte delle parti offese.
3.1. In quei giorni erano stati registrati, dalle numerose stazioni pluviometriche e dagli idrometri, valori massimi storici dei livelli dei fiumi, che avevano causato molti danni soprattutto nei bacini Chiarone, Albegna, Osa e Talamone.
3.2. A monte delle arginature esistenti, il Consorzio aveva realizzato, negli anni ’70, un ampliamento delle sezioni dell’alveo, reimpiegando il materiale di scavo per il rialzamento dei terreni laterali. Tale conformazione di sponda rialzata era nota localmente con il termine ‘spaltone’ ed era caratterizzata dalla presenza in sommità di una strada carrabile per le operazioni di manutenzione. Tale opera idraulica si sviluppava in sinistra e destra idraulica fino a un tratto a monte del ponte della Marsiliana; sotto il ponte, lo ‘spaltone’ assumeva la configurazione di argine trapezio, risultando privo di contro-fosse e consentendo, da una parte, di mantenere un certo grado di naturalità al corso d’acqua nell’ambito dell’area golenale e, dall’altra, la possibilità di coltivare i terreni contermini quasi fino alla strada.
Nella notte fra l’undici e il dodici novembre 2012, i livelli idrici dell’Albegna, alle sezioni di ponte Montemerano e della Marsiliana, avevano subito un repentino innalzamento, fino a raggiungere i massimi storici mai registrati. In conseguenza delle piogge verificatesi nel pomeriggio dell’11 novembre e nel corso della nottata, tutto il reticolo idraulico a monte della sezione del ponte della Marsiliana era entrato in crisi, con fuoriuscita delle acque dagli alvei ordinari ed esondazioni che avevano interessato tutte le pianure alluvionali di pertinenza dei corsi d’acqua principali e minori. Lo stesso fiume Albegna, a monte del ponte della Marsiliana, impegnava, con il proprio deflusso, buona parte della pianura di sua pertinenza. L’onda di piena, giunta all’altezza del tratto con arginatura a spaltone, a monte del ponte della Marsiliana, aveva determinato la rottura dello spaltone in destra idraulica a monte della confluenza del torrente Castione. La piena dell’Albegna, nel tratto immediatamente a monte del ponte INDIRIZZO Marsiliana, aveva investito la strada provinciale di Sant’Andrea, rompendo lo spaltone in destra idraulica dell’Albegna, che aveva ceduto.
Il Tribunale ha poi ricostruito gli spostamenti delle vittime, tutte dipendenti della società RAGIONE_SOCIALE il giorno dell’evento a partire dalle ore 18,00 e sino
alle ore 22,30, in relazione al viaggio di ritorno a Grosseto da Roma, ove si erano recati per seguire un convegno dedicato al tema della sicurezza sul lavoro.
La causa materiale dell’evento è stata dunque individuata nell’alluvione, che dal giorno precedente aveva colpito la parte meridionale della provincia di Grosseto. La responsabilità del COGNOME e del COGNOME è derivata dalle rispettive qualifiche soggettive rivestite all’epoca dei fatti, costitutive delle relative posizioni di garanzia e di controllo, nonché dalle condotte di entrambi, in concreto impeditive della neutralizzazione del pericolo incombente sui beni protetti. In particolare, quanto al COGNOME, responsabile provinciale del Servizio di viabilità con compiti disciplinati anche in caso di eventi che interessavano tale servizio, l’obbligo derivante dalla posizione di garanzia e controllo è stato individuato nell’art. 14 codice della strada, negli artt. 2050 e 2051 cod.civ. e nelle norme di diritto pubblico che disciplinano l’operato dei dipendenti degli Enti Locali, facendo discendere da tali disposizioni i poteri organizzativi e dispositivi attribuiti ai medesimi dipendenti, in relazione alla gestione di cose o situazioni pericolose per la pubblica utilità, unitamente ai connessi compiti di prevenzione e soccorso relativi agli eventi pericolosi.
Quanto alla posizione del COGNOME, dipendente e referente tecnico della società RAGIONE_SOCIALE, incaricata del pronto intervento e della manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade provinciali nella zona 1 Sud della Provincia di Grosseto, il Tribunale ha individuato nel contratto di appalto, stipulato tra la Provincia di Grosseto e l’associazione temporanea d’imprese di cui RAGIONE_SOCIALE faceva parte, la fonte della posizione di garanzia e di controllo sulle fonti di pericolo per la circolazione delle strade, che formava oggetto dell’appalto, gravante sul COGNOME, quale referente tecnico della società. Inoltre, l’obbligo di garanzia derivava, per il COGNOME, anche dal suo precedente agire pericoloso, posto che aveva fatto apporre agli operai di RAGIONE_SOCIALE una segnaletica inidonea e pericolosa sulla strada provinciale Sant’Andrea, da cui era scaturito l’obbligo di attivarsi per rimuovere o far rimuovere la situazione di pericolo per la circolazione stradale da lui stesso creata.
Nei confronti di entrambi, il Tribunale ha ritenuto il radicarsi, per il concreto atteggiarsi del fatto, di poteri e obblighi impeditivi dell’evento, di natura sollecitatoria e comunque ulteriori e diversi rispetto a quelli direttamente e specificamente volti a impedire il verificarsi dell’evento, e aveva ritenuto i due
imputati responsabili proprio per aver omesso l’esercizio dei concreti poteri di fatto di cui entrambi disponevano per impedire il verificarsi dell’evento o comunque l’esercizio inadeguato dei medesimi poteri. L’elemento psicologico della colpa, per la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento è stato, infine, ritenuto presente per entrambi.
Il Tribunale ha assolto i restanti imputati dai reati loro ascritti, omicidio colposo plurimo e crollo colposo di costruzioni, in cooperazione colposa, perché il fatto non costituisce reato, in quanto, dal compendio delle risultanze emerse dal confronto dei consulenti, era emerso che la causa del crollo fosse da addebitarsi al cedimento della soletta di raccordo sovrastante il ponte, e ciò costituiva un grave errore di progettazione, ma gli imputati non avevano partecipato alla progettazione del ponte e, nelle rispettive qualità, non erano rimasti inerti a seguito di un crollo intervenuto alcuni anni prima in area vicina, avendo fatto approvare dalla Provincia di Grosseto proprio ciò che il responsabile del Consorzio aveva chiesto.
La sentenza della Corte d’appello di Firenze.
La Corte d’appello di Firenze, giudicando sulle impugnazioni proposte dai difensori di NOME COGNOME respinti, preliminarmente, i profili relativi alla mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza e quelli relativi al giudizio controfattuale, data la natura commissiva della condotta contestata, consistita nell’aver apposto la transenna solo nella parte destra della carreggiata, ha confermato il giudizio di inadeguatezza della segnaletica temporanea apposta in violazione della Direttiva 24 ottobre 2000 – di attuazione dei criteri di efficienza e uniformità richiesti dal codice della strada in materia di segnaletica e sicurezza stradale – nonché delle norme del codice della strada, anch’esse richiamate unitamente al decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 10 luglio 2002. Ha pure respinto la censura relativa alla mancata considerazione della presenza di veicoli circolanti anche dalla parte opposta nel luogo dell’evento, posto che andava valutato l’evento per come si era concretamente realizzato e dunque nella direzione di marcia Marsiliana -Sant’Andrea, considerando le modalità del fatto da quel lato effettuate.
La Corte territoriale ha tuttavia accolto il profilo di impugnazione relativo alla inesigibilità della condotta, relativamente alla richiesta di chiudere la strada con l’ausilio delle Forze dell’ordine, assolvendo l’imputato per non aver commesso
il fatto, rimproverando al giudice di primo grado di aver confuso la posizione del COGNOME con quella del COGNOME, dimenticando che il COGNOME non aveva le competenze per valutare la pericolosità del livello del fiume e il pericolo di crollo del rilevato, per allertare e fare intervenire direttamente le Forze dell’ordine. Non poteva organizzare il presidio della strada INDIRIZZO, né sotto il profilo oggettivo, in relazione alla disponibilità di strumenti, mezzi e uomini, né sotto il profilo soggettivo. Dunque, non avrebbe potuto prevedere l’evento. Infatti, la pericolosità della situazione della strada era stata rappresentata dal responsabile del Consorzio, direttamente al COGNOME. Quest’ultimo si era limitato a richiedere che la strada fosse transennata, nonostante il Conti avesse rappresentato il carattere precario e parziale della concreta misura che era stato possibile realizzare.
