Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12654 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12654 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME
R.G.N. 41343/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a KREFELD (GERMANIA) il 21/09/1977 avverso la sentenza del 06/06/2024 della Corte d’appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udita la requisitoria del Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Caltagirone in composizione monocratica del 04/05/2022, che aveva ritenuto NOME COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 4 legge 18 aprile 1975, n. 110 – per aver portato fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, un coltello a serramanico della lunghezza di circa cm. 16,5, con lama liscia di 7 cm – e, per l’effetto, lo aveva condannato alla pena di mesi sei di arresto ed euro mille di ammenda.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME con impugnazione a firma dell’avv. NOME COGNOME deducendo tre motivi, che vengono di seguito enunciati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., per violazione degli artt. 4 legge n. 110 del 1975, 459 e 178 comma 1, lett. b) cod. proc. pen., sotto il profilo della illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, in relazione al mancato riconoscimento della lieve entità del fatto ex art. 4 comma terzo legge n. 110 del 1975. Sarebbe stato doveroso mantenere ferma l’imputazione risultante dal decreto penale di condanna, nonostante la relativa opposizione proposta dall’imputato. L’inserimento nel decreto penale di condanna di una contestazione diversa, rispetto a quella formulata dal Pubblico ministero, avrebbe comportato la realizzazione di una nullità assoluta e insanabile. NØ i giudici del merito chiariscono per quali ragioni non possa essere ritenuta sussistente, nel caso di specie, l’ipotesi di lieve entità.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchØ per vizio della motivazione derivante da mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, in ordine al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131bis cod. pen. Non si Ł proceduto a una valutazione in concreto della condotta ascritta, nØ quanto alle modalità della stessa, nØ con riferimento all’esiguità del pericolo.
2.3. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 62bis cod. pen. Nella formulazione del giudizio di non meritevolezza, non Ł stato esaminato – nella sua interezza – il materiale disponibile.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł infondato.
Con il primo motivo, la difesa si duole del fatto che la sentenza impugnata non abbia ritenuto la sussistenza dell’ipotesi lieve dell’art. 4 L. armi; tale ipotesi, al contrario era stata contemplata dal decreto penale opposto.
¨ allora sufficiente richiamare – come correttamente fatto dal Procuratore generale in sede di requisitoria – il principio di diritto, che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità, fissato da Sez. 1, n. 48848 del 25/09/2013, COGNOME, Rv. 258409 – 01. Stando a tale regola ermeneutica, una volta intervenuta l’opposizione al decreto penale di condanna, nonchØ revocato il decreto penale di condanna a seguito della richiesta di giudizio immediato (o di definizione del processo mediante rito abbreviato, ovvero anche di applicazione della pena su richiesta delle parti), il giudice Ł libero di dare al fatto storico e oggettivo contestato una differente qualificazione giuridica; ciò a patto che l’imputato sia stato posto nelle condizioni di poter interloquire sul punto e non venga, invece, messo dinanzi a un fatto che – nella sua materialità – si presenti radicalmente difforme, nei tratti essenziali, rispetto a quello originario, cosa che realizzerebbe uno sviluppo anomalo e inatteso della iniziale contestazione.
Nella concreta fattispecie, dunque, ben poteva essere effettuata la nuova qualificazione giuridica di cui sopra; le ulteriori deduzioni difensive, peraltro, sono volte alla pura e semplice confutazione, rispetto alla decisione impugnata.
Quanto al secondo motivo, ci si duole della mancata esclusione della punibilità ex art. 131bis cod. pen.
La motivazione adottata dal Tribunale – contrariamente all’assunto difensivo – Ł ampia e ben strutturata, oltre che priva del pur minimo spunto di contraddittorietà, logica o infratestuale. L’invocato istituto, infatti, Ł stato ritenuto non applicabile, anzitutto in forza del richiamo alle caratteristiche stesse dell’arma rinvenuta; si Ł attribuito particolare rilievo negativo, inoltre, alle circostanze di tempo e di luogo che hanno connotato il fatto (l’imputato, sottolinea sul punto la Corte territoriale, Ł stato trovato in possesso del sopra detto coltello in tempo di notte, mentre si trovava in compagnia di soggetto già noto alle forze dell’ordine).
3.1. A fronte di tale struttura motivazionale, di ineccepibile saldezza, le censure difensive si sviluppano interamente sul piano del fatto e sono tese a sovrapporre una nuova interpretazione delle risultanze probatorie, diversa da quella recepita nell’impugnato provvedimento, piø che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati dall’art. 606 cod. proc. pen. Tale operazione, pacificamente, fuoriesce dal perimetro del sindacato rimesso al giudice di legittimità. Secondo la
linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato sulla base di prospettazioni alternative, che sostanzialmente si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e differenti canoni ricostruttivi e valutativi dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchØ illustrati come maggiormente plausibili, o perchØ assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si Ł in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., rv. 280601; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, rv. 235507).
3.2. L’inammissibilità della doglianza contenuta nell’atto di impugnazione, dunque, emerge proprio dall’esistenza – nel corpo motivazionale dell’avversata decisione – di una specifica risposta, rispetto alla richiesta della difesa, che si limita ora a riproporre profili critici già adeguatamente vagliati in sede di merito.
Inammissibile Ł, infine, il terzo motivo del ricorso – concernente la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche – in quanto del tutto aspecifico e manifestamente infondato. La difesa, infatti, non riesce a oltrepassare lo stadio della prospettazione di generiche censure, che si incentrano direttamente sul merito del percorso valutativo seguito dalla Corte.
I Giudici di appello, peraltro, hanno esaustivamente chiarito le ragioni del diniego, precisando non essere emersi dall’incarto processuale – e nemmeno indicati o allegati dall’interessato elementi favorevolmente valutabili, ai sensi dell’art. 62bis cod. pen. (tale non essendo stata valutata, in sentenza, l’attività lavorativa svolta per sostenere una famiglia numerosa).
Giova precisare, infine, come il reato contravvenzionale ascritto non sia estinto per prescrizione. Tale figura tipica, infatti, ha un termine ordinario di prescrizione che Ł pari a quattro anni, aumentabile fino a cinque; a tale termine deve aggiungersi l’ulteriore periodo di cui all’art. 159 cod. pen., come modificato dall’art. 1 comma 11 lett. b) legge 23 giugno 2017, n. 103; trattandosi, nel caso di specie, di fatto risalente al 26/10/2019, Ł evidente come il termine massimo di prescrizione non sia ancora spirato.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato; segue lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 06/02/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME
ex