Porto abusivo di armi: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso
Il porto abusivo di armi rappresenta una delle fattispecie di reato più comuni e dibattute nelle aule di giustizia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire i criteri con cui viene valutata la legittimità del porto di un coltello e le conseguenze di un ricorso presentato senza solide basi giuridiche. Il caso analizzato riguarda un uomo condannato per aver portato con sé un coltello a serramanico, sostenendo di averne bisogno per la sua professione.
La vicenda processuale: dal Tribunale alla Cassazione
Il percorso giudiziario inizia con la condanna da parte del Tribunale di Brindisi, poi confermata dalla Corte di Appello di Lecce. L’imputato viene riconosciuto colpevole del reato previsto dall’art. 4 della legge n. 110/1975 per aver portato fuori dalla propria abitazione, senza un giustificato motivo, un coltello a serramanico con una lama acuminata di 9 cm e una lunghezza totale di 21,5 cm. La pena inflitta è di cinque mesi di arresto e 1.000 euro di ammenda.
Di fronte a questa decisione, l’uomo decide di presentare ricorso per Cassazione, basando la sua difesa su due punti principali: la sussistenza di un “giustificato motivo”, legato alla sua attività di mediatore agricolo, e la richiesta di applicazione della diminuente per la “lieve entità” del fatto.
L’inammissibilità del ricorso per porto abusivo di armi
La Corte di Cassazione, con una sintetica ma incisiva ordinanza, dichiara il ricorso inammissibile. La ragione di tale decisione risiede nella manifesta infondatezza delle argomentazioni proposte. I giudici supremi evidenziano come il ricorrente, di fatto, non contesti la violazione di legge o un vizio di motivazione, ma chieda una nuova e diversa valutazione degli elementi già esaminati dai giudici di merito. Questo tipo di richiesta è preclusa nel giudizio di legittimità, che si limita a verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.
La Corte sottolinea che il ragionamento della Corte di Appello era stato coerente e privo di illogicità, rendendo il ricorso un mero tentativo di ottenere un terzo grado di giudizio sul fatto, non consentito dalla legge.
Le motivazioni: perché non sussistono né giustificato motivo né lieve entità
La Suprema Corte entra nel merito delle argomentazioni difensive per spiegare perché la decisione dei giudici di secondo grado fosse corretta.
L’assenza del giustificato motivo
Il ricorrente si era limitato a dichiarare di essere un mediatore agricolo. Tuttavia, come ribadito dai giudici, la semplice affermazione di una qualifica professionale non è sufficiente a creare automaticamente un giustificato motivo. È necessario dimostrare un nesso logico e concreto tra l’attività svolta e la necessità di portare con sé uno strumento come un coltello di quelle dimensioni. Nel caso di specie, tale collegamento non è stato provato.
L’esclusione della lieve entità
Anche la richiesta di riconoscere la lieve entità del fatto viene respinta. La Corte di Appello aveva correttamente considerato le dimensioni dell’arma e il fatto che fosse stata trovata nella tasca dei pantaloni, quindi immediatamente disponibile all’uso. A questi elementi, la Cassazione aggiunge un principio di diritto fondamentale, richiamando una precedente sentenza (n. 13630/2019): in materia di porto abusivo di armi, il giudizio negativo sulla personalità dell’imputato è di per sé un elemento sufficiente a giustificare il rigetto dell’istanza di concessione della diminuente. In altre parole, se l’imputato non offre garanzie di affidabilità, la potenziale minore offensività del fatto passa in secondo piano.
Le conclusioni: implicazioni pratiche della pronuncia
Questa ordinanza riafferma alcuni principi chiave in materia di reati di armi. Primo, chiunque porti con sé un coltello o un altro strumento atto ad offendere deve essere in grado di fornire una giustificazione specifica, credibile e strettamente collegata a una necessità contingente, non bastando un generico riferimento alla propria professione. Secondo, la valutazione della personalità del reo assume un ruolo centrale nel decidere se concedere o meno benefici come l’attenuante della lieve entità. Infine, la decisione sottolinea le gravi conseguenze di un ricorso inammissibile: oltre alla conferma della condanna, il ricorrente è stato obbligato a pagare le spese processuali e un’ulteriore somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Sostenere di essere un mediatore agricolo è un “giustificato motivo” per portare un coltello a serramanico?
No. Secondo l’ordinanza, limitarsi a sostenere una qualifica professionale non è sufficiente a costituire un giustificato motivo per il porto abusivo di armi, poiché manca la prova di un nesso diretto e concreto tra lo strumento e l’attività specifica che si sta svolgendo.
Quali elementi considera la Corte per escludere la “lieve entità” nel reato di porto abusivo di armi?
La Corte considera le dimensioni dell’arma (un coltello lungo 21,5 cm), le modalità del fatto (portato nella tasca dei pantaloni, quindi pronto all’uso) e, in modo determinante, il giudizio negativo sulla personalità dell’imputato, ritenuto elemento di per sé sufficiente a negare l’attenuante.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver intrapreso un’azione legale priva di fondamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2328 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2328 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a CAROVIGNO il 04/12/1962
avverso la sentenza del 26/01/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la sentenza impugnata.
Rilevato che il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato; Considerato, infatti, che la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Brindisi in data 7 marzo 2022, con la quale il predetto era stato condannato alla pena di mesi cinque di arresto ed euro 1.000,00 di ammenda perché riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 4 1.110/75 per avere portato fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, un coltello a serramanico con lama acuminata di cm. 9 e con impugnatura in plastica della lunghezza complessiva di cm. 21,5;
Ritenuto che la Corte territoriale – con motivazione adeguata e non manifestamente illogica – ha escluso la sussistenza del giustificato motivo del possesso dell’arma bianca dato che l’imputato si era limitato a sostenere di essere un mediatore agricolo, nonché la configurabilità dell’ipotesi di lieve entità prevista dal terzo comma del citato art. 4, in considerazione delle dimensioni dell’arma e delle modalità del fatto, tenuto conto che il coltello si trovava nella tasca dei pantaloni dell’odierno ricorrente;
Considerato che in materia di porto abusivo di armi, costituiscono elementi sufficienti a giustificare la reiezione dell’istanza di concessione della diminuente della lieve entità del fatto il negativo giudizio sulla personalità dell’imputat (Sez. 1, n. 13630 del 12/02/2019, Rv. 275242 – 01);
Rilevato, infine, che il ricorrente non si confronta in modo specifico rispetto a tale coerente ragionamento svolto dalla Corte di appello e che, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, chiede in realtà una differente (ed inammissibile) valutazione degli elementi processuali;
Ritenuto che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, in Roma il 5 dicembre 2024.