La sentenza di secondo grado ha poi respinto l’impugnazione proposta dal COGNOME, relativamente all’affermazione di responsabilità, rideterminando la pena, che ha sospeso, in ragione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e riconoscendo il beneficio della non menzione. La Corte, ribadendo quanto affermato dal primo giudice, ha puntualizzato che il COGNOME non aveva richiesto alle Forze dell’ordine di impedire il transito veicolare sulla strada e sul ponte ove si sarebbe verificato il crollo e che ciò sarebbe stato l’unico strumento adeguato alla luce delle concrete situazioni verificatesi. La richiesta rientrava tra i poteri/doveri del COGNOME, come anche emerso dalla testimonianza del Capo di gabinetto della Prefettura e dirigente della Protezione civile, che aveva preso parte alle attività della sala operativa.
Inoltre, la Corte d’appello ha accolto l’appello proposto dalla Provincia di Grosseto, responsabile civile, limitatamente al riconoscimento del concorso di colpa delle vittime nella determinazione dell’evento dannoso, con rideterminazione dell’importo liquidato a titolo di provvisionale.
Infine, la Corte d’appello ha rigettato l’impugnazione proposta dalle parti civili avverso l’assoluzione degli altri imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
I ricorsi per cassazione.
Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dei propri difensori, proponendo i seguenti motivi, così riassunti in forma sintetica ai sensi dell’art. 173 bis disp. att. cod.proc.pen.:
-con il primo motivo, si denuncia vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con particolare riferimento alle pagine da 13 a 15 della sentenza impugnata, laddove si è affermato che le Forze dell’ordine, a eccezione dell’appuntato COGNOME, non erano state avvisate della necessità di provvedere alla chiusura della strada provinciale INDIRIZZO, anche con l’ausilio di uomini e mezzi militari, e che in ciò fosse da ravvisare la responsabilità del COGNOME, sul quale incombeva il dovere – potere di richiedere esplicitamente l’intervento delle Forze dell’ordine. Rileva il ricorrente che le dichiarazioni rese dalla Viceprefetto COGNOME, che presiedeva in vece del Prefetto le attività del Centro di Coordinamento, soprattutto nel giorno antecedente e nella notte del 12 novembre 2012, avevano chiarito il reale funzionamento della sala operativa e che, una volta che il COGNOME aveva comunicato a tutti i presenti la chiusura della strada provinciale INDIRIZZO, dell’adozione delle necessarie misure, essendo coinvolto il personale dell’Arma dei Carabinieri, si sarebbe dovuto fare carico il vice Comandante provinciale dei Carabinieri, Colonnello COGNOME che era pure partecipe all’attività della sala operativa. Rileva ancora il ricorrente che dall’esame dei testi, appuntati COGNOME e COGNOME, era emerso che i due erano stati inviati su quel tratto di strada già nel pomeriggio del 12 novembre 2012, sebbene, a loro dire, per controllare il livello del fiume e la viabilità. In realtà, una volta diffusa la notizia della chiusura della strada provinciale e appurato che anche le stesse Forze dell’ordine si erano rese conto che la circolazione veicolare non era stata effettivamente impedita, si era realizzato un cattivo funzionamento nella catena di comando dei Carabinieri di cui non poteva rispondere l’imputato.
-con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale, in ragione del fatto che la Corte territoriale, pur riconoscendo il concorso di colpa delle vittime, non ha provveduto a rideterminare la pena, ai sensi del disposto dell’art. 589 bis , comma 7, cod.pen.
-con memoria depositata in data 18 aprile 2025, i difensori hanno proposto motivi nuovi riguardanti:
-la posizione di garanzia che il COGNOME avrebbe avuto nella vicenda oggetto di imputazione. Il ricorrente rileva l’incoerenza del ragionamento dei giudici della Corte d’Appello, i quali, come del resto il primo Giudice, gli hanno attribuito la posizione di garante quasi allineandola a quella del COGNOME (titolare di RAGIONE_SOCIALE, che però è stato assolto. La sentenza di appello (pag. 12), infatti, aveva ritenuto che il rimprovero di non aver richiesto l’intervento dei Carabinieri, per ottenere l’effettiva chiusura della strada, non fosse formulabile nei confronti del COGNOME, che non possedeva alcun potere/dovere di sollecitare l’intervento delle Forze dell’ordine, né di effettuare la comunicazione della chiusura della SP 94;
-inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità – artt. 606 lett.c), 546 n.1, lett.c), e 125 n.3, cod.proc.pen., posto che la decisione della Corte sul punto era stata presa senza considerare adeguatamente la specifica documentazione, relativa al contratto di appalto tra RAGIONE_SOCIALE, offerta in primo grado dalla difesa (doc.1-verbale udienza); così omettendo ogni motivazione in proposito e incorrendo nella nullità di cui agli artt. 546 n. 1 lett. c) e 125 n. 3 cod.proc.pen.
La sentenza è stata impugnata anche dalla Provincia di Grosseto, la quale, mediante il proprio difensore, deduce i seguenti motivi:
-vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa, giacché si era affermato che al COGNOME incombeva il potere-dovere di ordinare alle Forze dell’Ordine la chiusura della strada, anche mediante l’adozione di appositi presidi e mezzi militari. Il COGNOME era stato presente alla riunione della centrale operativa alle ore 3 del 12 novembre 2012, appena informato dall’ingegnere COGNOME direttore del Consorzio di bonifica, il quale aveva le competenze per legge sulla manutenzione degli argini dell’Albegna, della criticità ingravescente della situazione causata dall’imperversante evento alluvionale di particolare durata e intensità. Dunque, il COGNOME, alle ore 3,40 del mattino del 12 novembre 2012, aveva personalmente, mediante telefono, ordinato al COGNOME di transennare la S.P. n. 94 in corrispondenza del fiume Albegna. Alle ore 6,00 il COGNOME confermava la presenza delle transenne su entrambi i lati del ponte; successivamente, lo stesso COGNOME rilevava che gli automobilisti spostavano continuamente la transenna e il COGNOME aveva ribadito la necessità di assicurare l’effettiva permanenza della transenna. Con considerazioni analoghe a quelle fatte valere dal COGNOME, il responsabile civile evidenzia la contraddizione in cui sarebbe caduta la sentenza impugnata, dal momento che aveva – allo stesso tempo rimproverato al COGNOME di non aver informato le Forze dell’ordine della necessità della chiusura della strada e di aver dato atto che l’appuntato COGNOME aveva dichiarato di essere a conoscenza della disposizione di chiusura della stessa strada, senza che però si attivasse, unitamente al vice Comandante provinciale dei Carabinieri, colonnello COGNOME per rendere effettiva la chiusura.
Ulteriori ricorsi, avverso la medesima sentenza ai soli effetti della responsabilità civile, sono stati proposti, mediante due difensori, dalle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (questi ultimi tre nella qualità di eredi di NOME COGNOME, deceduto nelle more del giudizio).
I ricorsi deducono i seguenti motivi, del tutto sovrapponibili. In particolare, relativamente all’assoluzione pronunciata nei confronti di NOME COGNOME e alla consequenziale esclusione del responsabile civile RAGIONE_SOCIALE:
-con il primo motivo, si denuncia, relativamente al punto 10.3 della sentenza impugnata, la inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 589 cod. pen., 40, commi primo e secondo, cod. pen., 41 cod. pen., in relazione agli artt. 14 e 38 cod. strada, 30, commi 4 e 5, 34, comma 1, 115, commi e 116, commi 1 e 2, Regolamento di esecuzione e attuazione del codice della strada, nonché paragrafi 2.1, 4.2 e 5.7 della Direttiva Ministero dei Lavori Pubblici del 24 ottobre 2000 e all’articolo 1 e 10 del contratto di appalto, laddove la Corte ha ravvisato l’inesigibilità della condotta ulteriore in capo al COGNOME, sebbene per legge e per contratto fosse tenuto ad adottarla. Nella illustrazione del motivo, le parti civili evidenziano il passaggio della sentenza impugnata in cui si è affermato che, considerata l’eccezionalità dell’evento alluvionale, l’esaurimento di tutta la segnaletica a disposizione e l’impossibilità di procurarsene altra, si doveva concludere che il COGNOME avesse in effetti assolto gli obblighi secondari sollecitatori dell’altrui intervento, informando reiteratamente la sala operativa delle condizioni della circolazione sulla SP 94, non potendosi pretendere che avvisasse il Prefetto. Si è tuttavia trascurato di considerare, riguardo alla posizione del geometra COGNOME che lo stesso era un tecnico titolare di una posizione di garanzia ex contractu . COGNOME aveva usato una segnaletica stradale errata e quindi era responsabile di un’attività che aveva creato una situazione di pericolo, risoltasi in un evento infausto. La Corte d’appello avrebbe dovuto confermare la condanna del Conti per omicidio colposo, in primo luogo, quanto alla responsabilità colposa di tipo commissivo: a meno che non lo abbia impedito, l’agente risponde sempre dell’evento che abbia a verificarsi a causa della sua condotta, questo a prescindere dalla titolarità di una posizione di garanzia come del resto sottolineato in entrambe le sentenze di merito. Infatti, rispetto alle azioni pericolose già compiute, come nel caso di chi ha posto una segnaletica fuorviante, non sussiste un obbligo di impedire un evento, ma se l’agente vuole evitare di rispondere per il reato commissivo ha solo l’onere di impedirlo. Dalla sentenza di primo grado era emerso che il Conti aveva fatto un ultimo sopralluogo sul posto un’ora e mezzo prima del tragico sinistro, addirittura ritenendo che tutto fosse nella norma, e aveva continuato a lasciare in piedi la situazione di pericolo da lui colposamente creata da ore.
Inoltre, ricoprendo una posizione di garanzia, il COGNOME avrebbe potuto e dovuto prevedere, in virtù della sua esperienza professionale e delle sue competenze tecniche, l’evento che si sarebbe verificato in caso di permanenza della circolazione stradale sul ponte. Il COGNOME, infatti, sia nella motivazione della sentenza di primo grado come in quella di secondo, non era stato definito un semplice utente della
strada, ma soggetto titolare di posizione di garanzia di natura contrattuale, referente tecnico delle ditte incaricate del pronto intervento della manutenzione della Zona 1 Sud; inoltre, il Conti aveva ricevuto l’ordine e, per legge e per contratto, avrebbe dovuto eseguirlo correttamente, indipendentemente dalla conoscenza del rischio di crollo del rilevato stradale. Avrebbe dovuto assicurare che la strada fosse chiusa, così come era stato ordinato; tale condotta era comunque assolutamente esigibile nei termini individuati dal Tribunale di Grosseto, perché rientrante nelle sue conoscenze e competenze e, anche laddove il rischio fosse stato unicamente l’allagamento della strada, assolutamente prevedibile, questo avrebbe potuto comportare sinistri stradali anche mortali.
In definitiva, si era fatta un’errata applicazione dell’art. 40, secondo comma, cod. pen., nella misura in cui si era affermato che il soggetto garante potesse esercitare i propri poteri sollecitatori soltanto nei confronti di soggetti sui quali il garante esercitasse un potere/dovere, del tipo di quello in capo al COGNOME. Il Conti, secondo la sentenza impugnata, non sarebbe stato in grado di ordinare alle forze dell’ordine la chiusura della strada; tuttavia, secondo la giurisprudenza di legittimità, la responsabilità non deriva esclusivamente dalla titolarità in capo al garante di poteri direttamente impeditivi dello specifico rischio concretizzatosi, tra cui anche il potere di dare ordini ad altri soggetti, potendosi anche affermare tale responsabilità sulla base dell’omissione di meri poteri sollecitatori dell’agire altrui, quindi sull’omissione di un potere di fatto, non potere giuridico di ordinare, ma potere non giuridico di sollecitare, nel senso di avere la possibilità di fatto di segnalare a chi può e deve intervenire. Quindi, il Conti avrebbe potuto e dovuto avvisare direttamente il numero di emergenza o nella fattispecie avvisare una delle tante pattuglie presenti nell’aera, informandole di non avere cartelli stradali a sufficienza per provvedere a una chiusura del ponte a norma di legge e del contratto di appalto.
-con il secondo motivo, si deduce la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in punto di omessa valutazione o travisamento di prove decisive, quanto ai poteri/doveri derivanti dalla posizione di garanzia assunta dal Conti e alla esigibilità di una condotta impeditiva dell’evento di natura sollecitatoria, laddove la Corte, al punto 10.2 della sentenza, ha rilevato come il Conti fosse perfettamente consapevole di quale fosse l’obiettivo dell’operazione, e cioè di impedire il transito ai veicoli sul ponte e che lo stesso fosse qualificato per tale compito, in ragione delle proprie competenze e degli obblighi nascenti dal contratto, salvo poi al punto 10.3, sostenere che tale condotta non era esigibile soggettivamente ed oggettivamente, con ciò palesemente travisando quanto rilevato dal giudice di primo grado in sentenza. Si deduce che già la sentenza di primo grado aveva individuato la fonte della posizione di garanzia in capo al Conti
nel citato contratto di appalto dell’8 marzo 2012, intercorso fra la Provincia di Grosseto e l’associazione temporanea d’imprese, in ragione dell’amplissimo ambito di compiti demandati dall’appaltante alle ditte esterne specializzate, fra cui appunto RAGIONE_SOCIALE, comprendendo la sorveglianza e il controllo finalizzato alla sicurezza del traffico delle strade provinciali e regionali. Il contratto, pertanto, era pienamente idoneo a fondare una posizione di garanzia sub specie di obbligo di controllo sulle fonti di pericolo per la circolazione sulle strade oggetto di appalto in capo all’imputato, quale referente tecnico della strada. Anche la Corte d’appello aveva precisato che il COGNOME era soggetto destinatario qualificato dell’ordine di chiusura, in ragione delle sue competenze e degli obblighi derivanti dal contratto, provvedendo al corretto posizionamento della relativa segnaletica stradale; dunque, da un lato, la Corte d’appello aveva sostenuto che il COGNOME fosse privo di adeguate competenze tecniche per valutare se il tipo di transennatura fosse sufficiente ad impedire il passaggio dei veicoli, mentre, dall’altro, aveva pure affermato che lo stesso COGNOME aveva avvertito il Tozzini della inidoneità della stessa transennatura ad impedire al passaggio dei veicoli, con una aporia insanabile. Le conclusioni della Corte d’appello, quindi, si manifestano per la loro apoditticità e illogicità, perché non sostenute da alcun argomento probatorio risultante dalla motivazione e palesando un contrasto con le premesse, secondo cui COGNOME al contrario, era un soggetto qualificato in ragione delle sue competenze e degli obblighi derivanti dal contratto.
Inoltre, la sentenza d’appello pur essendo la Corte libera nella formazione del convincimento, non rispetterebbe l’onere, derivante dalla decisione difforme rispetto a quella del giudice di primo grado, di confutare adeguatamente le ragioni poste a base della sentenza riformata. Dunque, le parti civili rilevano la contraddittorietà della sentenza risultante da altri atti del processo e in particolare dal contratto di appalto e del relativo capitolato speciale, atti dei quali è stata omessa la valutazione e di cui sono stati travisati i contenuti. Infatti, da tali contenuti emergeva chiaramente la titolarità da parte del Conti di una posizione di garanzia, che richiedeva competenze tecniche e una conoscenza specifica del codice della strada e lo gravava dell’obbligo di usare tutti i poteri, compresi quelli sollecitatori, derivanti dalla suddetta titolarità.
