Porto di Coltello: La Cassazione Conferma la Linea Dura
Il porto di coltello senza un giustificato motivo è un reato. Questo principio, consolidato nel nostro ordinamento, è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20276 del 2024. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un giovane, confermando la sua condanna e chiarendo che circostanze personali, come la marginalità sociale, non possono giustificare una condotta potenzialmente pericolosa per la collettività.
I Fatti del Caso
La vicenda ha origine da un controllo di polizia avvenuto a Milano. Un giovane uomo veniva trovato in possesso di un coltello in acciaio lungo 15 centimetri, con lama affilata ma priva di punta. A seguito del sequestro, l’uomo veniva processato e condannato sia in primo grado che in appello alla pena di tre mesi di arresto e 500,00 euro di ammenda per la violazione dell’art. 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110, che disciplina il controllo delle armi.
Il Ricorso alla Suprema Corte
Contro la decisione della Corte d’Appello di Milano, la difesa dell’imputato proponeva ricorso per cassazione. La linea difensiva si basava su una presunta carenza motivazionale della sentenza impugnata e, di fatto, chiedeva un riesame del merito della vicenda. Inoltre, si tentava di giustificare il possesso del coltello facendo leva sulla condizione di marginalità sociale del soggetto, suggerendo che tale stato potesse in qualche modo legittimare il porto dell’oggetto.
Le Motivazioni della Cassazione sul Porto di Coltello
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato come il ricorso non presentasse vizi di legittimità, ma si limitasse a chiedere una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.
Il punto centrale della motivazione riguarda la questione del “giustificato motivo”. La Corte ha richiamato un principio di diritto consolidato (Cass. n. 4696/1999), secondo cui il porto di uno strumento da punta o da taglio atto a offendere è legittimo solo se la circostanza giustificatrice ha carattere di attualità rispetto al momento dell’accertamento. In altre parole, deve esistere una ragione concreta, immediata e verificabile per cui una persona ha con sé un coltello in un luogo pubblico. Una generica condizione di difficoltà o marginalità sociale non rientra in questa categoria e non può, quindi, costituire una scusante.
Gli Ermellini hanno evidenziato come le prove raccolte, in particolare il sequestro del coltello durante il controllo, fossero univocamente orientate a dimostrare la colpevolezza dell’imputato, e come la Corte d’Appello avesse correttamente e logicamente valutato tutti gli elementi a disposizione.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, la condanna dell’imputato diventa definitiva. Oltre a ciò, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale in caso di rigetto di un ricorso.
Questa decisione rafforza un messaggio chiaro: la legge sul porto di coltello e di altri oggetti atti a offendere è molto restrittiva. Salvo specifiche e dimostrabili esigenze (ad esempio, per motivi professionali durante l’orario di lavoro), portare con sé un coltello in un luogo pubblico è una condotta illecita e penalmente sanzionata. Le condizioni personali o sociali del soggetto non sono considerate, di per sé, una giustificazione valida.
Quando è giustificato il porto di un coltello?
Secondo la Corte di Cassazione, il porto di uno strumento da taglio è giustificato soltanto se la circostanza che lo legittima è attuale e concreta al momento del controllo. Ad esempio, un cuoco che si reca al lavoro con i suoi strumenti.
La condizione di marginalità sociale può essere una scusa per portare un coltello?
No. La sentenza chiarisce che la condizione di marginalità sociale non costituisce una giustificazione valida per il porto di un coltello o di un altro oggetto atto a offendere.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
La sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, la parte che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte senza validi motivi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20276 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20276 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/01/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso la sentenza dell’8 gennaio 2024, con la quale la Corte di appello di Milano confermava la decisione impugnata, con cui NOME COGNOME era stato condannato alla pena di tre mesi di arresto e 500,00 euro di ammenda, per il reato di cui all’art. 4 legge 18 aprile 1975, n. 110, accertato a Milano il 9 marzo 2021.
Ritenuto che il ricorso in esame, articolato in un’unica censura difensiva, postulando indimostrate carenze motivazionali della sentenza impugnata, chiede il riesame nel merito della vicenda processuale, che risulta vagliato dalla Corte di appello di Milano nel rispetto delle regole della logica, alle risultanze processuali (tra le altre, Sez. 1, n. 46566.del 21/02/2017, M., Rv. 271227 – 01).
Ritenuto che le verifiche investigative eseguite nell’immediatezza dei fatti dagli agenti della Questura di Milano – che, nel corso di un controllo di polizia, procedevano al sequestro di un coltello di acciaio della lunghezza di 15 centimetri, con una lama priva di punta ma affilata – risultavano univocamente orientate in senso sfavorevole alla posizione processuale dell’imputato.
Ritenuto che la condizione di marginalità sociale di NOME COGNOME, al contrario di quanto dedotto, non può costituire una giustificazione al possesso del coltello controverso, dovendosi, in proposito, richiamare il seguente principio di diritto: «Il porto di uno strumento da punta o da taglio atto a offendere è da ritenere giustificato soltanto nel caso in cui la circostanza legittimatrice rivesta carattere d attualità rispetto al momento dell’accertamento della condotta altrimenti vietata» (Sez. 1, n. 4696 del 14/01/1999, COGNOME, Rv. 213023 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9 maggio 2024.