Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22496 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22496 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a RIBERA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/03/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo]
i udito il difensore
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della dott.ssa NOME COGNOME, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 maggio 2021, il Tribunale di Sciacca, in composizione monocratica, dichiarava NOME COGNOME responsabile dei seguenti reati a lui ascritti, commessi il 7 maggio 2013: capo “A”, porto di arma comune da sparo clandestina, così riqualificata l’originaria imputazione; capo “B”, minaccia commessa in danno di NOME COGNOME e NOME. Riconosciute le circostanze attenuanti generiche e la continuazione, il Tribunale condannava l’imputato alla pena di un anno e cinque mesi di reclusione.
Secondo la ricostruzione dei fatti recepita dal Tribunale, per quanto qui rileva, i Carabinieri avevano reperito presso COGNOME un fucile avente caratteristiche di arma clandestina, e tale arma era la stessa che COGNOME aveva precedentemente portato in luogo pubblico per utilizzarla in occasione della commissione del predetto reato di minaccia.
Con sentenza del 9 marzo 2023, la Corte di appello di Palermo, su gravame dell’imputato, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava non doversi procedere per il reato di minaccia, perché estinto per prescrizione; rideterminava la pena, per il reato riguardante l’arma, in un anno e quattro mesi di reclusione; confermava, per il resto, la sentenza di primo grado.
La difesa di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con atto articolato in tre motivi volti ad ottenere l’annullamento della sentenza di appello.
3.1. Con il primo motivo di ricorso, la difesa, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., lamenta vizi di motivazione, con riferimento all’individuazione dell’arma, il cui porto è contestato al capo “A” della rubrica. La difesa rileva come un’arma detenuta da COGNOME e sequestrata, un fucile a canne mozzate, fosse stata mostrata alle persone offese, nell’immediatezza dei fatti, in modo informale e non mediante le modalità previste dall’art. 215 cod. proc. pen. sulla ricognizione di cose e persone. Quindi, tale elemento non sarebbe immediatamente utilizzabile come prova piena, ma, al più, potrebbe avere una valenza investigativa. Peraltro, la difesa segnala il fatto che i testimoni, persone offese del reato di minaccia dichiarato estinto per prescrizione, contestato al capo “B” della rubrica, avessero al tempo indicato, come utilizzato da COGNOME, un fucile di colore marrone, con parti luccicanti, cioè un’arma con caratteristiche diverse
rispetto a quella sequestrata che, invece, sarebbe in pessimo stato di conservazione e ricoperta di vernice di colore nero. Per la difesa, l’illogicità dell motivazione emergerebbe dal fatto che il giudice ha ritenuto identificata l’arma, sebbene difforme da quella indicata nelle dichiarazioni dei testimoni, sulla base della considerazione che il ricordo di costoro si fosse affievolito per il mero trascorso del tempo.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso la difesa, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in riferimento alla diversa qualificazione giuridica del porto di arma di cui al capo “A” . La difesa, sulla scorta di quanto sostenuto con il primo motivo di ricorso, evidenzia come, a causa del mancato raggiungimento della prova in ordine all’identificazione dell’arma utilizzata per i fatti contestati, non si potre giungere con certezza alla qualificazione giuridica del fatto come porto di arma clandestina in quanto avente matricola abrasa e, conseguentemente, il reato dovrebbe essere riqualificato come porto illegale di arma comune da sparo, che sarebbe già estinto per prescrizione.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso la difesa, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, con riguardo alle norme sul riparto di competenza tra giudice monocratico e collegiale. La difesa sostiene che il giudice di primo grado, il Tribunale di Sciacca in composizione monocratica, a seguito della riqualificazione del fatto per cui si procede come porto illegale di arma clandestina, avrebbe dovuto rimettere il giudizio al Tribunale in composizione collegiale, ritenuto il giudice competente in base al reato contestato. La questione era stata sollevata specificamente nel giudizio di secondo grado con atto di conclusioni scritte ex art. 23, d.l. 137 del 2020, ma il giudice di appello non ha fornito alcuna motivazione in proposito.
La difesa del ricorrente ha presentato memoria di replica alle conclusioni scritte del Pubblico Ministero, insistendo per l’accoglimento d& motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Possono essere trattati congiuntamente, perché strettamente connessi, e risultano infondati, i primi due motivi di ricorso, inerenti alla identificazi dell’arma sequestrata con l’oggetto che era stato portato da COGNOME in luogo pubblico, alla qualificazione del reato, alla pretesa prescrizione di esso.
1.1. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che sussiste il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo, e le
conseguenze che se ne traggono; sussiste il vizio di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento. (Sez. 5, n. 19318, del 20/01/2021, Rv. 281105 – 01).
Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che i riconoscimenti fotografici effettuati durante le indagini di polizia giudiziaria e i riconoscime informali operati dai testi in dibattimento costituiscono accertamenti di fatto utilizzabili nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prov del libero convincimento del giudice (Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, Rv. 262908 – 01; in motivazione, la Cassazione ha precisato che il momento ricognitivo costituisce parte integrante della testimonianza, di talché l’affidabilità e la valenz probatoria dell’individuazione informale discendono dall’attendibilità accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del giudice che, ove sostenuto da congrua motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità).
1.2. In applicazione dei richiamati principi di diritto, pienamente condivisibili deve affermarsi, con riferimento al caso specifico ora in esame, che la sentenza di appello è immune dai vizi lamentati e che le doglianze difensive non colgono nel segno, poiché il giudice del gravame ha congruamente motivato, svolgendo articolate valutazioni ragionevoli sulle dichiarazioni dei testi, in ordine a identificazione dell’arma sequestrata all’imputato con quella portata dallo stesso in luogo pubblico. La censura difensiva inerente al valore probatorio della ricognizione informale è infondata, poiché il giudice di appello, cui è demandato il libero apprezzamento della prova, ha coerentemente valorizzato le dichiarazioni dei testimoni.
Gli ulteriori elementi che la difesa espone per censurare la motivazione del provvedimento impugNOME trasmodano in una rilettura del compendio probatorio, inammissibile in sede di giudizio di legittimità, ove tale valutazdone deve arrestarsi alla verifica del rispetto dei canoni della logicità.
1.3. Avuto riguardo all’infondatezza delle censure riguardanti l’identificazione dell’arma e la conseguente qualificazione del fatto di cui al capo “A” come porto in luogo pubblico di arma clandestina, deve affermarsi l’infondatezza della doglianza relativa alla pretesa prescrizione del reato, invocata dal ricorrente sulla base dell’infondata tesi che il porto abbia avuto per oggetto un’arma comune da sparo e non un’arma clandestina.
È manifestamente infondato, quindi inammissibile, il terzo motivo di ricorso, volto a far ritenere la nullità della sentenza di appello per mancata declaratoria della nullità della sentenza di primo grado, emessa dal giudice monocratico anziché dal giudice collegiale.
2.1. L’art. 33-octies, comma 1, cod. proc. pen., stabilisce che il giudice di appello o la Corte di cassazione pronunciano sentenza di annullamento e ordinano la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice di primo grado quando ritengono l’inosservanza delle disposizioni sull’attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale in cognizione collegiale o monocratica, purché tale inosservanza sia stata tempestivamente eccepita e l’eccezione sia stata riproposta nei motivi di impugnazione.
2.2. Nel caso in esame, dagli atti non emerge che la questione relativa all’attribuzione dei reati al giudice collegiale abbia formato ogcietto di eccezione in primo grado né che sia stata riproposta con i motivi di appello.
In tale situazione, deve affermarsi che la Corte di appello di Palermo non ha commesso alcuna violazione di legge nel non pronunciarsi sulla questione relativa alla trattazione del caso da parte del Tribunale di Sciacca, in formazione monocratica anziché collegiale. Peraltro, l’avvenuta proposizione della questione, da parte della difesa di COGNOME, nell’atto di conclusioni presentato alla Corte di appello, non era rilevante, avuto riguardo all’espressa indicazione del codice di rito che stabilisce, come notato, la riproposizione della questione nei motivi di impugnazione.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e, conseguentemente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condanNOME al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese c processuali. GLYPH
Così deciso in Roma il 5 dicembre 2023.
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