Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1431 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1431 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il 24/06/1989
avverso la sentenza del 09/03/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ del ricorso.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di ROMA in difesa di NOME COGNOME che chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3068 del 2023, ha parzialmente accolto l’impugnazione proposta da NOME COGNOME e da NOME avverso la sentenza del Tribunale di Roma che, all’esito di giudizio abbreviato, li aveva condannati, rispettivamente, alla pena di anni due di reclusione ed euro 800 di multa ed alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 1200 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare in carcere, in relazione al reato di cui agli artt. 624 e 625 nn. 2 e 7 c.
Agli imputati era stato contestato l’impossessamento, al fine di trarne profitto, di quattro catalizzatori relativi a modello SMART in danno di Palermi NOME e NOME COGNOME, commettendo il fatto in concorso tra di loro, con violenza sulle cose, su cosa esposta alla pubblica fede. Con la recidiva specifica infraquinquennale per COGNOME e recidiva reiterata, specifica infraquinquennale per COGNOME.
La Corte d’appello ha confermato l’accertamento compiuto dalla sentenza di primo grado, posto che i due uomini venivano fermati ad un posto di controllo e, in tale frangente, il personale aveva riconosciuto immediatamente COGNOME che era pluripregiudicato e si trovava alla guida del mezzo, e l’Epure che sedeva accanto al guidatore ed aveva le mani sporche di olio/grasso di motore di veicoli. Gli agenti avevano proceduto alla perquisizione dell’abitacolo dell’autovettura ove trovavano arnesi atti allo scasso (chiavi, cacciaviti, grimaldelli) e, nel bagagliaio posteriore 4 catalizzatori per auto – tutti modello SMART- ed ulteriori arnesi tutti dello stesso tipo. Non venivano fornite giustificazioni circa il possesso degli strumenti, per cui gli agenti effettuavano un controllo nelle zone limitrofe e, all’interno di un parcheggio notavano due autovetture SMART con paraurti parzialmente divelto. Uno dei parafanghi rinvenuti corrispondeva a quello di proprietà di COGNOME NOME, che sporgeva regolare denuncia/querela; in INDIRIZZO altra vettura SMART aveva subito il furto del parafango.
La Corte d’appello, per quanto qui rileva, ha ritenuto utilizzabili e significative l fonti di prova esaminate dal primo giudice ed ha evidenziato che, con certezza, si era appurata la corrispondenza della refurtiva recuperata a quanto sottratto alle persone offese COGNOME che aveva riconosciuto nell’immediatezza il proprio catalizzatore ed aveva specificato in denuncia c:he nel posteggio aveva notato una macchina nera vicina alla propria SMART, COGNOME NOME e COGNOME NOME. La Corte ha pure evidenziato che gli imputati non avevano fornito valide giustificazioni nell’immediatezza dei fatti e l’Epure aveva reso dichiarazioni spontanee dopo mesi, in prossimità dell’udienza del 28 settembre 2022, e senza accompagnare le dichiarazioni con riscontrabili dati oggettivi. Anche le impugnazioni relative ai restanti capi andavano respinte, ad eccezione del capo relativo all’aumento di pena
applicato dal Tribunale per la recidiva. La Corte territoriale ha, infatti, ritenut sussistenti per entrambi gli imputati le recidive contestate, ma ha fatto applicazione del disposto dell’art. 63, comma 4, cod. pen., per cui ha ritenuto di non operare a questo titolo l’aumento di p)ena, rideterminando la pena per entrambi ad anni due di reclusione ed euro 400 di multa per ciascuno.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avvocato NOME COGNOME quale difensore di NOME COGNOME sulla base di due motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att., comma 1, cod. proc. pen.
Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., in relazione alla mancata correlazione tra il fatto contestato e la sentenza. Si deduce che l’imputazione contestata all’Epura riguardava il furto aggravato di quattro catalizzatori relativi a modello SMART, mentre la notte dell’arresto gli operanti avevano individuato’ a seguito di perlustrazione, tre autovettura SMART, di proprietà di NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; peraltro, le ricerche relative all’autovettura dalla quale sarebbe stato estratto il quarto catalizzatore rinvenuto non avevano dato esito positivo. L’imputazione indicava tuttavia solo i due catalizzatori riferiti alle autovettura appartenenti a NOME COGNOME ed NOME COGNOME e quest’ultimo, non era mai stato rinvenuto dagli operanti e quindi non aveva mai effettuato alcun riconoscimento, né sporto alcuna querela. In conseguenza, la condanna era stata emessa, senza che il P.M. avesse proceduto ad alcuna modifica dell’imputazione, per un fatto diverso con consequenziale nullità della sentenza e con effetti anche ai fini della determinazione della pena.
Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 624, ultimo comma, cod. pen., come da ultimo modificato dal d.lgs. n. 150 del 20/10/2022, in relazione alla condanna in difetto della condizione di procedibilità per il reato contestato, con riferimento a due fatti di furto giudicati con la sentenza impugnata e, precisamente, quelli relativi al catalizzatore per cui non si era identificata l’autovettura di riferimento ed al catalizzatore relativo alla SMART di NOME COGNOME che non aveva proposto querela. Peraltro, il difensore segnala l’erroneità della sentenza impugnata in punto di affermazione di avvenuta presentazione della querela da parte del D’Alto, circostanza non risultante al ricorrente.
L’avvocato NOME COGNOME ha conclusa insistendo nell’accoglimento del ricorso, con annullamento della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte d’appello per nuovo esame.
Il P.G. ha ribadito la richiesta, già formulata nella requisitoria scritta depositata di declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La difesa ricorrente, nella sostanza, invoca la nullità della sentenza impugnata in conseguenza di una mancata corrispondenza tra il fatto contestato e quello accertato, e ciò in quanto la contestazione aveva indicato il furto aggravato di quattro catalizzatori, di cui però lo stesso capo d’imputazione individuava solo due proprietari (Palermi e D’Alto), mentre l’accertamento della Corte d’appello (conformemente a quello svolto dal Tribunale) avrebbe riguardato anche il furto subito da una terza persona (COGNOME NOME), restando sconosciuto il proprietario della quarta autovettura derubato del catalizzatore.
È opportuno premettere che la contestazione formulata nel capo d’imputazione, per quanto qui in rilievo, ha avuto ad oggetto, in relazione agli artt. 624 e 625 nn. 2) e 7), cod. pen., l’impossessamento, da parte di NOME COGNOME NOMECOGNOME in concorso tra loro, ed al fine di trarne profitto, di quattro catalizzator relativi a modello SMART in danno di Palermi NOME e NOME COGNOME, commettendo il fatto in concorso tra di loro, con violenza sulle cose, su cosa esposta alla pubblica fede. In particolare, i catalizzatori si trovavano collocati nelle autovetture SMART poste in due parcheggi.
Come è evidente, la formulazione ha avuto ad oggetto una pluralità di furti aggravati, sebbene la formale contestazione non indichi esplicitamente il riferimento al vincolo della continuazione ex art. 81 c.p., né risulti in concreto applicato tale vincolo dalla sentenza impugnata.
A proposito dei criteri interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte nelle ipotesi in cui i beni sottratti siano di proprietà di più soggetti, s peraltro consolidato l’orientamento, ribadito ad esempio da Sez. 4, n. 41997 del 19/07/2017 dep. il 14/09/2017, COGNOME non mass., secondo cui in tema di furto, l’agente che sottrae una pluralità di cose detenute da più soggetti, realizza una pluralità di reati, quando opera in un contesto spaziale che giuridicamente non può ricondursi ad un unico detentore (così Sez. 5, n. 41141 del 19/5/2014, Pop ed altro, Rv. 261204 che, in applicazione del principio, ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva ravvisato più reati di furto in relazione alla sottrazione di più motori fuoribordo consumata presso un porticciolo).
