Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9059 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9059 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il 15/01/1979
avverso la sentenza del 07/11/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso contro la sentenza emessa in data 07 novembre 2024 con cui la Corte di appello di Reggio Calabria, confermando la sentenza di primo grado, lo ha condannato alla pena di mesi nove di arresto ed euro 1.000 di ammenda per il reato di cui all’ad. 4 legge n. 110/1975 commesso il 13 novembre 2019;
rilevato che il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, per avere la Corte di appello, pur qualificando il coltello rinvenuto come un oggetto atto ad offendere, ai sensi dell’ad. 4, comma 2, legge n. 110/1975, omesso di valutare se il suo porto è avvenuto in situazioni di tempo e luogo tali da renderlo idoneo ad offendere persone, e quindi omesso di rilevare che non si vedeva in una simile situazione, e per avere respinto senza un’adeguata motivazione la richiesta di assoluzione ai sensi dell’ad. 131-bis cod. pen. o la qualificazione del fatto come di lieve entità ai sensi dell’ad. 4, comma 3, legge n. 110/1975;
ritenuto che il ricorso sia inammissibile per manifesta infondatezza e aspecificità, in quanto non si confronta con la sentenza impugnata, che in nessuna parte della motivazione ha qualificato il coltello rinvenuto come un oggetto indeterminato atto ad offendere, essendo il medesimo correttamente descritto, nell’imputazione, come uno strumento da punta e taglio atto ad offendere, il cui porto ingiustificato, pertanto, è vietato a prescindere dalla sua chiara e concreta utilizzabilità per offendere persone, nelle condizioni e situazioni in cui è portato, secondo il consolidato principio di questa Corte, secondo cui «Gli oggetti indicati specificamente nella prima parte dell’ad. 4, comma 2, della legge 18 aprile 1975, n. 110, sono equiparabili alle armi improprie, per cui il loro porto costituisce reato alla sola condizione che avvenga “senza giustificato motivo”, mentre per gli altri oggetti, non indicati in dettaglio, cui si riferisce l’ultima par della citata disposizione occorre anche che appaiano “chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona”. (Nella specie, la Corte ha ritenuto corretta la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che il coltello, della lunghezza di 22 cm, rinvenuto nella vettura non di proprietà del ricorrente, dovesse considerarsi arma impropria)» (Sez. 2, n. 15908 del 08/03/2022, Rv. 283101);
ritenuto, pertanto, che il dedotto vizio sia manifestamene insussistente, essendosi la sentenza conformata al predetto principio di questa Corte, stante la indubitabile astratta idoneità offensiva dell’arma in questione, per le sue caratteristiche e le dimensioni della lama;
ritenuto che il ricorso sia inammissibile per manifesta infondatezza e aspecificità anche con riferimento al diniego di applicazione dell’assoluzione ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., in quanto non si confronta con la sentenza impugnata, che ha escluso la qualificabilità del fatto come “di particolare tenuità” con riferimento alle modalità della condotta, in particolare la detenzione dell’arma in un luogo di pronto e immediato accesso, mentre la mancata applicazione dell’ipotesi di cui all’art. 4, comma 3, legge n. 110/1975 è conseguente all’omessa richiesta di tale diversa qualificazione, che risulta comunque non consentita alla luce della personalità del reo, soggetto che la sentenza definisce insofferente al rispetto delle regole e incline a delinquere, stanti i suoi precedenti penali, anche per un reato grave quale la rapina aggravata;
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.pen. e alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale, in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente