Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26573 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26573 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Maniago (PN) il DATA_NASCITA, difeso dall’AVV_NOTAIO del Foro di Pordenone, avverso la sentenza in data 30/10/2023 della Corte di appello di Trieste; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere AVV_NOTAIO; lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ha chiesto che sia il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 23/10/2023, la Corte di appello di Trieste – disposta la correzione dell’imputazione ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen. laddove, in luogo della violazione dell’art. 4 legge n. 110 del 1975, doveva intendersi contestato il reato di cui all’art. 699 cod. pen. – in parziale riforma dell decisione del Tribunale di Udine del 05/05/2022 che aveva condannato COGNOME NOME alla pena di mesi sette di arresto e 1200,00 Euro di ammenda, con confisca e distruzione del reperto in sequestro, per avere portato fuori dalla propria abitazione o dalle relative appartenenze, in Tarvisio il 17 luglio 2019, un
coltello a lama in acciaio doppia e seghettata, della lunghezza di 18 cm., della larghezza di 4 cm., ha rideterminato la pena di mesi tre di arresto.
Il Tribunale – in luogo della contestata violazione dell’art. 699 cod. pen. aveva ravvisato la contravvenzione di cui all’art. 4 I. n 110 del 1975, integrata dalla detenzione di un coltello avente le sopra descritte caratteristiche, trovato a bordo dell’autovettura condotta dall’imputato.
La Corte di appello, aderendo all’imputazione, come modificata dal pubblico ministero, ha invece ritenuto la violazione dell’art. 699, comma 1, cod. pen., rideterminando la pena in mesi tre di arresto.
La ricostruzione dell’accaduto operata dal Tribunale è stata condivisa dalla Corte distrettuale «… sia in ordine all’inverosimiglianza delle testimonianze del padre dell’imputato e dell’amico NOME COGNOME, sia in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato», avendo escluso, detta Corte, di aderire alla tesi difensiva, sostenuta dall’imputato al dibattimento, circa l’ignorata presenza, a bordo dell’automobile, del coltello.
La Corte territoriale ha osservato come ricorressero elementi probatori idonei ad affermare che l’imputato fosse a conoscenza della presenza dell’arma nel vano portaoggetti dell’auto.
Le dichiarazioni che miravano a scagionare l’imputato medesimo, rese, rispettivamente, dal padre di costui – il quale aveva dichiarato che il coltello, di sua proprietà, era impiegato nell’attività venatoria da lui praticata ed era stato utilizzato una quindicina di giorni prima, per una battuta di caccia in Austria, avendolo poi dimenticato a bordo dell’automobile – e dal teste NOME COGNOME aveva riferito di avere appreso dall’imputato che il coltello era del padre del predetto – sono state giudicate non attendibili.
Il padre, NOME COGNOME, non era stato infatti in grado di chiarire il motivo per cui il coltello era stato riposto all’interno del cruscotto e non già insieme alla sua attrezzatura da caccia, o comunque, in alternativa, all’interno di una tasca di un proprio indumento.
Ad avviso dei giudici di merito era inoltre incomprensibile il silenzio serbato dal testimone fino al dibattimento, nonostante fosse stato instaurato un procedimento penale a carico del figlio in relazione alla detenzione del coltello, in tesi di sua proprietà.
L’altro testimone, NOME COGNOME, aveva cercato di giustificare l’anomalia riguardante il viaggio notturno, spiegandolo con la circostanza che stava rientrando in Austria con l’amico, ove all’epoca entrambi risiedevano, dopo essersi recati a Vajont a bordo di un furgone per portare alcuni mobili nella nuova casa di COGNOME.
Tali circostanze erano state smentite – come sottolineato dalla Corte di appello – dall’operante NOME COGNOME il quale aveva invece riferito che l’automobile a bordo della quale viaggiavano l’imputato e l’amico stava facendo rientro in Italia.
Il rifiuto dell’imputato di sottoporsi ad esame e la genericità delle altre testimonianze assunte al processo sono stati letti come ulteriori elementi corroboranti il quadro probatorio a carico di NOME COGNOME.
Nessuno dei testimoni aveva invero precisato chi normalmente utilizzasse l’automobile, di proprietà di una terza persona, la sig. COGNOME, né era stato possibile accertare il momento in cui il coltello era stato collocato nel cruscotto.