-con il terzo motivo, si impugna in particolare il capo 11.3 della sentenza anche qui per vizio di motivazione per avere la Corte, nel riconoscere sussistente ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. il concorso di colpa delle vittime, omesso ogni indicazione in ordine ai motivi per cui la decisione del primo giudice non fosse condivisibile, senza indicare elementi diversi a supporto della propria decisione. Quindi, si deduce anche inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 113 cod. pen., in riferimento agli artt. 30,32, 115 e 116 del Regolamento di esecuzione del
codice della strada. La sentenza di primo grado aveva infatti escluso la responsabilità concorrente delle vittime nella causazione del sinistro, mentre la Corte d’appello, in parziale riforma del provvedimento del tribunale, ha riconosciuto il contributo causale delle vittime nella causazione del sinistro, senza peraltro darne conto in dispositivo. Le conclusioni del Tribunale sono state sovvertite dalla Corte d’appello, che, lungi dall’indicare le ragioni per cui la approfondita disamina non poteva considerarsi condivisibile, si è limitata a rilevare che la transenna avrebbe dovuto costituire elemento di deterrenza per contrastare il pericolo nel quale sarebbero tragicamente incorse le vittime, dimenticando ogni accenno all’oggettività di cui invece aveva fatto buon uso il primo giudice nella propria valutazione e che, per stessa indicazione della Corte, avrebbe dovuto informare l’accertamento soprattutto della prevedibilità ex ante di quel tipo di pericolo. Rilevano le parti civili che il significato oggettivo di una transenna posizionata sul lato destro della carreggiata era stato specificato dal giudice di prime cure alle pagine 91 e seguenti, e che, a mente degli articoli 31 e 32 del Regolamento di esecuzione del codice della strada, la transenna definita ‘barriera normale’ rappresenta la segnalazione dei limiti di un cantiere stradale o di un’area adibita a deposito della strada. Ulteriore interpretazione oggettiva era fornita anche dell’art. 30 del Regolamento di attuazione del codice della strada, che, ai commi 4 e 5, impone che i segnali siano scelti e installati in maniera appropriata; nei sistemi di segnalamento temporaneo ogni segnale deve essere coerente con la situazione di cui in cui viene posto e ad uguale situazione devono corrispondere stessi segnali e stessi criteri di posa. Il Tribunale di Grosseto, alle pagine 92 e seguenti, rilevato che, se non installata secondo i criteri di regolarità e razionalità, la segnaletica può risultare essa stessa fonte di pericolo o causa di incertezza nei comportamenti degli utenti della strada, da cui possono scaturire incidenti stradali anche di rilevante gravità, aveva citato fra l’altro la Direttiva del 24 ottobre 2000, emanata ai sensi dell’art. 5, comma 1, 55, comma 1, cod. strada, la quale dopo aver attribuito in linea di principio le responsabilità in capo all’ente proprietario della strada o al concessionario o al gestore, chiarisce che la responsabilità di incidente a seguito di carenze segnaletiche è comunque riconducibile a detto ente, se l’insufficiente segnaletica induce l’utente a comportamenti scorretti, che non avrebbe tenuto in presenza di segnaletica; poi, al paragrafo 5.7, si legge che la segnaletica deve essere idonea a segnalare all’utente tempestivamente e con chiarezza le indicazioni su come comportarsi; dunque, il Tribunale, condividendo le analoghe considerazioni del giudice per l’udienza preliminare, aveva escluso la responsabilità del conducente per aver aggirato la transenna, poiché, rispetto a tale condotta, non poteva ravvisarsi il requisito della cosiddetta concretizzazione del rischio. Infatti, pur rilevando come il divieto di oltrepassare la linea continua
sia preordinato a evitare situazioni di pericolo connesse al transito di veicoli procedenti in senso opposto, il Tribunale aveva anche rilevato che la presenza di una transenna stava a indicare, per sua natura e destinazione di legge la presenza di un ostacolo, mirando a evitare pericoli connessi a quell’ostacolo, non a prevenire eventi come quello verificatosi nel caso in parola, mancando quindi – ad avviso del primo giudice – quella concretizzazione del rischio che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, costituisce un requisito necessario della responsabilità colposa. Da ciò, secondo le parti civili, discende che era del tutto ragionevole, sia in astratto che in concreto, per i tre occupanti l’auto, aspettarsi che una transenna posizionata sul lato di una strada non costituisse segnale interdittivo, indipendentemente dalle condizioni meteo, e il fatto che le vittime avessero reiteratamente assunto informazioni telefoniche sulla percorribilità della strada, non faceva che confermare l’attenzione addirittura superiore all’ordinaria diligenza prestata dalle stesse; atteggiamento non determinante di certo, come invece sostenuto dalla Corte d’appello, il contributo causale alla verificazione dell’evento dannoso. Peraltro, neanche nell’ultima telefonata al 113 gli occupanti avevano avuto informazioni su come procedere e su quali strade fossero transitabili;
-con ulteriore motivo, si rileva l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 113 cod. pen., in riferimento agli artt. 30, 32, 115 e 116 Reg. esec. cod. strada con incidenza sulla corretta applicazione dell’art. 1227 del cod. civ.; quanto sopra rileva anche ai fini del vizio di inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 113 cod. pen., in relazione alle norme citate del Reg. esec. cod. strada, in quanto la Corte di appello aveva individuato nella transenna definita come ‘barriera normale’ un segnale di divieto interdittivo della circolazione. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, la ‘barriera normale’, oggettivamente, non ha alcun significato di interdizione alla circolazione o di natura prescrittiva, dovendosi al contrario attribuirle il significato di delimitazione di un cantiere stradale o un deposito della strada immediatamente successivo al suo posizionamento, superabile aggirandolo per evitare intralcio alla circolazione. Gli unici segnali di divieto contemplati dal codice della strada, aventi pertanto significato interdittivo, sono quelli previsti dall’articolo 115 del Reg. esec. cod. strada, di forma circolare, che vietano agli utenti il transito o determinate direzioni di marcia, una particolare manovra, ovvero impongono limitazioni. Da ciò consegue l’evidente errata applicazione da parte della Corte d’appello delle norme del codice della strada e del suo Regolamento. Difetta comunque l’estremo del legame psicologico nelle condotte richiesto dalla cooperazione colposa;
-con il quarto motivo si censura il punto 11.3 della sentenza, in ragione della violazione dell’articolo 1227, primo comma, cod. civ., per avere la Corte
determinato l’incidenza del concorso di colpa sulla base del requisito della convivenza delle parti civili con le vittime dei soggetti coinvolti. Alla luce delle modalità del sinistro, ritenendo evidentemente il requisito della convivenza elemento di raffronto, la sentenza avrebbe dovuto spiegare in che modo la convivenza avrebbe inciso sulla causazione del sinistro stesso. In sede di lettura del dispositivo, non era stato fatto alcun cenno al riconoscimento del concorso di colpa, che era comparso per la prima volta in motivazione, allorquando la Corte, per giustificare la riduzione della provvisionale concessa in primo grado, individua il contributo causale delle vittime del sinistro e il riconoscimento del concorso di colpa nella misura rispettivamente del 20% del 25%, rideterminando in sentenza una riduzione in pari misura della somma liquidata a titolo di provvisionale, che, ai sensi dell’articolo 539 cod. proc. pen., corrisponde a quella parte di danno per cui si ritenga raggiunta la prova. La riduzione della provvisionale in ragione del riconoscimento del concorso di colpa non ha alcun senso, anche perché, nel caso di specie, si versa in tema di risarcimento del danno da morte di un prossimo congiunto, la cui determinazione, a mente delle tabelle di liquidazione del danno, è ben maggiore di una qualunque provvisionale liquidata.
-con il quinto motivo le parti civili deducono inosservanza di norme processuali, per violazione dell’articolo 546, comma 3, cod. proc. pen., in relazione agli articoli 541 e 547 cod. proc. pen., perché, pur avendo confermato la condanna dell’imputato COGNOME, seppure con la concessione delle attenuanti generiche, la Corte non lo ha condannato, in solido con il responsabile civile, alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel grado di appello, pur trattandosi di una pronuncia automaticamente consequenziale alla conferma della condanna dell’imputato, il cui appello era stato respinto. Neppure nella parte motiva della sentenza si rinvengono disposizioni idonee a esprimere la volontà del giudice d’appello circa la condanna o la compensazione, parziale o totale, delle spese anche in relazione al ritenuto concorso di colpa delle vittime o altre proposizioni utili a rimediare alla omessa statuizione nel dispositivo, per cui nella presente fattispecie non si poteva fare ricorso al procedimento di correzione dell’errore materiale.
17. La Procura generale, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME ha depositato memoria scritta con la quale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi, a eccezione di quello proposto da NOME COGNOME, limitatamente alla rideterminazione della pena in ragione della mancata riduzione per effetto dell’attenuante di cui all’art. 589 bis , comma 7, cod.pen., e da quello proposto dalle parti civili, limitatamente al quinto motivo relativo alla omessa pronuncia sulle spese in loro favore nel grado d’appello. I difensori del ricorrente COGNOME e
del responsabile civile, nonché quelli di NOME COGNOME hanno depositato memorie difensive.
All’odierna udienza, disposta la trattazione orale ai sensi degli artt.23, comma 8, di. 28 ottobre 2020, n.137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, 16 d.l. 30 dicembre 2021, n.228, convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2021, n.69, 35, comma 1, lett. a), 94, comma 2, d. lgs. 10 ottobre 2022, n.150, 1, comma 1, legge 30 dicembre 2022, n.199 e 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n.215, le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME e quello proposto dalla Provincia di Grosseto, responsabile civile.
Il ricorso proposto dai difensori di NOME COGNOME non supera il vaglio di ammissibilità, quanto al primo motivo e quanto ai motivi aggiunti. Analogamente deve ritenersi quanto al ricorso della Provincia di Grosseto, che pone doglianze sostanzialmente sovrapponibili.
In sostanza, i ricorrenti deducono che la motivazione della sentenza impugnata, reiterando l’analogo vizio in cui sarebbe incorsa la decisione del Tribunale di Grosseto, sarebbe gravemente contraddittoria e illogica in ragione di una errata individuazione del soggetto tenuto ad adottare le misure necessarie a rendere effettiva la chiusura della strada. Secondo la tesi dei ricorrenti, poiché, per quanto dichiarato dalla teste COGNOME, le regole organizzative della sala operativa relativa al Centro di Coordinamento prevedevano la presenza permanente del Vice comandante provinciale dei Carabinieri, nella fattispecie presente effettivamente, il COGNOME (e la Provincia di Grosseto attraverso di lui), sebbene pacifico titolare della potestà di chiudere la Strada INDIRIZZO, non avrebbe disposto, di contro, di alcun potere/dovere di curarne l’effettiva interdizione al traffico veicolare, anche mediante richiesta alle Forze dell’ordine. Il motivo, inoltre, viene arricchito da considerazioni, fortemente versate in fatto, attraverso le quali il vizio di contraddittorietà della decisione viene collegato ad affermate evidenze istruttorie che avrebbero provato l’effettiva consapevolezza, da parte di alcuni
Carabinieri impegnati nell’attività di gestione dell’emergenza, del fatto che la Provincia aveva disposto la chiusura della strada, notizia certamente appresa nel corso delle riunioni presso la centrale operativa, per cui era stata la catena di comando dei Carabinieri a non funzionare adeguatamente e di ciò non potrebbe ritenersi responsabile il COGNOME.
Le decisioni di primo e secondo grado, quanto alla posizione del ricorrente COGNOME, costituiscono, in quanto conformi nell’accertamento della responsabilità penale, un unico complesso motivazionale. Trova qui applicazione il consolidato principio secondo cui il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, limitatamente alla ipotesi, qui non ricorrente, in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, COGNOME, Rv. 280155 – 01).
Nel caso di specie, viene addebitata alla sentenza una affermata incoerenza logica che già, sul piano astratto, non deriva, a ben vedere, da una distorta rappresentazione di prove acquisite al giudizio, ma da una ricostruzione della fattispecie penale oggetto dell’imputazione che poggia asseritamente su erronee premesse giuridiche. In particolare, si prospetta che la responsabilità penale del COGNOME sarebbe impedita dalla esclusiva riconducibilità ‘alla catena di comando’ interna alla organizzazione del Comando Provinciale dei Carabinieri, dell’esercizio del potere di impedire l’evento poi verificatosi, per cui l’errore della sentenza consisterebbe proprio nel non aver colto tale aspetto, leggendo in tal senso il resoconto dell’attività del CCS (Centro Coordinamento dei Soccorsi, organo principale a livello provinciale, presieduto dal prefetto o suo delegato) riferito dal viceprefetto COGNOME
In realtà, come ritenuto da entrambi i giudici di merito, la fattispecie in esame consente di ravvisare la presenza di plurime posizioni di garanzia, come emerge anche dalla contestazione e dalla individuazione negli imputati di soggetti che, a vario titolo, rivestivano ruoli a cui afferiva la gestione del rischio gravante
sulla viabilità delle strade provinciali in conseguenza della compromissione dello stato idrogeologico del territorio interessato dalle abbondanti precipitazioni.
La vicenda si colloca, quanto ai poteri pubblici coinvolti, all’interno del complesso normativo che disciplinava, all’epoca dei fatti, la Protezione Civile relativamente alla gestione degli eventi alluvionali (art. 3 bis d.lgs. n. 225 del 1992). Come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 4 n. 45590 del 10/11/2021), con tale testo, il tema della Protezione Civile ha trovato una disciplina organica anche per quanto riguarda la tipologia degli eventi presi in considerazione, i compiti della Protezione Civile e la ripartizione delle competenze, sostanzialmente estranei alla precedente disciplina, secondo un criterio di «organizzazione diffusa a carattere policentrico» (Corte Cost. n.129 del 2006; n.327 del 30 ottobre 2003), ispirato al cd. metodo Augustus. Il d. lgs. 31 marzo 1998 n. 112, emanato in base alla delega contenuta nella legge 15 marzo 1997 n. 59, operò poi il trasferimento delle funzioni in tema di Protezione Civile, in gran parte attribuite alle Regioni e agli Enti locali. L’art. 107, vigente all’epoca dei fatti di causa, descriveva le funzioni mantenute allo Stato, mentre l’art.108 descriveva quelle attribuite a Regioni, Province e Comuni.
In particolare, viene in questa sede in rilievo la connotazione del Centro di Coordinamento dei Soccorsi (C.C.S.), struttura di soccorso, organizzata intorno al Prefetto a livello provinciale, presso il quale erano rappresentati la Prefettura UTG, le Amministrazioni regionale e provinciale, gli Enti, le Amministrazioni e le Strutture operative deputate alla gestione dell’emergenza. La disciplina della Protezione civile, dunque, individuava, in ciascuno degli organi indicati, più soggetti, ciascuno titolare di distinti obblighi di protezione della sicurezza dei cittadini, nel caso di calamità naturali.
Tale modalità di gestione della peculiare funzione amministrativa realizza, dal punto di vista della fattispecie penale, il presupposto di operatività della cooperazione colposa prevista dall’art. 113 cod.pen., con la sua caratteristica funzione incriminatrice di tipo additivo e non alternativo, avendo la giurisprudenza (Sez. 4, n. 26239 del 19/03/2013, COGNOME e altri, Rv. 255696 – 01; Sez. 4, Sentenza n. 1428 del 02/11/2011 (dep. 2012), COGNOME, Rv. 252940 – 01; Sez. 4, n. 1786 del 2/12/2008, dep. 2009, Tomaccio, Rv. 242566 – 01), in varie occasioni, tratteggiato l’intreccio cooperativo nella gestione del rischio, che giustifica la rilevanza penale di condotte omissive che, seppure non complete o di semplice
partecipazione, si correlano con altre condotte tipiche. In tal modo fondando dalla reciproca interazione il criterio di valutazione sia della efficacia causale complessiva, in deroga al principio condizionalistico, che della natura colposa delle condotte, in deroga al principio di affidamento e autoresponsabilità.
Pertanto, la mera possibile riconducibilità anche ad altri garanti della sicurezza pubblica dell’omesso esercizio di poteri/doveri impeditivi, non avrebbe certamente alcun effetto esonerativo della responsabilità del COGNOME, funzionario addetto, per conto della Provincia di Grosseto, al servizio di viabilità.
Con motivazione esauriente e coerente, peraltro, le due sentenze di merito hanno ben spiegato che l’addebito al COGNOME è sostanzialmente relativo alla omessa vigilanza sulla condotta dell’appaltatore, cui era stato affidato il compito di provvedere alla modificazione emergenziale della segnaletica stradale, così omettendo l’ efficace attivazione del potere/dovere di impedire l’evento, mediante l’esplicita richiesta di intervento alle Forze dell’ordine per presidiare la strada e impedirvi il transito.
Si tratta di condotta omissiva determinante nella causazione dell’evento, giacché proprio al COGNOME, soggetto partecipante alle attività del Centro di Coordinamento dei Soccorsi, spettava l’obbligo di avvisare che il divieto di transito non fosse rispettato e che la Provincia non era in grado di effettuare la valida chiusura della strada.
L’ omissione di una condotta doverosa non può essere elisa dalla casuale conoscenza, da parte di taluni Carabinieri operanti in loco , dell’avvenuta chiusura della strada e della violazione del divieto di transitarvi da parte di alcuni automobilisti, posto che è all’ente proprietario, mediante l’attività del responsabile del servizio di viabilità, che la legge ha affidato il compito di gestire il relativo rischio in via di investitura primaria. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in tema di responsabilità per colpa, sussiste in capo all’ente proprietario di una strada, destinata ad uso pubblico, una posizione di garanzia da cui deriva l’obbligo di vigilare affinché quell’uso si svolga senza pericolo, anche in caso di concessione di appalto per l’esecuzione di lavori di manutenzione e sorveglianza stradale (Sez. 4, n. 16754 del 21/02/2023, COGNOME, Rv. 284564 – 01).
Il principio è stato affermato con riferimento all’art. 14 cod. strada e questa norma è certamente idonea a fondare una posizione di garanzia in capo ai soggetti preposti alla manutenzione delle «aree ad uso pubblico destinate alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali» (questa la definizione di strada fornita dall’art. 2 del d.lgs. 30 aprile 1992, n.285).
La proprietà della strada e la destinazione di essa al pubblico uso, infatti, comportano il dovere per l’ente proprietario di far sì che quell’uso si svolga senza
pericolo per gli utenti (in tal senso anche Sez. 4, n. 11453 del 20/12/2012, dep. 2013, COGNOME Marsala, Rv. 255423 – 01).
10. Il pubblico amministratore committente non perde, dunque, in conseguenza dell’appalto dei lavori di manutenzione e sorveglianza delle strade, l’obbligo di vigilanza la cui omissione è fonte di responsabilità, qualora concorrano le circostanze della conoscenza del pericolo, dell’evitabilità dell’evento lesivo occorso a terzi e dell’omissione dell’intervento diretto all’eliminazione dei rischi» (Sez. 4, n. 37589 del 05/06/2007, COGNOME, Rv. 237772 – 01). Dunque, il COGNOME, nella concorde e corretta valutazione dei giudici di merito, è incorso nella responsabilità ascrittagli nel capo d’imputazione, perché ha violato la regola cautelare di vigilare sulla chiusura effettiva della strada, omettendo di richiedere l’intervento delle forze dell’ordine per interdire effettivamente al traffico la circolazione sulla strada, pur essendo incontestato che la società appaltatrice del servizio avesse reso noto all’ente proprietario, in persona del COGNOME, di non avere a disposizione idonea cartellonistica di divieto di transito e relative transenne e che la segnaletica apposta in concreto veniva reiteratamente spostata dagli automobilisti in transito.
11. Alla pagina 18 della sentenza impugnata, la Corte territoriale ha ricostruito, in fatto, che nella giornata del 12 novembre non era stata effettuata la vigilanza sulla effettiva corretta esecuzione dell’ordine di chiusura della strada, nonostante le segnalazioni telefoniche del COGNOME avvenute alle 3,00 e alle 5,15 del mattino, e dello stesso COGNOME, quanto alla situazione idraulica del fiume e alla permanenza del traffico veicolare. È stato dunque correttamente ravvisato il mancato il rispetto sia delle comuni regole di esperienza, secondo cui il rischio non può essere efficacemente gestito se le misure di prevenzione adottate non vengono rispettate, sia il rispetto della specifica normativa che regola il posizionamento del divieto di transito, disciplinato dal Regolamento di esecuzione del codice della strada; con ciò integrandosi una forma di colpa specifica. In altri termini, attesa la consapevolezza in capo al Tozzini della non conformità della segnaletica e della parzialità della concreta transennatura apposta, in modo del tutto logico, i giudici del merito hanno ritenuto che richiedere l’intervento della Forza pubblica per impedire efficacemente il transito mediante la chiusura effettiva della strada avrebbe evitato l’evento; si è validamente osservato che l’efficacia determinante della stessa era stata in concreto dimostrata dall’intervento operato mettendo di traverso la macchina di servizio dei Carabinieri, dopo il crollo della strada. Che l’evento crollo, con la consequenziale morte degli occupanti la vettura in transito, fosse prevedibile da parte del
geometra COGNOME la Corte d’appello lo ha correttamente dedotto dalle competenze professionali dello stesso e dalle specifiche informazioni tecniche ricevute dal COGNOME, oltre che di quelle sullo stato della transennatura ottenute dal Conti.
Di tali aspetti fondanti della motivazione i ricorrenti non si curano nella proposizione dei motivi, spostando su altri soggetti istituzionali, partecipi delle funzioni di Protezione Civile, il peso della responsabilità del COGNOME consistita nell’aver omesso la condotta impeditiva dell’evento mortale.
Il secondo motivo del ricorso proposto dal COGNOME ha per oggetto la mancata applicazione, quoad poenam , della circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dall’art. 589 bis , comma 7, cod.pen. Il ricorrente deduce che la Corte di appello, pur riconoscendo le circostanze attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, si sia limitata a ridurre l’importo della somma concessa in via provvisionale, dopo aver ritenuto il concorso di colpa delle persone offese dal reato, senza però applicare la corrispondente riduzione di pena.
Il motivo è manifestamente infondato. Il ricorrente, considerato che il giudice di merito ha riconosciuto ai fini del calcolo della provvisionale, una condotta concorsuale delle vittime, invoca l’applicazione della circostanza attenuante prevista dall’art. 589 bis , comma 7, cod. pen., introdotta con l. 23 marzo 2016, n. 41, che così dispone: «Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà».
14.1. Va considerato che, posto che il reato ascritto al ricorrente è stato commesso il 12 novembre 2012 e che l’art. 589 bis cod. pen. è stato introdotto con legge entrata in vigore il 25 marzo 2016, la questione deve essere risolta secondo la regola della successione di leggi penali nel tempo dettata dall’art. 2 cod. pen.
Secondo tale regola, si può derogare al principio della irretroattività della legge penale, espressione del principio costituzionale di legalità (art. 25 Cost.), purché la legge posteriore sia più favorevole al reo, sia in termini di elementi costitutivi della fattispecie astratta di reato sia in termini di trattamento sanzionatorio. Nel caso in cui la legge posteriore abbia disposto l’abolitio criminis , sia in caso di soppressione integrale di una figura di reato, sia nella differente ipotesi di ridefinizione dei contorni della norma, così da restringerne l’area applicativa, la retroattività è totale e i fatti commessi anteriormente all’entrata in
vigore della nuova disciplina non potranno essere considerati, in tutto o in parte, reato né sottoposti a sanzione penale. Ma, nel caso in cui la legge posteriore abbia solo modificato la disciplina previgente, si pone la questione di individuare la disciplina più favorevole ai fini e per gli effetti di cui all’art. 2, comma 4, cod. pen.; tale valutazione può riguardare anche la disciplina delle circostanze del reato (Sez. 6, n. 47523 del 29/10/2013, COGNOME, non mass. sul punto).
14.2. Quando il raffronto tra le due discipline investa il potere discrezionale del giudice, come avviene in tema di trattamento sanzionatorio, si deve svolgere un’analisi relativa al caso concreto, guardando alla situazione di maggiore o minore vantaggio che derivi all’imputato dall’applicazione dell’una o dell’altra disciplina, cioè in relazione al fatto contestato, prescindendo dai profili di maggiore o minor favore che astrattamente una disciplina presenti rispetto all’altra; tale analisi impone, in ossequio al rispetto del principio di legalità, di raffrontare le due discipline nella loro interezza, essendo vietato estrapolare dall’una e dall’altra le disposizioni più favorevoli in modo da delineare una terza disciplina (Sez. 4, n. 7961 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 255103).
14.3. Esaminando, dunque, il caso concreto, il giudice di merito ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, calcolando la pena nel seguente modo: pena base per il reato di cui all’art. 589, comma 2, cod. pen. in misura pari ad anni due di reclusione, ridotta a 1 anno e mesi 4 per le attenuanti generiche e aumentata ad anni 1 e mesi 6 in ragione del concorso formale, ex art. 81 cod.pen., per la previsione di cui all’art. 589, comma quarto, cod.pen. Nel caso concreto, il giudice ha correttamente optato per l’applicazione della disciplina previgente per le ragioni che seguono.
14.4. Indubbiamente, si è in presenza di un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo. Nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla l. n.41/2016, l’art. 589, comma 2, cod. pen. prevedeva, quale ipotesi aggravata speciale, il reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, con la pena, determinata in via autonoma rispetto alla fattispecie base di cui al comma 1, della reclusione da 2 a 7 anni. La circostanza aggravante speciale non era soggetta, diversamente da quella di cui all’art. 589, comma 3, cod. pen. (Sez. 4, n. 33792 del 23/04/2015, N., Rv. 264331), al regime derogatorio della disciplina relativa al giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee stabilito dall’art. 590 bis cod. pen. (sempre nella formulazione anteriore alla novella del 2016). La possibilità di applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di bilanciamento rispetto all’aggravante della violazione delle norme sulla circolazione stradale poteva, quindi, condurre all’irrogazione di una pena collocabile in un quadro edittale diverso, corrispondente alla pena stabilita dall’art. 589, comma 1, cod. pen., pari alla reclusione da sei
mesi a cinque anni. In caso di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, tale pena poteva determinarsi in misura massima non inferiore a 3 anni e 4 mesi. In caso di concorrenza di altra circostanza attenuante, la pena poteva ulteriormente ridursi, ai sensi dell’art.63, comma 2, cod. pen. sino a 2 anni, 2 mesi e 20 giorni.
14.5. Il quadro sanzionatorio è mutato con l’introduzione del reato di omicidio stradale ex art. 589 bis cod. pen., per effetto della citata legge n.41. Al limitato fine di esaminare la nuova fattispecie in funzione della decisione, la modifica normativa ha interessato, da un lato, la previsione della originaria circostanza aggravante di cui all’art. 589, comma 2, cod. pen. quale elemento costitutivo di una autonoma fattispecie delittuosa, punita con pena edittale massima di 7 anni e, dall’altro, l’enucleazione della circostanza attenuante speciale del concorso colposo della vittima, che determina a norma dell’art. 589 bis , comma 7, cod. pen. la riduzione della pena fino alla metà; in precedenza, il concorso colposo della vittima poteva essere valutato quale circostanza attenuante generica, data la limitazione dell’attenuante comune prevista dall’art. 62 n.5 cod. pen. al fatto doloso della persona offesa.
14.6. Tali innovazioni, da un lato, limitano l’incidenza delle circostanze attenuanti, insuscettibili di operare con giudizio di bilanciamento rispetto all’elemento della violazione di norme sulla circolazione stradale, ma consentono, dall’altro, una maggiore riduzione della pena qualora concorra il fatto colposo della vittima. La pena sulla quale operare l’ulteriore riduzione in caso di concorso di più circostanze attenuanti ai sensi dell’art. 63, comma 2, cod. pen. è, dunque, oggi, ridotta ai sensi dell’art. 589 bis , comma 7, cod. pen. a 3 anni e 6 mesi. Ma, secondo quanto già affermato da questa Sezione (Sez. 4, n. 29721 del 01/03/2017, COGNOME, Rv. 270918), ancorchè la disciplina dettata dall’art. 589 bis , comma 7, cod. pen., nel caso di concorso di colpa della vittima, costituisca norma sopravvenuta più favorevole in quanto idonea a ridurre fino alla metà la pena ordinaria della reclusione da due a sette anni, a diversa conclusione deve giungersi nel caso in esame, in cui il giudice ha applicato le circostanze attenuanti generiche, giacchè, in tal caso, disciplina più favorevole deve essere considerata quella previgente, recuperandosi la meno rigorosa forbice edittale prevista dall’art.589, comma 1, cod. pen.
14.7. Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha applicato la disciplina previgente. Occorre, infatti, evidenziare che il tenore letterale dell’art. 2 cod. pen., che richiama le «disposizioni più favorevoli», indica che il raffronto tra le due discipline debba avere riguardo alla pena massima risultante, nelle due ipotesi, dall’incidenza sul calcolo della pena dei due elementi «circostanziali» della violazione delle norme sulla circolazione stradale e del concorso colposo della
vittima, dovendosi escludere la riferibilità agli indici di concreta gravità previsti dall’art.133 cod. pen.; ne consegue che, nel caso concreto, la disciplina sopravvenuta non avrebbe comportato una normativa di favore per l’imputato, non essendo ammessa, come detto, l’individuazione di una terza disciplina desumibile dall’integrazione tra disposizioni di entrambe le leggi ( Sez. 4, n. 13207 del 27/01/2022, Premoli, Rv. 282936 – 01).
I ricorsi delle parti civili.
15. I ricorsi sono in parte fondati. Con i primi due motivi, analoghi in ciascuno dei ricorsi, si denuncia il vizio di inosservanza ed erronea applicazione di legge, che si indica, oltre che nell’art. 589 cod.pen. e nell’art. 40, commi primo e secondo, cod.pen., anche in diverse disposizioni del codice della strada e del relativo Regolamento di esecuzione e attuazione, nella Direttiva del Ministero dei lavori pubblici 24.10.2000 e negli artt. 1 e 10 del contratto di appalto, nonché grave vizio di motivazione, relativamente alla individuazione dei poteri/doveri derivanti dalla posizione di garanzia ricoperta da NOME COGNOME con riferimento alla affermazione della non esigibilità di una condotta impeditiva dell’evento di natura sollecitatoria. La sentenza impugnata, in effetti, incorre nei vizi denunciati. I motivi in esame pongono il tema generale della difformità delle sentenze di merito, nello specifico in senso favorevole all’imputato COGNOME imponendosi dunque una doverosa premessa mediante il richiamo ai principi che questa Corte ha già da tempo elaborato in tema di onere motivazionale, al fine di procedere al controllo di legittimità della pronuncia impugnata, tenuto conto della diversità delle situazioni prospettabili.
15.1. In linea generale, quando le decisioni dei giudici di primo e di secondo grado sono concordanti, la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico, complesso corpo argomentativo; mentre, nel caso in cui, per diversità di apprezzamenti, per l’apporto critico delle parti e/o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, non può risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado – genericamente richiamata – delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni e argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle
difformi conclusioni (Sez. U, n. 6682 del 4/2/1992, COGNOME, Rv. 191229 – 01). Si tratta, invero, di principi successivamente approfonditi, muovendo dai quali si è anche affermato che, in caso di totale riforma della decisione di primo grado, il giudice dell’appello ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, COGNOME, Rv. 231679 – 01), mettendo alla luce carenze e aporie di quella decisione sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del decisum impugnato (Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327 – 01), dando alla decisione, pertanto, una nuova e compiuta struttura motivazionale (Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258005 – 01; Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013, COGNOME, Rv. 257332 – 01; Sez. 4, n. 35922 del 11/07/2012, COGNOME, Rv. 254617 – 01).
15. 2. Il controllo di legittimità, nel caso in cui il ribaltamento del primo verdetto sia favorevole all’imputato, dunque, va condotto non già alla stregua del canone del “ragionevole dubbio”, evidentemente estraneo alla fattispecie, ma dei principi sopra richiamati che hanno trovato implementazione in successive pronunce di legittimità. In maniera condivisibile, si è così affermato che il giudice d’appello, in caso di riforma, in senso assolutorio, della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, non è obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, ma è tenuto a dare puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez. 4, n, 4222 del 20/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268948, in fattispecie in cui la SRAGIONE_SOCIALE, accogliendo il ricorso proposto dalle sole parti civili, ha annullato agli effetti civili la sentenza di assoluzione di secondo grado che, nel ribaltare la precedente decisione di condanna, aveva genericamente affermato l’esistenza di un ragionevole dubbio in merito agli addebiti di colpa degli imputati, senza approfondire adeguatamente la plausibilità tecnica della ricostruzione alternativa dei fatti, prospettata dalla difesa).
16. In definitiva, deve ribadirsi, alla stregua del diritto vivente via via delineatosi, che il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se
necessario, la prova dichiarativa decisiva (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272430 – 01).
17. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, la Corte ritiene che il percorso giustificativo rinvenibile nella sentenza impugnata non superi il vaglio di legittimità, quanto a congruità della motivazione e sua idoneità a sorreggere il ribaltamento della decisione che aveva riconosciuto la responsabilità del Conti in ordine all’evento contestato. Le censure dei ricorrenti sul punto specifico sono fondate, proprio alla luce dei richiamati principi.
Entrambi i giudici del merito, pur pervenendo a differenti conclusioni quanto alla posizione del Conti, hanno riconosciuto che lo stesso, quale referente tecnico di zona di RAGIONE_SOCIALE, società incaricata dalla Provincia di Grosseto della manutenzione e del pronto intervento anche sulla INDIRIZZO, fosse titolare di una posizione di garanzia, sia in ragione degli specifici obblighi assunti per conto di RAGIONE_SOCIALE (assuntrice dell’appalto del servizio di intervenire sulla segnaletica stradale della strada provinciale 94), che per la positiva condotta pericolosa intrapresa, per cui gli è stata contestata una condotta violativa della regola cautelare finalizzata ad impedire l’evento (morte delle tre vittime a seguito di precipitazione dell’autovettura nelle acque del fiume Albenga); condotta consistente nel non aver dato adeguata esecuzione alla disposizione di chiusura della strada, nel non aver esercitato i propri poteri impeditivi, chiedendo l’intervento della forza pubblica, già impegnata nello specifico servizio di protezione civile all’interno del Centro operativo costituito presso la Prefettura.
18. La fonte della posizione di garanzia in capo al Conti, nella qualità di dipendente e referente tecnico, è stata individuata nel contratto di appalto, intercorso tra RAGIONE_SOCIALE, facente parte dell’associazione temporanea d’imprese aggiudicataria, incaricata del pronto intervento e della manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade provinciali della zona 1 Sud della Provincia di Grosseto, oltre che nella sua precedente condotta pericolosa, relativa alla inadeguata esecuzione della transennatura della strada. La sentenza impugnata non dubita che in effetti al Conti spettasse l’attribuzione di tale duplice posizione di garanzia. Ciò è conforme a diritto, posto che tra le fonti dell’obbligo di garanzia rientrano oltre che le norme di legge – anche le fonti convenzionali, tra le quali è certamente da ricomprendere un contratto tipico, come quello di appalto (Sez. 4, n. 25527 del 22/05/2007, Conzatti, Rv. 236852 – 01; Sez. 3, n.40618 del 22/09/2004, COGNOME, non mass.). Ciò che rileva ovviamente per l’operatività dell’obbligo di garanzia, quale che sia la fonte a cui il medesimo si riconduce, è che, in ossequio al principio di personalità della responsabilità penale, vi sia stata la concreta assunzione da parte
del garante dei poteri-doveri impeditivi non solo giuridici, ma anche fattuali dell’evento dannoso o pericoloso. Evenienza positivamente accertata da entrambi i giudici del merito, i quali hanno messo in evidenza che il Conti assunse concretamente la gestione dell’attività di materiale esecuzione dell’ordine di chiusura della strada, avvalendosi del personale operaio a servizio di RAGIONE_SOCIALE, il quale lo aveva pure informato della reale inadeguata modalità di realizzazione dell’opera.
