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Porto oggetti atti ad offendere: la Cassazione

Un soggetto viene condannato per il porto di oggetti atti ad offendere (due coltelli e un’ascia) rinvenuti nell’auto che stava guidando, sebbene intestata a un’altra persona. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso, affermando che la responsabilità del conducente sussiste a prescindere dalla proprietà del veicolo, essendo egli l’unico ad avere la disponibilità immediata degli oggetti e non avendo fornito un giustificato motivo per il loro porto.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Porto di oggetti atti ad offendere: chi guida è responsabile

Il porto di oggetti atti ad offendere è un reato che suscita spesso dubbi interpretativi, specialmente quando gli oggetti vengono rinvenuti all’interno di un veicolo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la responsabilità penale ricade sul conducente del veicolo, anche se non ne è il proprietario. Analizziamo insieme la decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla condanna di un uomo, sia in primo grado che in appello, per il reato previsto dall’art. 4 della legge n. 110/1975. Durante un controllo, all’interno dell’autovettura da lui condotta venivano rinvenuti due coltelli e un’ascia. All’imputato veniva applicata una pena di due mesi di arresto e un’ammenda, pur con la concessione delle attenuanti generiche.

L’elemento cruciale della difesa si basava su due punti: l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato al momento del controllo e il fatto che l’automobile fosse intestata a un’altra persona. Secondo la tesi difensiva, questi elementi avrebbero dovuto far venir meno la prova della sua responsabilità per il porto degli oggetti.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione articolando due principali doglianze:

1. Erronea applicazione della legge penale: Si sosteneva che le dichiarazioni dell’imputato durante la perquisizione fossero state acquisite in violazione delle norme procedurali (art. 63 e 350 c.p.p.), rendendole inutilizzabili. Di conseguenza, mancava la prova che fosse lui a ‘portare’ gli oggetti, dato che il veicolo non era di sua proprietà.
2. Illogicità della motivazione: La difesa lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), nonostante la pena fosse stata fissata nel minimo, l’assenza di precedenti specifici e la ridotta pericolosità della condotta.

Le Motivazioni della Cassazione sul porto di oggetti atti ad offendere

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni della difesa. I giudici di legittimità hanno chiarito un punto di diritto essenziale in materia di porto di oggetti atti ad offendere. La Corte ha stabilito che la questione dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni era irrilevante ai fini della decisione sulla colpevolezza.

Il fulcro della responsabilità, secondo la Suprema Corte, risiede nella disponibilità materiale e immediata degli oggetti. Il soggetto che guida un’autovettura ha il controllo e la disponibilità di ciò che si trova al suo interno. Pertanto, è su di lui che grava l’onere di fornire un giustificato motivo per la presenza di tali oggetti. L’intestazione del veicolo a un’altra persona (non presente al momento del fatto) non è sufficiente a escludere la responsabilità del conducente, che è l’unico soggetto ad avere la signoria di fatto sugli oggetti rinvenuti.

La Corte ha ritenuto che il ricorso non superasse il rilievo, già evidenziato nei gradi di merito, dell’assenza totale di un’allegazione difensiva circa un motivo legittimo per il porto dei due coltelli e dell’ascia. In assenza di una valida giustificazione, la colpevolezza del conducente è correttamente affermata.

Conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. Chiunque si trovi alla guida di un veicolo è considerato responsabile degli oggetti trasportati al suo interno, a prescindere da chi ne sia il formale proprietario. Per evitare di incorrere nel reato di porto di oggetti atti ad offendere, è indispensabile essere in grado di fornire un motivo valido e credibile che ne giustifichi la presenza. La mera circostanza di guidare un’auto altrui non costituisce, di per sé, una scusante.

Se guido l’auto di un amico e la polizia trova un coltello, sono responsabile?
Sì, secondo quanto stabilito dalla sentenza, la responsabilità penale per il porto di oggetti atti ad offendere ricade sul conducente, in quanto è la persona che ha l’immediata disponibilità dell’oggetto, a meno che non sia in grado di fornire un giustificato motivo per la sua presenza.

La proprietà del veicolo è irrilevante ai fini del reato?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’intestazione del veicolo a un’altra persona non esclude la responsabilità del conducente, poiché ciò che conta è il controllo e la disponibilità materiale degli oggetti al momento del fatto.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché le argomentazioni difensive, inclusa l’eccezione sull’inutilizzabilità delle dichiarazioni, non erano idonee a smentire il giudizio di colpevolezza, fondato sulla detenzione degli oggetti da parte del conducente e sulla totale assenza di un giustificato motivo per il loro porto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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