La Corte di appello ha evidenziato una insanabile divergenza tra le dichiarazioni della sig. COGNOME, la quale aveva sostenuto che il coltello era stato posto nel portaoggetti anteriore dell’auto due giorni prima del ritrovamento, e quelle di COGNOME NOME, padre dell’imputato, secondo il quale, invece, tale evento era datato una quindicina di giorni prima dei fatti.
Inoltre, ad avviso della Corte territoriale, non poteva trascurarsi il significativo nervosismo, notato dai Carabinieri al momento del controllo dell’auto, manifestato tanto dall’imputato, quanto dall’amico, NOME COGNOME.
La Corte territoriale ha inoltre osservato che, anche a ritenere credibile l’imputato, il quale, al dibattimento, aveva negato di essere a conoscenza della presenza del coltello, a suo dire di proprietà del padre, sarebbe comunque ascrivibile al medesimo un comportamento negligente per non essersi «…sincerato della mancanza di armi appartenenti al padre che utilizzava la vettura per andare a caccia, tanto più che il coltello si trovava in luogo accessibile e normalmente usato».
È stata esclusa l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., «in ragione delle caratteristiche dell’arma e della spiccata offensività della stessa, tenuta in modo imprudente e pericoloso» ed è stata negata la concessione delle attenuanti generiche, non sussistendo elementi positivamente valutabili ed essendo, per contro, rilevanti i precedenti penali, pur se risalenti.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia di COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, che ha articolato tre motivi di ricorso, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, violazione dell’art. 62 cod. proc. pen., inutilizzabilità delle (presunte) spontanee dichiarazioni dell’imputato e omessa motivazione.
Si duole la difesa del fatto che, nonostante lo specifico motivo di gravame, la Corte di appello non si sia pronunciata circa l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato al momento del controllo effettuato dalla polizia giudiziaria.
Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, affermando di condividere le conclusioni tratte dal Tribunale sulla base del compendio istruttorio, avrebbe fondato il proprio convincimento anche sulla base della prova, illegittimamente acquisita, consistente nelle dichiarazioni – in relazione alle quali opera il divieto di testimonianza da parte della polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 195, comma 4, cod. proc. pen. – rese dall’indagato nel corso del procedimento a carico del medesimo.
In quanto trasfuse nell’annotazione di servizio e non specificamente verbalizzate, tali dichiarazioni non avrebbero comunque potuto essere utilizzate, a fronte dell’impossibilità di accertarne la spontaneità.
Il AVV_NOTAIO generale presso la Corte di appello – rimarca il ricorrente – si era espresso, nelle proprie conclusioni, a favore della riforma della sentenza in senso assolutorio.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, violazione del diritto di difesa, violazione degli artt. 24, 27 Cost. e dell’art. 208 cod. proc. pen. – diritto al silenzio dell’imputato. Manifesta illogicità della motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato.
Osserva il ricorrente come sia incorsa in errore la Corte di appello nell’attribuire rilievo, in violazione del diritto al silenzio riconosciuto dall’art. comma 3, lett. b) cod. proc. pen., alla mancata sottoposizione dell’imputato all’esame dibattimentale, sottolineando la valenza di tale diritto, riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità e da quella costituzionale.
Adduce inoltre il ricorrente che, procedendo all’eliminazione dal compendio istruttorio delle dichiarazioni indirette del teste di polizia giudiziaria in ordine quanto riferito dall’imputato, la decisione di condanna non potrebbe superare la “prova di resistenza”, l’inutilizzabilità di tali dichiarazioni finendo p compromettere l’intero ragionamento giudiziale.
Conseguentemente, chiede che la Corte disponga l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata.
2.3. Con il terzo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche e al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
Contesta la logicità della motivazione laddove, nel negare l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., ha ritenuto imprudente e pericolosa la modalità di detenzione del coltello dell’arma il coltello, rilievo incomprensibile alla luce del fatto che l’oggetto era chiuso nel cruscotto, lontano dal posto di guida.
Analogamente ingiustificato sarebbe stato il diniego delle attenuanti generiche che, implicitamente, risultava ascritto ai precedenti penali dell’imputato, peraltro risalenti e non gravi, tanto che non era stata neppure contestata all’imputato la recidiva.
