Porto di Coltello in Auto: Ricorso Inammissibile se Generico e non Provato
Il tema del porto di coltello o di altri oggetti atti ad offendere è una questione delicata nel nostro ordinamento, che bilancia la libertà personale con la sicurezza pubblica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 3289 del 2024, offre spunti fondamentali su come deve essere strutturato un ricorso per avere speranza di successo, specialmente quando la difesa si basa sulla presunta inconsapevolezza della presenza dell’oggetto.
I Fatti del Caso: Un Coltello nel Bagagliaio
Il caso ha origine dal ritrovamento, durante un controllo delle forze dell’ordine, di un coltello di notevoli dimensioni (40 cm di lunghezza, con una lama di 25 cm) all’interno del bagagliaio di un’autovettura. Il conducente e proprietario del veicolo veniva conseguentemente condannato per il reato di porto abusivo di armi od oggetti atti ad offendere.
L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, sostenendo una versione dei fatti differente da quella accertata nei gradi di merito. Secondo la sua difesa, il coltello non si trovava semplicemente nel bagagliaio, ma era occultato nel vano sottostante destinato alla ruota di scorta, separato e non immediatamente visibile. Egli affermava di non essere a conoscenza della sua presenza, adducendo che fosse stato lasciato lì dal precedente proprietario del veicolo.
Le Doglianze del Ricorrente e il Principio di Autosufficienza
L’imputato ha presentato due doglianze principali, entrambe basate sulla tesi dell’occultamento e della conseguente mancanza di consapevolezza. Sostanzialmente, la difesa mirava a dimostrare che, data la posizione nascosta dell’arma, la sua responsabilità penale doveva essere esclusa per assenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero la colpa o il dolo.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha immediatamente evidenziato una grave carenza nel ricorso: la sua genericità e la mancanza di “autosufficienza”. Questo principio procedurale è cruciale: chi ricorre in Cassazione deve fornire alla Corte tutti gli elementi necessari per valutare la fondatezza delle sue lamentele, senza che i giudici debbano andare a cercare prove o atti in altre sedi. Nel caso specifico, il ricorrente si è limitato ad asserire che il coltello fosse nel vano della ruota di scorta, ma non ha indicato alcun atto processuale (una testimonianza, un verbale, una fotografia) da cui emergesse tale circostanza a smentita di quanto riportato nella sentenza impugnata.
La Decisione della Corte di Cassazione sul porto di coltello
Di fronte a un ricorso così strutturato, la decisione della Suprema Corte è stata netta e prevedibile. I giudici hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso.
Le motivazioni
La Corte ha spiegato che la censura sollevata era “generica” perché si fondava su un’affermazione non riscontrata in alcun modo negli atti. Il ricorrente non solo non aveva allegato, ma neanche indicato, l’atto processuale che avrebbe potuto dimostrare l’errore (la “fallacia”) dell’indicazione contenuta nella sentenza di appello, la quale parlava semplicemente di “bagagliaio”.
In assenza di elementi concreti che potessero mettere in discussione la ricostruzione dei giudici di merito, la tesi difensiva è rimasta una mera asserzione di parte, insufficiente a scalfire la solidità della sentenza impugnata. Di conseguenza, non potendo entrare nel merito della questione, la Corte ha dovuto fermarsi a una valutazione preliminare sulla validità del ricorso stesso, concludendo per la sua inammissibilità.
Le conclusioni
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato due conseguenze automatiche per il ricorrente. In primo luogo, la condanna al pagamento delle spese processuali. In secondo luogo, non ravvisando elementi che potessero escludere una sua colpa nella presentazione di un ricorso infondato, la Corte lo ha condannato al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia ribadisce una lezione fondamentale: nel processo penale, e in particolare nel giudizio di legittimità, non basta affermare una tesi, ma è indispensabile provarla o, quantomeno, indicare con precisione gli elementi su cui essa si fonda, nel pieno rispetto del principio di autosufficienza del ricorso.
Perché il ricorso per il porto di un coltello in auto è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico e privo di autosufficienza. L’imputato ha affermato che il coltello era nascosto nel vano della ruota di scorta e che non ne era a conoscenza, ma non ha indicato alcun atto processuale (come verbali o testimonianze) che potesse provare questa sua affermazione e contraddire quanto stabilito nella sentenza precedente.
Cosa significa che un ricorso è privo di ‘autosufficienza’?
Significa che il ricorso non contiene tutti gli elementi necessari per consentire alla Corte di Cassazione di decidere sulla questione. Il ricorrente ha l’obbligo di indicare specificamente gli atti, i documenti o le testimonianze su cui si basano le sue lamentele, senza che i giudici debbano cercarli autonomamente nel fascicolo processuale.
Quali sono le conseguenze per il ricorrente quando un appello viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, se non ci sono elementi che giustifichino l’errore, viene anche condannato a versare una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3289 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3289 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/04/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti gli atti e la sentenza impugnata; letti i motivi del ricorso;
rilevato che i giudici di merito hanno convenientemente illustrato le ragion sottese all’affermazione della penale responsabilità di NOME in ordine al porto in luogo pubblico di un coltello della lunghezza di 40 cm, co lama di 25 cm., che si trovava nel bagagliaio del veicolo di sua proprietà e da condotto all’atto dell’intervento delle forze dell’ordine;
che il ricorrente articola, in questa sede, due doglianze, che muovono dall considerazione secondo cui il coltello non sarebbe stato riposto nel bagaglia ma, piuttosto, nel sottostante vano destinato all’alloggiamento della ruota scorta, separato da una paratia e, dunque, occultato alla vista, ciò renderebbe credibile l’assunto, da lui esposto in dibattimento, stando al qu egli non avrebbe mai avuto contezza della presenza, a bordo dell’autovettura, dell’oggetto, che era stato ivi riposto, per sua stessa ammissione, dal precede proprietario del mezzo;
che la censura è generica, anche per carenza di autosufficienza, perché imperniata su un’asserzione che non risulta in alcun modo riscontrata, no avendo il ricorrente allegato (e, a dire il vero, neanche indicato) l processuale dal quale emergerebbe la fallacia dell’indicazione contenuta nell sentenza impugnata;
che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, c conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della caus di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore dell Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso il 26/10/2023.