Pluralità di Reati Spaccio: Quando Ogni Cessione Conta
Con la recente ordinanza n. 43056 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale nel diritto penale degli stupefacenti: la distinzione tra un unico reato continuato e la pluralità di reati spaccio. La decisione offre importanti chiarimenti su come valutare condotte di cessione di droga ripetute nel tempo, confermando un orientamento rigoroso che valorizza le circostanze concrete di ogni singolo episodio.
I Fatti del Caso: 48 Episodi di Cessione Contestati
Il caso trae origine dal ricorso di un uomo, condannato in primo grado e in appello per ben quarantotto episodi di cessione di sostanze stupefacenti di vario tipo. L’imputato, attraverso la sua difesa, aveva impugnato la sentenza della Corte d’Appello, sostenendo che le numerose condotte avrebbero dovuto essere considerate come un unico reato.
L’Argomentazione del Ricorrente
La tesi difensiva si basava su tre elementi principali: la commissione dei fatti in un arco temporale ristretto, l’utilizzo di sostanze provenienti dalle medesime partite e la detenzione delle stesse in un unico luogo. Secondo il ricorrente, questi fattori avrebbero dovuto indurre i giudici a qualificare l’intera vicenda come un’unica violazione di legge, anziché come una serie di reati distinti. La richiesta, in sostanza, era quella di vedere unificato il trattamento sanzionatorio, con evidenti benefici per l’imputato.
La Decisione della Cassazione: Pluralità di Reati Spaccio Confermata
La Suprema Corte ha respinto categoricamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una motivazione netta: il ricorso non era altro che la riproposizione di una doglianza già esaminata e motivatamente respinta dai giudici d’appello. La Corte di Cassazione, infatti, non è una terza istanza di giudizio sul merito dei fatti, ma un giudice di legittimità, che valuta la corretta applicazione della legge e la coerenza della motivazione.
Le Motivazioni della Corte
Nel dettaglio, i giudici di legittimità hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse correttamente giustificato la sua decisione di confermare la condanna per una pluralità di reati spaccio. La motivazione si basava su circostanze di fatto decisive, che il ricorrente non aveva neppure contestato: le cessioni erano state effettuate in giorni differenti e nei confronti di vari acquirenti. Questi due elementi, secondo la consolidata giurisprudenza della Cassazione, sono sufficienti a configurare reati autonomi e distinti. Ogni singola vendita, diretta a un acquirente diverso o avvenuta in un momento separato, costituisce una violazione penale a sé stante. La provenienza della droga da un’unica partita o la sua detenzione in un unico luogo sono circostanze irrilevanti di fronte alla pluralità delle azioni di spaccio. La Corte ha quindi ritenuto il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel contrasto al traffico di stupefacenti, ogni singola azione di cessione ha una sua autonomia e rilevanza penale. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, le implicazioni sono chiare: non si può sperare di unificare in un unico reato una serie di vendite di droga solo perché avvengono in un periodo limitato o con sostanze della stessa partita. La giustizia valuta ogni condotta illecita singolarmente, soprattutto quando questa coinvolge persone diverse in momenti diversi. Inoltre, la pronuncia conferma che un ricorso per cassazione, per avere speranze di successo, deve presentare argomenti nuovi e validi, e non limitarsi a ripetere le stesse tesi già bocciate nei gradi di giudizio precedenti. L’inammissibilità del ricorso, infatti, comporta non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria.
Più cessioni di droga in un breve periodo di tempo costituiscono un unico reato?
No, secondo la Corte di Cassazione non necessariamente. Se le cessioni avvengono in giorni diversi e a favore di acquirenti diversi, configurano una pluralità di reati distinti, anche se la sostanza stupefacente proviene dalla stessa partita.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione si limita a ripetere le stesse argomentazioni già respinte in appello?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte non riesamina nel merito questioni già compiutamente valutate e disattese dal giudice precedente, se non vengono addotti nuovi e validi motivi di critica alla sentenza impugnata.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso penale?
La legge prevede che il ricorrente venga condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) a favore della Cassa delle ammende, a meno che non dimostri l’assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43056 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43056 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CROTONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/12/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME impugna la sentenza in epigrafe indicata, che ne ha confermato la condanna per quarantotto episodi di cessione di stupefacenti di vario tipo.
Il ricorso lamenta violazione di legge e vizi di motivazione, per non essere stato ravvisato un unico reato, trattandosi di condotte commesse in un ristretto arco temporale e relative alle medesime partite di sostanze, detenute in un unico luogo.
Il ricorso è inammissibile, risolvendosi nella riproposizione di doglianza già compiutamente esaminata e disattesa dai giudici d’appello, con puntuale richiamo di giurisprudenza di legittimità e sulla base di circostanze di fatto (cessioni effettuate in giorni differenti e nei confronti di vari acquirenti) che valgono a configurare la pluralità dei reati e che il ricorso non contesta.
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equa in tremila euro, non ravvisandosi assenza di colpa della ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 25 ottobre 2024.