Conclude, in subordine, per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME ha concluso domandando la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Il procedimento è stato trattato in pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME è infondato e va pertanto rigettato.
Privo di pregio è il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione dell’art. 62 cod. proc. pen., in relazione all’inutilizzabilità delle dichiarazioni re dall’imputato al momento del controllo, trasfuse nell’atto di polizia giudiziaria e riferite dall’ufficiale redattore in dibattimento.
Ci si duole del fatto che la Corte di appello, condividendo le conclusioni tratte dal tribunale, abbia fondato il proprio convincimento anche sulla base della prova illegittimamente acquisita, perché assunta in violazione degli artt. 62 e 195, comma 4, cod. proc. pen.
Invero, la Corte distrettuale, nel confermare l’affermazione di responsabilità dell’imputato, non ha tenuto in conto le dichiarazioni inutilizzabili, procedendo a “sfilare” dal compendio istruttorio le dichiarazioni auto-indizianti, nel dibattimento riferite de relato dal teste di polizia giudiziaria.
Riqualificato il reato nella violazione dell’art. 699 cod. pen., la Corte territoriale ha concordato con il Tribunale, ritenendo inattendibili le testimonianze del padre e dell’amico dell’imputato, ed ha preso in considerazione, per disattenderle, le dichiarazioni spontanee rese dall’imputato al dibattimento, avendo così pretermesso dal plafond istruttorio le dichiarazioni rese dall’imputato stesso al momento del controllo e riferite in giudizio dal teste di polizia giudiziaria.
Sulla base di quanto affermato, resta pertanto assorbito l’ulteriore rilievo della difesa, laddove lamenta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dell’indagato,
anche sotto il profilo della mancata verbalizzazione delle dichiarazioni stesse, trasfuse nell’annotazione di servizio, non rilevando, nella specie, quanto da Sez. 1, n. 37316 del 09/09/2021, Rv. 281909 – 01, secondo cui «Sono inutilizzabili le dichiarazioni, non verbalizzate né sottoscritte, rese dall’indagato alla polizia giudiziaria e da questa riportate in un’annotazione redatta ai sensi dell’art. 357, comma 1, cod. proc. pen. (In motivazione, la Corte ha specificato che, stante il generale divieto di utilizzabilità delle dichiarazioni dell’indagato in difetto delle garanzie di cui all’art. 64 cod. proc. pen., in via d’eccezione, è consentita l’utilizzabilità procedimentale e dibattimentale – ancorché, in questo secondo caso, nei limiti di cui all’art. 503, comma 3, cod. proc. pen. – soltanto delle dichiarazioni dal medesimo spontaneamente effettuate, purché abbiano costituito oggetto di rituale verbalizzazione a norma dell’art. 357, comma 2, cod. proc. pen.».
2.1. Infondato è altresì il secondo motivo di gravame.
Da un lato, ci si duole della violazione del diritto di difesa e del diritto a silenzio dell’imputato, dall’altro, della illogicità della motivazione in punto elemento soggettivo del reato.
In ordine al primo profilo, si rileva come la Corte territoriale, nell’articolato motivazionale, abbia riferito del rifiuto dell’imputato di sottoporsi ad esame, facendo un’affermazione in apparente contrasto con il diritto di ciascun imputato a restare silente di fronte alle accuse, consacrato all’art. 62, comma 3, lett. b) cod. proc. pen.
Va tuttavia rilevato che, procedendo ad eliminare dal tessuto motivazionale tali considerazioni, la motivazione stessa non ne viene inficiata e, conseguentemente, in accordo con la consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le molte, Sez. 4, n. 50817 del 14/12/2023, COGNOME, Rv. 285533-01, «Nel giudizio di legittimità, laddove risulti l’inutilizzabilità di prove illegalmen assunte, è consentito ricorrere alla cd. “prova di resistenza”, valutando se, espunte le prove inutilizzabili, la decisione sarebbe rimasta invariata in base a prove ulteriori, di per sé sufficienti a giustificare la medesima soluzione adottata. (Fattispecie in tema di guida in stato di ebbrezza e di alterazione psicofisica dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti, in cui la Corte ha ritenuto la decisione immune da censure, non risultando la condanna pregiudicata dall’espunzione dal compendio probatorio delle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato nell’immediatezza del fatto, erroneamente ritenute utilizzabili, posto che il giudizio di primo grado era stato definito con rito ordinario)», il motivo di doglianza deve ritenersi infondato.
2.2. Anche il profilo di ricorso relativo all’illogicità della motivazione in ordine alla prova dell’elemento soggettivo del reato deve essere respinto, in quanto infondato.
In proposito, non assume rilievo la motivazione alternativa proposta dalla Corte territoriale, laddove è stato affermato che, anche a ritenere credibili le dichiarazioni dell’imputato circa la mancata conoscenza della presenza del coltello all’interno dell’automobile, egli avrebbe avuto un onere di diligenza circa la verifica della presenza di armi del padre, che era solito usare quell’auto.
Invero, la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato – e l’affermazione di responsabilità a carico di COGNOME – è stata fatta discendere dalla valutazione complessiva del compendio istruttorio, nella misura in cui le dichiarazioni del padre dell’imputato sono state ritenute scarsamente credibili, analogamente a quelle degli altri testi.
NOME, affermando che il coltello era di sua proprietà e che veniva utilizzato per la caccia, aveva riferito di averlo dimenticato a bordo della vettura di solito utilizzata dal figlio e di proprietà della compagna del già menzionato.
Non era stato tuttavia in grado di fornire una spiegazione plausibile del fatto di avere lasciato il coltello nel cruscotto circa quindici giorni prima, invece di averlo riposto insieme al resto dell’attrezzatura da caccia.
Come analogamente implausibile è stato giudicato il comportamento del teste medesimo, padre dell’imputato, il quale, pur essendo a conoscenza del controllo a carico del figlio, non si era recato dalle Forze dell’Ordine a fornire spiegazioni sull’accaduto.
Ulteriore discrasia era emersa, secondo la Corte di appello, il momento in cui il padre dell’imputato avrebbe lasciato il coltello a bordo dell’auto: il predetto, aveva infatti stimato l’intervallo in circa quindici giorni, mentre la titola dell’auto, sig. COGNOME, aveva parlato di un paio di giorni soltanto.
E anche la testimonianza di NOME COGNOME, amico dell’imputato, presente a bordo dell’auto al momento del controllo, è stata parimenti ritenuta inattendibile con motivazione logica, posto che, diversamente da quanto sostenuto dallo stesso, l’auto stava facendo rientro in Italia.
Tanto premesso, ne deriva la piena logicità del percorso logico tratteggiato nelle due sentenze di merito, sovrapponibili nell’iter motivazionale che ha condotto alla affermazione della responsabilità dell’imputato, ravvisato, accanto all’elemento oggettivo, anche quello soggettivo del reato.
2.3. Il terzo motivo, afferente, da un lato, la mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione circa la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e del riconoscimento del fatto lieve ex art. 131-bis cod.
pen. si pone al limite dell’ammissibilità, non confrontandosi con il tessuto motivazionale della decisione impugnata.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di appello ha invero puntualmente e logicamente motivato l’inapplicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., in ragione delle caratteristiche dell’arma e della spiccata offensività della stessa, accanto alle modalità di detenzione imprudenti e pericolose.
Ciò, in coerenza con la giurisprudenza di legittimità relativa all’istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto, dovendosi ribadire che tale giudizio postula necessariamente la positiva valutazione di tutte le componenti richieste per la integrazione della fattispecie, cosicché i criteri indicati nel primo comma dell’art. 131-bis cod. pen. sono cumulativi quanto al giudizio finale circa la particolare tenuità dell’offesa, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità, mentre sono alternativi quanto al diniego, nel senso che l’applicazione di detta causa è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi (Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, COGNOME, Rv. 283044; Sez. 6 n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647; Sez. 3 n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678).
Ne deriva l’infondatezza del motivo.
Analoghe considerazioni valgono per il rifiuto, opposto dalla Corte distrettuale, di concessione delle attenuanti generiche, giustificato, con motivazione logica e quindi incensurabile in questa sede, sulla base dell’assenza di elementi positivamente valutabili e la rilevanza dei precedenti penali a carico dell’imputato al quale non è stata contestata la recidiva – come si evidenzia in ricorso – soltanto in quanto trattasi di contravvenzione.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/05/2024.