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Porto di coltello in auto: quando il ricorso è generico

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per porto di coltello, dichiarando inammissibile il ricorso di un automobilista. La difesa, basata sulla presunta ignoranza della presenza dell’arma nascosta nel vano della ruota di scorta, è stata ritenuta generica e non supportata da alcuna prova processuale, rendendo inevitabile la condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Porto di Coltello in Auto: Ricorso Inammissibile se Generico e non Provato

Il tema del porto di coltello o di altri oggetti atti ad offendere è una questione delicata nel nostro ordinamento, che bilancia la libertà personale con la sicurezza pubblica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 3289 del 2024, offre spunti fondamentali su come deve essere strutturato un ricorso per avere speranza di successo, specialmente quando la difesa si basa sulla presunta inconsapevolezza della presenza dell’oggetto.

I Fatti del Caso: Un Coltello nel Bagagliaio

Il caso ha origine dal ritrovamento, durante un controllo delle forze dell’ordine, di un coltello di notevoli dimensioni (40 cm di lunghezza, con una lama di 25 cm) all’interno del bagagliaio di un’autovettura. Il conducente e proprietario del veicolo veniva conseguentemente condannato per il reato di porto abusivo di armi od oggetti atti ad offendere.

L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, sostenendo una versione dei fatti differente da quella accertata nei gradi di merito. Secondo la sua difesa, il coltello non si trovava semplicemente nel bagagliaio, ma era occultato nel vano sottostante destinato alla ruota di scorta, separato e non immediatamente visibile. Egli affermava di non essere a conoscenza della sua presenza, adducendo che fosse stato lasciato lì dal precedente proprietario del veicolo.

Le Doglianze del Ricorrente e il Principio di Autosufficienza

L’imputato ha presentato due doglianze principali, entrambe basate sulla tesi dell’occultamento e della conseguente mancanza di consapevolezza. Sostanzialmente, la difesa mirava a dimostrare che, data la posizione nascosta dell’arma, la sua responsabilità penale doveva essere esclusa per assenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero la colpa o il dolo.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha immediatamente evidenziato una grave carenza nel ricorso: la sua genericità e la mancanza di “autosufficienza”. Questo principio procedurale è cruciale: chi ricorre in Cassazione deve fornire alla Corte tutti gli elementi necessari per valutare la fondatezza delle sue lamentele, senza che i giudici debbano andare a cercare prove o atti in altre sedi. Nel caso specifico, il ricorrente si è limitato ad asserire che il coltello fosse nel vano della ruota di scorta, ma non ha indicato alcun atto processuale (una testimonianza, un verbale, una fotografia) da cui emergesse tale circostanza a smentita di quanto riportato nella sentenza impugnata.

La Decisione della Corte di Cassazione sul porto di coltello

Di fronte a un ricorso così strutturato, la decisione della Suprema Corte è stata netta e prevedibile. I giudici hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che la censura sollevata era “generica” perché si fondava su un’affermazione non riscontrata in alcun modo negli atti. Il ricorrente non solo non aveva allegato, ma neanche indicato, l’atto processuale che avrebbe potuto dimostrare l’errore (la “fallacia”) dell’indicazione contenuta nella sentenza di appello, la quale parlava semplicemente di “bagagliaio”.

In assenza di elementi concreti che potessero mettere in discussione la ricostruzione dei giudici di merito, la tesi difensiva è rimasta una mera asserzione di parte, insufficiente a scalfire la solidità della sentenza impugnata. Di conseguenza, non potendo entrare nel merito della questione, la Corte ha dovuto fermarsi a una valutazione preliminare sulla validità del ricorso stesso, concludendo per la sua inammissibilità.

Le conclusioni

La dichiarazione di inammissibilità ha comportato due conseguenze automatiche per il ricorrente. In primo luogo, la condanna al pagamento delle spese processuali. In secondo luogo, non ravvisando elementi che potessero escludere una sua colpa nella presentazione di un ricorso infondato, la Corte lo ha condannato al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia ribadisce una lezione fondamentale: nel processo penale, e in particolare nel giudizio di legittimità, non basta affermare una tesi, ma è indispensabile provarla o, quantomeno, indicare con precisione gli elementi su cui essa si fonda, nel pieno rispetto del principio di autosufficienza del ricorso.

Perché il ricorso per il porto di un coltello in auto è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico e privo di autosufficienza. L’imputato ha affermato che il coltello era nascosto nel vano della ruota di scorta e che non ne era a conoscenza, ma non ha indicato alcun atto processuale (come verbali o testimonianze) che potesse provare questa sua affermazione e contraddire quanto stabilito nella sentenza precedente.

Cosa significa che un ricorso è privo di ‘autosufficienza’?
Significa che il ricorso non contiene tutti gli elementi necessari per consentire alla Corte di Cassazione di decidere sulla questione. Il ricorrente ha l’obbligo di indicare specificamente gli atti, i documenti o le testimonianze su cui si basano le sue lamentele, senza che i giudici debbano cercarli autonomamente nel fascicolo processuale.

Quali sono le conseguenze per il ricorrente quando un appello viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, se non ci sono elementi che giustifichino l’errore, viene anche condannato a versare una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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