La Corte territoriale, pur nella totale adesione alla ricostruzione in fatto del Tribunale, ha ribaltato il giudizio facendo ricorso a una nozione di inesigibilità della condotta sollecitatoria dei poteri di intervento della Forza pubblica priva di collegamento logico con le accertate premesse ed errata in diritto.
Ha errato la sentenza impugnata nel rimproverare al giudice di primo grado di aver confuso la posizione del COGNOME con quella del COGNOME, dimenticando che il COGNOME non aveva le competenze per valutare la pericolosità del livello del fiume, per valutare il pericolo di crollo del rilevato, per allertare e fare intervenire direttamente le Forze dell’ordine e che non poteva organizzare il presidio della strada INDIRIZZO, né sotto il profilo oggettivo, in relazione alla disponibilità di strumenti, mezzi e uomini, né sotto il profilo soggettivo.
La Corte d’appello, oltre a trascurare la peculiarità della reciproca relazione intercorrente tra i due soggetti in posizione di garanzia, all’interno della organizzazione della Protezione civile su delineata, generata dalla esistenza dell’appalto avente ad oggetto la gestione della emergenza sulla viabilità, non fornisce motivazione puntuale e adeguata per confutare le concrete ragioni sulle quali il Tribunale aveva ritenuto la responsabilità del Conti. Quest’ultimo, lungi dall’aver appiattito le posizioni di COGNOME e di COGNOME, confermando l’impostazione accusatoria, ha ravvisato la responsabilità del COGNOME nella omessa vigilanza sull’operato del COGNOME e la responsabilità di quest’ultimo nella inadeguata realizzazione della condotta dovuta. Al COGNOME, in sostanza, si è addebitato di non aver impedito in concreto la realizzazione del rischio creato dalla propria precedente condotta.
Va ribadito che l’esistenza di una fonte di pericolo impone di per sé, a carico di chi l’ha generata con la propria condotta, l’intervento volto a eliminare quest’ultimo o, ove non possibile una soluzione radicale, almeno a ridurlo, senza alcun rilievo del carattere occulto o meno di tale pericolo, ferma restando l’ipotizzabilità di un concorso dell’utente della strada ove tenga una condotta colposa causalmente efficiente. L’intervento richiesto non è legato alla titolarità di
peculiari poteri pubblici, come ritenuto erroneamente dalla Corte d’appello, ma va individuato nell’attività, concreta e di fatto, di natura sollecitatoria dell’intervento di terzi capaci di impedire la realizzazione del rischio generato dalla precedente condotta pericolosa.
22. Nel caso di specie, dunque, non risulta adeguatamente confutato l’argomento addotto dalla sentenza di primo grado circa l’esigibilità dell’intervento sollecitatorio del Conti rivolto alla Forza pubblica, finalizzato a porre rimedio alla inadeguata e irregolare situazione della segnaletica stradale dallo stesso realizzata. Peraltro, correttamente il Tribunale aveva sottolineato la qualificazione professionale del responsabile della società aggiudicatrice dell’appalto pubblico in ordine all’attività richiesta e, su tale punto, la Corte territoriale introduce (con evidente salto logico) il tema della non esigibilità della condotta alternativa in ragione della limitatezza professionale del geometra COGNOME, confondendo la prevedibilità del pericolo di crollo della spalla del ponte (del tutto estraneo alla imputazione allo stesso riferita) con quello della consapevolezza della inadeguatezza della segnaletica apprestata.
23. La motivazione, inoltre, è intrinsecamente contraddittoria laddove pare riconoscere il carattere colposo del mancato esercizio dei poteri sollecitatori finalizzati all’intervento di terzi, per poi ritenerli soddisfatti mediante le reiterate comunicazioni al COGNOME. In capo al garante, come si è rilevato, grava non solo l’obbligo di impedire direttamente e personalmente l’evento, ma anche quello, laddove l’obbligo principale risulti impossibile da rendere, meramente sollecitatorio di terzi qualificati, quale la richiesta di intervento delle Forze dell’ordine.
24. Si tratta, in altre parole, di un criterio di attribuzione della responsabilità colposa al soggetto garante del rischio e artefice della condotta pericolosa generatrice dell’evento, che è anche necessariamente obbligato ad esercitare tutte le azioni concrete e immediate, dirette e necessarie a impedire il verificarsi dell’evento medesimo. Nel caso di specie, si è in presenza di una concreta norma cautelare dal contenuto comportamentale definito, posto che al Conti, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non si è addebitata l’inesigibile, attesa la sua funzione, mancata previsione della possibilità di crollo del ponte, ma la condotta e negligente e imperita consistente nel sommario apprestamento della segnaletica e della transennatura della strada che avrebbe dovuto realizzare la concreta chiusura della stessa. Illogicamente, la Corte territoriale, dalla conclamata assenza di disponibilità di idonea segnaletica al
momento della vicenda in atti, trae il fondamento di una inesigibilità della condotta alternativa lecita, senza nemmeno indicare i termini della contrapposizione costrittiva, risolta in favore della tutela dell’imputato, tra accettazione della inadeguata esecuzione dell’ordine di chiusura e cessazione dell’attività esecutiva oggetto dell’appalto. Non ha considerato che, proprio l’aver dato inizio alla condotta pericolosa, realizza una situazione concreta che determina l’ambito dei poteri impeditivi esigibili da parte del garante e il livello d’intervento da considerare adeguato, ferma restando la necessità che la condotta adeguata sia individuata con valutazione ex ante .
25. Tali poteri/doveri, come è evidente, non si confondono, come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata, con la titolarità giuridica del potere di disporre delle Forze dell’ordine, ma consistono innanzi tutto nel potere di sollecitarne l’intervento, spettante a chiunque si trovi a gestire il rischio, laddove non si ha a disposizione alcun altro mezzo idoneo a impedire l’evento.
26. Sono invece inammissibili i motivi, terzo e quarto dei ricorsi, relativi al riconoscimento del concorso di colpa delle vittime e alla determinazione della provvisionale. La decisione della Corte d’appello, relativa all’accertamento del presupposto che la segnaletica stradale apposta dalla società appaltatrice fosse tale da far scattare nella mente del conducente, quanto meno, la previsione del pericolo nel procedere, si correla all’esclusivo punto della decisione che riguarda il riconoscimento di una somma a titolo di provvisionale.
27. In ordine a tale capo della sentenza impugnata, non è ammessa l’impugnazione, in applicazione del consolidato principio secondo cui il provvedimento che assegna la provvisionale ha natura provvisoria e non ha contenuto decisorio in quanto non definisce una controversia sul punto ed anche se non impugnato non diventa mai definitivo. Esso ha valore ordinatorio e resta legato alla fase particolare del giudizio penale e destinato ad essere assorbito nella decisione definitiva sul punto. Come tale non è compreso fra quelli contro cui è ammesso ricorso per Cassazione (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773 – 02).
28. È infine fondato il quinto motivo, giacché la sentenza impugnata non ha provveduto, non rispondendo alla specifica richiesta delle parti civili, a regolare le spese del giudizio nei confronti dell’imputato, comunque condannato seppure a pena più mite e che aveva chiesto il rigetto delle domande civili, quanto al grado d’appello nonostante il chiaro disposto dell’art. 541 cod.proc.pen. Trattandosi di
esercizio di poteri discrezionali, potendosi anche giungere alla compensazione delle stesse, non è percorribile la strada della correzione di omissione materiale e la sentenza va quindi annullata sul punto con rinvio al giudice indicato in dispositivo (Sez. 1, n. 45238 del 28/05/2013, Foggetti, Rv. 257721 – 01; Sez. 5, n. 33135 del 22/09/2020, Rv. 279833 – 01).
29. In definitiva, i ricorsi proposti da NOME COGNOME e dal responsabile civile vanno dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 ciascuno in favore della cassa delle ammende. Agli effetti civili, vanno accolti, in parte qua , i ricorsi proposti da COGNOME NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, gli ultimi tre anche in qualità di eredi di NOME, deceduto nelle more del giudizio, e, per l’effetto, la sentenza impugnata va annullata nei confronti di NOME e, quanto al quinto motivo dei ricorsi delle parti civili, anche nei confronti di NOME COGNOME e della Provincia di Grosseto, ai sensi dell’art. 622 cod.proc.pen., con rinvio al giudice civile competente per valore cui va demandata anche la regolazione delle spese relative al presente giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Umberto e della Provincia di Grosseto limitatamente all’omessa statuizione sulle spese processuali concernenti l’azione civile, con rinvio sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello. Demanda al giudice civile la regolamentazione delle spese tra le parti del presente giudizio di legittimità. Dichiara inammissibili i ricorsi delle parti civili nel resto. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME Umberto e della Provincia di Grosseto e li condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 15/05/2025.