Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18498 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18498 Anno 2024
Presidente: FIORDALISI DOMENICO
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in preambolo e deduce tre motivi, tutti prospettanti enunciati ermeneutici in contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità, oltre che privi della necessaria specificità, siccome meramente reiterativi di censure adeguatamente disattese dal giudice di merito;
Ritenuto, invero, destituito di fondamento il primo motivo con il quale si censura la motivazione in punto di assenza di elementi sulla scorta dei quali inferire le «circostanze di tempo e luogo tali da far pensare che l’arma dovesse essere utilizzata per l’offesa alla persona», posto che è fermo nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui «Gli oggetti indicati specificamente nella prim parte dell’art. 4, comma 2, della legge 18 aprile 1975, n. 110, sono equiparabili alle armi improprie, per cui il loro porto costituisce reato alla sola condizione ch avvenga “senza giustificato motivo”, mentre per gli altri oggetti, non indicati in dettaglio, cui si riferisce l’ultima parte della citata disposizione occorre anche ch appaiano “chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona”» (fra molte, Sez. 2, n. 15908 del 08/03/2022, Mustacchio, Rv. 283101), talché è corretta la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che il coltello a serramanico rinvenuto nella disponibilità del ricorrente mentre si trovava a bordo di un ciclomotore in compagnia di altra persona, dovesse considerarsi arma impropria;
ritenuto il secondo motivo – in punto di mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.- non consentit siccome riproduttivo di analoga censura svolta in appello e, comunque, poiché prospetta enunciati interpretativi in palese contrasto con la giurisprudenza di questa Corte che, con riferimento al rapporto ricorrente tra la circostanza attenuante del fatto di lieve entità e la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del danno, ha spiegato che il mancato riconoscimento della predetta circostanza attenuante impedisce la declaratoria di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., poiché se, fatto è stato ritenuto non lieve dal giudice di merito non può essere al contempo considerato particolarmente tenue ai fini del riconoscimento del beneficio (Sez. 1, n. 27246 del 21/05/2015 – dep. 30/06/2015, Singh, Rv. 263925);
considerato che sfugge altresì a censura il ragionamento svolto dalla Corte territoriale per la determinazione del trattamento sanzionatorio a fronte della generica doglianza del ricorrente che oblitera il principio, secondo cui, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito esercita la discrezionalità che al riguardo la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione,
anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’ar 133 cod. pen. (Cass. Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, Mastro, Rv. 271243; Cass. Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Cass. Sez. 2, n. 12749 del 19/3/2008, COGNOME, Rv. 239754) e che una valutazione siffatta è insindacabile in sede di legittimità, purché – come nel caso che ci occupa – sia argomentata e non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Cass. Sez. 5, n. 5582 del 30/9/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142), fermo restando peraltro che, nel caso di specie, il giudice di appello ha accolto la doglianza difensiva, riducendo la pena e parametrandola in misura di poco superiore alla media edittale;
ritenuto dunque che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che a detta declaratoria segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Cort cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente