Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45233 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45233 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 31879/2024
NOME FILOCAMO
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a TERMINI IMERESE il 30/10/1997 avverso la sentenza del 12/03/2024 del Tribunale di Termini imerese visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Termini Imerese in composizione monocratica ha dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 4 legge 18 aprile 1975, n. 110 – per aver portato fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, un coltello da innesco con lama di sette centimetri, strumento da punta e da taglio atto a offendere – e per l’effetto, ritenuta applicabile l’ipotesi di lieve entità, lo ha condannato alla pena di euro millecinquecento di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, nel contempo ordinando la confisca e distruzione di quanto in sequestro.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo due motivi, di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 4 legge n. 110 del 1975, anche in ordine all’art. 533 cod. proc. pen., nonchØ vizio di motivazione, contraddittorietà e/o
manifesta illogicità della motivazione. L’imputato – in ipotesi difensiva – conduceva con sØ il coltello per ragioni di lavoro, svolgendo egli l’attività di venditore ambulante di frutta.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa deduce violazione ex art. 606, comma 1 lett. c) e lett. e) cod. proc. pen., dolendosi della omessa declaratoria di estinzione per prescrizione del contestato reato.
Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento senza rinvio, in accoglimento del secondo motivo, stante la estinzione del contestato reato per prescrizione, verificatasi prima dell’emissione della sentenza impugnata.
La difesa ha presentato memoria di replica, rispetto alla requisitoria, riportandosi integralmente ai motivi esposti nell’atto di impugnazione. Sostiene la difesa, in particolare, potersi agevolmente evincere – dalla testimonianza resa dal Brigadiere dei Carabinieri COGNOME, escusso all’udienza del 20/02/2024 – come l’arma sia stata rinvenuta nella disponibilità di Gazzano, proprio mentre egli svolgeva l’attività lavorativa di venditore ambulante di frutta e verdura. Da tale fatto, dunque, non può che conseguite la insussistenza del fatto contestato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, proposto sulla base di censure manifestamente infondate ovvero generiche o non consentite, deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di legge.
Come sintetizzato in parte narrativa, la difesa si duole – con il primo motivo – della mancata assoluzione dell’imputato, valorizzando l’esistenza di un giustificato motivo, in relazione al porto del coltello.
Il Tribunale, sul punto, ha però fornito una motivazione congruente, lineare e priva del pur minimo spunto di contraddittorietà. Sottolinea la sentenza, infatti, come il fatto si sia concretizzato in maniera indipendente da qualsivoglia attività lavorativa, espletata dal soggetto, atteso che la perquisizione con esito positivo si Ł verifica all’interno della caserma dei Carabinieri. Può aggiungersi come lo stesso COGNOME, nell’immediatezza, non abbia giustificato il possesso del coltello secondo la linea difensiva dipanata, poi, mediante il presente ricorso, ossia rappresentandone l’utilizzo nell’ambito dell’attività commerciale suddetta. L’imputato, al contrario, ha in un primo momento assecondato l’esecuzione della perquisizione e, all’esito della stessa, Ł stato trovato in possesso anche di hashish.
¨, dunque, inammissibile il motivo che deduce l’esistenza di un giustificato motivo per il porto del coltello, poichØ non si confronta con la decisiva considerazione secondo la quale al momento del controllo non era stata dedotta alcuna giustificazione, mentre essa Ł stata introdotta unicamente nel corso del giudizio di merito (sull’irrilevanza della tardiva allegazione del giustificato motivo, si veda: Sez. 1, n. 19307 del 30/01/2019, COGNOME, Rv. 276187; Sez. 1, n. 18925 del 26/02/2013, Carrara, Rv. 256007).
2.1. A fronte di tale struttura motivazionale – esaustiva e di ineccepibile saldezza logica – la censura difensiva si sviluppa interamente sul piano del fatto ed Ł tesa a sovrapporre una nuova interpretazione delle risultanze probatorie, diversa da quella recepita nell’impugnato provvedimento, piø che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati dall’art. 606 cod. proc. pen.
2.2. Tale operazione, pacificamente, fuoriesce dal perimetro del sindacato rimesso al giudice di legittimità. Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato sulla base di prospettazioni alternative, che sostanzialmente si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e differenti canoni ricostruttivi e valutativi dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchØ illustrati come maggiormente plausibili, o perchØ assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si Ł in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
La doglianza, in definitiva, deve essere disattesa, in quanto aspecifica e meramente confutativa.
Per ciò che inerisce, poi, alla auspicata declaratoria di estinzione del reato contestato per intervenuta prescrizione, trattasi parimenti di motivo infondato.
Viene in rilievo, infatti, una ipotesi contravvenzionale risalente al 27/02/2019; il termine massimo quinquennale di prescrizione, dunque, risulta in scadenza il 27/02/2024. La sentenza impugnata Ł stata emessa il 12/3/2024, ossia allorquando tale termine era già vanamente spirato; da ciò, la richiesta di estinzione per intervenuta prescrizione.
3.1. Giova precisare, però, come il processo sia restato sospeso, in forza della emissione di ordinanza datata 13 aprile 2022, di ammissione dell’imputato alla messa alla prova, ai sensi e per gli effetti dell’art. 168bis cod. pen.; tale sospensione Ł stata in seguito revocata, con provvedimento del 30 gennaio 2024.
3.2. Trova allora applicazione il principio di diritto – condiviso da questo Collegio – enunciato da Sez. 4, n. 13469 del 19/11/2019, COGNOME, rv. 279001, a mente della quale: ‹‹Il rinvio del processo disposto su richiesta del difensore dell’imputato per consentire di dare corso alla procedura di messa alla prova e all’elaborazione, da parte dell’ufficio di esecuzione penale esterna, del programma di trattamento, comporta la sospensione del termine di prescrizione, ai sensi dell’art. 159, comma primo, n. 3), cod. pen., per tutta la durata del rinvio, senza necessità di un provvedimento formale del giudice››.
La richiesta di sospensione per messa alla prova Ł stata presentata dalla difesa il 13/4/2022 e, come detto, in tale data Ł stata disposta la sospensione del processo, con conseguente sospensione del decorso del termine di prescrizione; tale sospensione si Ł protratta fino alla revoca della prova, disposta in data 30 gennaio 2024. Al sopra indicato termine di cinque anni, pertanto, occorre aggiungere un ulteriore termine, pari ad anni uno e mesi dieci, che consente di fissare il termine di prescrizione al 27 dicembre 2025.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma – che si stima equo fissare in euro tremila – in favore della Cassa delle ammende (non ravvisandosi elementi per ritenere il ricorrente esente da colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 15/11/2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME