Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9349 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9349 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/9/2023 del Tribunale del riesame di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udite le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 28/9/2023, il Tribunale del riesame di Roma – in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza del 30/5/2023 del Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale applicava ad NOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari con riguardo a due capi di imputazione, riqualificati ai sensi dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
..
Propone ricorso per cassazione l’indagato, deducendo i seguenti motivi:
erronea applicazione degli artt. 73, commi 1 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990. Il Tribunale avrebbe riqualificato le condotte ai sensi del comma 1 citando sentenze che si riferirebbero a vicende ben diverse e più gravi di quella in esame, connotata da episodi di spaccio di modesti quantitativi di stupefacente (tra 0,2 e 0,5 grammi), privi di struttura organizzata e, dunque, di limitata offensività, come affermato dal G.i.p.; le differenti conclusioni raggiunte dal Tribunale, peraltro, valorizzerebbero mere presunzioni in ordine ai profitti dell’attività, e sarebbero contraddittorie laddove evidenzierebbero che le intercettazioni non avrebbero coinvolto direttamente il ricorrente;
erronea applicazione della legge penale e illogicità della motivazione con riferimento agli artt. 273, 274 e 275, comma 3, cod. proc. pen. L’ordinanza avrebbe riconosciuto l’esigenza cautelare (pericolo di reiterazione) con affermazioni del tutto generiche, peraltro dopo aver sottolineato il ruolo certamente marginale che lo COGNOME avrebbe avuto nella vicenda; ancora, sarebbero stati valorizzati un dato irrilevante (l’esistenza di un referente, ovvia nella cessione di stupefacenti) ed uno risalente (precedenti penali relativi al 2000), così da doversi ribadire l’episodicità e la contingenza della condotta. L’ordinanza, peraltro, non avrebbe considerato la stretta osservanza del duplice obbligo di presentazione, l’assenza di episodi reiterativi dopo l’emissione dell’ordinanza cautelare, così come la concessione della conversione della pena in lavori di pubblica utilità, in un diverso procedimento. Infine, si contesta la motivazione circa l’adeguatezza della sola misura degli arresti donniciliari.
Con memoria del 15/1/2024, è ribadita la citata sostituzione della pena e della misura dell’obbligo di dimora con quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo alla prima censura, che – impregiudicata ogni valutazione sul fumus commíssi delicti contesta l’esclusione su molti capi della fattispecie attenuata di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, deve ribadirsi che questa è configurabile nelle ipotesi di c.d. piccolo spaccio, che si caratterizzano per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro e potenzialità di guadagni limitati, che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia tale da dar luogo ad una prolungata attività di spaccio, rivolta ad un numero indiscriminato di soggetti (tra
le altre, Sez. 6, n. 45061 del 3/11/2022, Restivo, Rv. 284149). Ai fini del riconoscimento del reato di cui all’art. 73, comma 5, in oggetto, dunque, la valutazione dell’offensività della condotta non può essere ancorata solo al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine (Sez. 6, n. 13982 del 20/2/2018, Lombino, Rv. 272529). Ne consegue che è legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità di droga modica, o non accertata, costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell’autore di diffondere in modo non episodico, né occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (per tutte, Sez. 3, n. 6871 dell’8/7/2016, Bandera, Rv. 269149).
Tanto premesso in termini generali, il Collegio rileva che il provvedimento impugnato ha fatto buon governo di questi principi, riformando l’ordinanza del G.i.p. con una motivazione del tutto solida, ancorata a precisi esiti investigativi e tale da sostenere in modo adeguato la riqualificazione delle condotte ai sensi del comma 1 dell’art. 73.
5.1. In particolare, il Tribunale ha richiamato il contesto illecito nel quale lo COGNOME aveva pacificamente operato, sotto le direttive di NOME COGNOME che, dal domicilio coatto, gestiva i traffici di stupefacenti avvalendosi di numerosi collaboratori – tra i quali il ricorrente – per la consegna della sostanza. I complessivo quadro di indagine, che l’impugnazione non contesta, aveva dunque dato conto di un circuito criminale ampio e ramificato, ben conosciuto dallo stesso COGNOME, che vedeva la partecipazione di numerosi soggetti chiamati a presidiare i punti fissi di consegna della sostanza, anche per 12 ore al giorno, o ad eseguire trasporti a domicilio, come quelli compiuti proprio dal ricorrente. Questi, peraltro, era risultato perfettamente consapevole dello stato detentivo in cui si trovava il COGNOME (senza che ciò costituisse remora alcuna), così come del contributo di numerose altre persone, da lui conosciute. Ancora, l’ordinanza ha valorizzato le intercettazioni telefoniche, dalle quali era chiaramente emersa la disponibilità offerta dal ricorrente proprio al COGNOME – ad eseguire consegne “al volo”; dal tenore delle conversazioni, peraltro, era risultata la conoscenza – per ragioni di spaccio – di altri coindagati (come NOME, detto il “barbone”), così come
l’abitualità delle condotte illecite alle quali si prestava, al pari della presenza acquirenti stabili (tale “Trottatore”) ai quali lo stesso COGNOME effettuava l consegne. In un’altra conversazione, il coindagato COGNOME COGNOMEaddetto, come lui, al trasporto a domicilio), riferendosi proprio al ricorrente – l’unico di nome NOME aveva detto al COGNOME che “lui me l’ha sempre detto, se mi succede qualcosa NOME sa tutto, ‘ndo stanno i cosi” (verosimilmente, le dosi di stupefacenti).
5.2. Era emersa, dunque, un’attività di spaccio che, seppur non costituita in associazione, evidenziava una sicura stabilità, con divisione di ruoli e di compiti, di luoghi da presidiare quotidianamente, di orari da rispettare; un’attività, pertanto, che il Tribunale – a differenza del G.i.p. – ha congruamente riconosciuto non riconducibile alla fattispecie lieve di cui al comma 5 dell’art. 73 citato, proprio alla luce della giurisprudenza sopra richiamata. Ulteriore elemento valorizzato a significare l’ampiezza del circuito criminale, poi, è quello economico, relativo al profitto; sul punto, l’ordinanza – lungi dal procedere per mere presunzioni, come affermato nel ricorso – ha richiamato il chiaro contenuto di alcune intercettazioni, dalle quali risultavano guadagni per 1.500/2.000 euro al giorno.
5.3. La motivazione stesa dal Tribunale in ordine alla qualificazione delle condotte contestate allo COGNOME, pertanto, non merita censure.
In ordine, poi, alle esigenze cautelari, il Collegio conclude nei medesimi termini.
6.1. L’ordinanza ha evidenziato che il ricorrente era risultato stabilmente inserito nel traffico illecito di stupefacenti; che lo stesso aveva smerciato cocaina per conto del COGNOME con consegna a domicilio; che il suo ruolo era certamente più marginale rispetto a quello del coimputato, ma sempre in un contesto più ampio ed articolato, con piena conoscenza dei profili organizzativi e di molti dei soggetti coinvolti. Ancora, il Tribunale ha sottolineato che lo NOME è gravato da tre precedenti specifici, sebbene per fatti del 2000/2001, ed anche che al momento della misura applicata con l’ordinanza appellata era sottoposto ad analoga misura disposta sempre per violazione dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 (fatto – commesso nell’aprile 2023 – per il quale è stato condannato in primo grado alla pena di 2 anni e 8 mesi di reclusione). Dal che, la dimostrazione che il ricorrente aveva proseguito i propri traffici illeciti in materia di stupefacenti anche dopo i fatt per i quali qui si procede, e peraltro in epoca assai recente; un soggetto, ancora, privo di una documentata (o riferita) attività lavorativa lecita, così dovendosi presumere – allo stato degli atti – che tragga il proprio esclusivo sostentamento dallo stabile svolgimento di reati come quelli contestati.
6.2. In forza di questi elementi, tutt’altro che generici, è stata dunque riconosciuta l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione del reato, con motivazione pienamente adeguata e priva di illogicità manifeste.
6.3. Con riguardo, poi, alla specifica misura da adottare, l’ordinanza l’ha individuata nei soli arresti domiciliari, idonea a recidere ogni contatto tra l’indagato e gli ambienti criminali nei quali è risultato evidentemente inserito; questa motivazione – sia pur sintetica – risulta comunque sufficiente, perché solida e congrua, ad escludere l’adeguatezza di una misura meno severa.
6.3. Nessun rilievo, infine, assume la documentazione allegata alla memoria, già richiamata in premessa, in quanto relativa ad una differente vicenda processuale, sebbene su medesima fattispecie; la pena detentiva irrogata in quella sede (2 anni e 8 mesi di reclusione), per quanto poi sostituita con lavoro di pubblica utilità, costituisce peraltro un ulteriore argomento, non manifestamente illogico, con il quale il Tribunale del riesame ha evidenziato la sussistenza delle esigenze cautelari a carico dello NOME, nei termini della personalità del soggetto, così da giustificare l’aggravamento della misura.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2024
Il Csjliere estensore
Il Presidente