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Posizione di garanzia badante: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per omicidio colposo a carico di due persone che assistevano un anziano affetto da Alzheimer. L’uomo è deceduto a seguito di una caduta in un cortile non sicuro, dove era stato lasciato solo con un deambulatore. La Corte ha stabilito che i due assistenti rivestivano una ‘posizione di garanzia’, avendo quindi l’obbligo giuridico di proteggere l’incolumità dell’anziano. La loro negligenza nel non garantire un ambiente sicuro e una sorveglianza adeguata è stata ritenuta la causa diretta della morte, rendendo prevedibile ed evitabile l’evento. La decisione sottolinea come la responsabilità sussista anche per chi non era presente al momento del fatto, ma ha contribuito a creare la situazione di pericolo.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Posizione di garanzia badante: quando la negligenza porta a una condanna per omicidio colposo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32923/2025, affronta un caso delicato e dalle profonde implicazioni pratiche, relativo alla responsabilità penale di chi si prende cura di persone anziane e non autosufficienti. La decisione chiarisce i contorni della posizione di garanzia badante, un concetto giuridico fondamentale che impone doveri di protezione e sorveglianza. Il caso esaminato riguarda la tragica morte di un uomo affetto da Alzheimer, deceduto a seguito di una caduta avvenuta mentre si trovava sotto la custodia di due assistenti, poi condannati per omicidio colposo.

I fatti del caso

La vicenda si svolge in una dimora privata, adibita di fatto a struttura di accoglienza per anziani, gestita da due persone. Tra gli ospiti vi era un uomo anziano, invalido al 100% e affetto dal morbo di Alzheimer, le cui condizioni di salute erano gravemente compromesse e in progressivo peggioramento.
Un giorno, i due assistenti hanno posizionato l’anziano nel cortile dell’immobile, affidandolo a un deambulatore (girello) perché potesse muoversi. Tuttavia, l’area esterna era piena di insidie: il terreno era sconnesso, vi erano residui di lavori edili, un canale di scolo e animali da cortile che si muovevano liberamente. In questo contesto, l’anziano è caduto, battendo la testa su una zona cementificata. Il trauma cranico si è rivelato fatale e l’uomo è deceduto il giorno seguente.

Il percorso giudiziario e la posizione di garanzia badante

Il percorso legale è stato complesso. In primo grado, gli imputati erano stati assolti. La Corte d’Assise d’Appello, in riforma, li aveva invece condannati per abbandono di persona incapace aggravato dalla morte. Tale sentenza era stata annullata con rinvio da una precedente pronuncia della Cassazione per vizi di motivazione. Infine, la nuova Corte d’Assise d’Appello, riqualificando il fatto, ha condannato entrambi gli imputati per omicidio colposo. È contro questa decisione che i due hanno proposto ricorso in Cassazione, che è stato però rigettato.

Il fulcro della decisione della Suprema Corte ruota attorno alla posizione di garanzia badante. Accogliendo l’anziano nella loro casa e assumendosi il compito di assisterlo, gli imputati erano diventati i garanti della sua incolumità. Questo ruolo non si limitava a fornire vitto e alloggio, ma imponeva un dovere attivo di protezione, specialmente considerando l’evidente vulnerabilità e le precarie condizioni di salute dell’assistito.

La prevalenza della prova documentale

Un punto cruciale del ricorso riguardava il contrasto tra le testimonianze (che descrivevano l’anziano come ancora in grado di deambulare con difficoltà) e i certificati medici (che attestavano una gravissima compromissione motoria, definendo la deambulazione ‘non consentita’ se non con assistenza e doppio appoggio). La Corte ha ritenuto i certificati medici, redatti da personale specializzato poco prima del decesso, come prova decisiva e più attendibile, svalutando le dichiarazioni testimoniali ritenute generiche e non collocate temporalmente con precisione.

Le motivazioni della Corte

La Cassazione ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso, confermando la logicità e coerenza della sentenza di condanna. La motivazione si basa su diversi pilastri.

In primo luogo, la Corte ha affermato che la gravità delle condizioni dell’anziano era immediatamente percepibile, a prescindere dal fatto che gli assistenti avessero letto o meno i certificati medici. La loro condotta è stata giudicata gravemente negligente e imprudente per aver lasciato solo, in un ambiente palesemente pericoloso, una persona non in grado di deambulare autonomamente, per di più affidata a uno strumento instabile come un girello.

In secondo luogo, è stato stabilito il nesso causale tra questa condotta omissiva e la morte. Attraverso un giudizio controfattuale, la Corte ha concluso che se gli assistenti avessero adottato il comportamento dovuto – ovvero sorvegliare costantemente l’anziano, tenerlo per mano o collocarlo su una sedia a rotelle con cinture di sicurezza – la caduta sarebbe stata scongiurata con elevata probabilità. La semplice presenza di uno degli assistenti a pochi metri di distanza è stata giudicata irrilevante, in quanto si trattava di una presenza passiva e disinteressata, non di una vigilanza attiva.

Infine, la Corte ha respinto la tesi difensiva relativa all’assenza di una delle imputate al momento della caduta. La sua responsabilità concorsuale deriva dall’aver contribuito a creare e a mantenere la situazione di pericolo, avendo deciso insieme al coimputato di posizionare l’anziano in quel cortile insicuro.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza un principio fondamentale: chi si assume la cura di una persona fragile e non autosufficiente acquisisce una posizione di garanzia che comporta precisi obblighi di protezione. Non è sufficiente una sorveglianza passiva; è necessaria una vigilanza attiva e la creazione di un ambiente sicuro, proporzionato alle condizioni dell’assistito. La violazione di queste regole cautelari, dettate prima ancora che dalla legge dal comune buon senso, può integrare il grave reato di omicidio colposo. La decisione serve da monito per tutti coloro che operano nel settore dell’assistenza, sottolineando che la tutela della vita e dell’incolumità degli assistiti è un dovere giuridico non delegabile e la cui violazione comporta conseguenze penali molto severe.

Quando un badante o un assistente assume una ‘posizione di garanzia’ nei confronti della persona assistita?
Un assistente assume una posizione di garanzia nel momento in cui accoglie una persona non autosufficiente e si impegna a prendersene cura. Questo ruolo comporta l’obbligo giuridico di proteggere attivamente la vita e l’incolumità dell’assistito da ogni pericolo.

La responsabilità penale di un assistente sussiste anche se non è fisicamente presente al momento dell’incidente?
Sì. La sentenza chiarisce che la responsabilità penale per l’evento dannoso può sussistere anche per chi non è presente al momento del fatto, se ha contribuito a creare o a non eliminare la situazione di pericolo che ha poi portato all’incidente.

In caso di contrasto tra le prove, i certificati medici prevalgono sulle testimonianze?
Non sempre, ma in questo caso specifico sì. La Corte ha ritenuto che i certificati medici, redatti da specialisti in un momento molto vicino all’evento e descriventi una condizione clinica grave e oggettiva, avessero un’attendibilità e una forza probatoria superiori rispetto a dichiarazioni testimoniali ritenute generiche e non precisamente collocate nel tempo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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