Dunque, se è vero che nel paradigma dell’art. 624 cod. pen., la pluralità dei beni, ancorché appartenenti formalmente a persone diverse, ma sottratti in un medesimo contesto spaziale riconducibile ad un unico detentore, non può che condurre alla conclusione dell’unicità del reato, dal momento che la norma incriminatrice resta indifferente alla titolarità formale delle cose mobile di cui ci sia impossessati, è altrettanto vero che quando, tuttavia, come nella specie, la sottrazione avvenga in un contesto spaziale (nella specie due posteggi differenti),
che giuridicamente non può ricondursi ad un unico detentore, tale essendo la situazione che si verifica quando beni ordinariamente detenuti da soggetti diversi sono collocati in un medesimo spazio, si impone la conclusione della pluralità di reati. Tale principio, si è detto proprio nella citata Sez. 4, n. 41997 del 19/07/2017, va applicato, ad esempio, in ipotesi di più vetture simultaneamente rubate dallo stesso parcheggio.
Ciò premesso, è evidente che nel vizio denunciato non è certamente incorsa la sentenza impugnata. Infatti, già il capo di imputazione non risulta formulato secondo il criterio interpretativo della pluralità di furti, ma secondo quello della unicità del reato, posto che, pur indicando la presenza di quattro catalizzatori, ha individuato i nominativi dei soli COGNOME e COGNOME, quali due proprietari delle relative autovetture depredate, e la sentenza ha accertato che, in effetti, mediante le attività di perlustrazione dei posteggi antistanti la località in cui venne notata e poi fermata l’auto sulla quale si trovavano gli imputati, aveva trovato conferma il fatto che le marmitte fossero stare estratte dalle autovetture di proprietà dei medesimi. 8. La condanna, dunque, non riguarda fatti diversi, né stravolge i fatti contestati. Piuttosto, nella motivazione, la Corte territoriale dà atto chE anche una terza marmitta venne riconosciuta dalla proprietaria NOME COGNOME, ma si tratta di una informazione che non interferisce con la stretta correlazione esistente tra la contestazione, ove la COGNOME non viene neanche individuata come parte offesa e danneggiata dal furto, e la sentenza; la affermazione in parola, soprattutto, non supporta in alcun modo !a motivazione riferita alle parti danneggiate indicate nel capo d’imputazione.
In definitiva, il riferimento all’avvenuto riconoscimento e consequenziale restituzione anche a NOME COGNOME di una delle marmitte rinvenute, non si sovrappone al giudizio relativo al capo d’imputazione ma semmai, con evidente complessivo vantaggio per gli imputati, evidenzia che una ulteriore fattispecie concreta di analogo reato avrebbe potuto essere contestata. Così, però, non è avvenuto, né sul punto vi è stato accertamento di responsabilità da parte della sentenza impugnata, per cui non influisce sulla correlazione tra contestazione e sentenza.
10. Il secondo motivo è inammissibile. La sentenza impugnata (pag. 3) espressamente riferisce «Risulta altresì dalla formale denuncia-querela in atto sporta da COGNOME che anche il furto della marmitta e del catalizzatore della sua autovettura SMART, lasciata in parcheggio nella stessa zona, era certamente avvenuto nelle prime ore della notte tra il 23 ed il 24 maggio 2022, avendolo la persona offesa riscontrato nell’immediatezza». La citata querela, inoltre, datata 26 maggio 2022, è presente agli atti del processo.
La difesa ricorrente afferma che « […i non risulta allo scrivente difensore in atti alcuna denuncia presentata dal sig. COGNOME NOME» dunque, tale allegazione, oltre che in palese contrasto con quanto accertato dalla sentenza impugnata, risulta smentita dalla realtà processuale.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (art. 616 c.p.p.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2023.