Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7785 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7785 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME (cui CODICE_FISCALE), nato in Marocco il 27/02/1997
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Torino il 21/03/2024;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME lette la conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiest l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino ha sostanzialmente confermato la sentenza con cui NOME COGNOME è stato condannato per più fatti di detenzione e cessione di sostanza stupefacente (art. 73, comma 1, d.P.R 9 ottobre 1990, n. 309).
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato articolando due motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione; il tema attiene al mancato riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R m. 309 del 1990.
Si assume che:
l’attività di spaccio si sarebbe protratta per soli due mesi e sarebbe stata definit dallo stesso Giudice di primo grado “molto rudimentale”;
le cessioni, singolarmente considerate, avrebbero tutte ad oggetto modestissime quantità di sostanza stupefacente e si sarebbero realizzate non in una piazza di spaccio ma in una zona boschiva e con modalità, tempi e numeri di soggetti limitati non comparabili con quelli che solitamente vengono in considerazione nei contesti criminali più ampi;
non vi sarebbero sequestri comprovanti accumulo di proventi;
non vi sarebbe una rete di compartecipi in posizione subordinata all’imputato, che sarebbe stato l’ultimo “anello” della catena di distribuzione;
le modalità di occultamento della sostanza stupefacente sarebbero state “elementari” e anche la capacità di penetrazione nel mercato sarebbe stata limitatissima.
Su tali questioni, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe assertiva.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla pena accessoria della interdizione temporanea dei pubblici uffici.
La Corte avrebbe rideterminato la pena in due anni, mesi sette e giorni sedici di reclusione e dunque in misura inferiore al limite di tre anni di reclusione previsto dall’ 29 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato quanto al primo motivo, che ha valenza assorbente.
Sul tema dei limiti di configurabilità della fattispecie di cui al comma 5 dell’art d.P.R. n. 309 del 1990 è in corso una riflessione nella giurisprudenza della Corte di cassazione che si sviluppa su più livelli.
Si coglie una tendenza ad esplicitare in sede applicativa la portata della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 35737/2010 (del 24/06/2010, P.G. in proc. Rico, Rv. 247911), nel senso di sottolineare come nell’occasione la Corte, pur affermando il principio secondo cui la fattispecie prevista dal comma 5 dell’art. 73 d.p.r n. 309 del 1990 “può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parame richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio”, abbia nondimeno offerto coordinate ermeneutiche specifiche ed ulteriori, chiarendo come la valutazione da compiersi, al fine di configurare o escludere l’ipotesi del comma 5, non
possa ridursi ad una fredda operazione di constatazione della “inesistenza anche solo di uno degli indici indicati”.
Di tale necessità le stesse Sezioni Unite della Corte hanno mostrato piena consapevolezza nella parte in cui hanno spiegato come la questione “non possa essere risolta in astratto, stabilendo incompatibilità in via di principio, ma deve trov soluzione caso per caso, con valutazione che di volta in volta tenga conto di tutte le specifiche e concrete circostanze”.
Dunque, una valutazione in concreto in una materia in cui l’esigenza di calibrare la pena all’offesa si manifesta, ove possibile, in maniera quanto mai stringente, considerata la rilevantissima forbice edittale che esiste tra l’ipotesi di cui al comma dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e quella del comma 5.
La questione relativa alla legittimità del trattamento sanzionatorio previsto dall’a 73, comma 1, d.P.R. cit., per violazione dei principi di ragionevolezza /uguaglianza e di proporzionalità della pena è stata affrontata dalla Corte costituzionale, che, nell’ambit di una articolata analisi, ha affermato di non potersi sottrarre alla verifica s ragionevolezza e proporzionalità della misura della pena, ma – allo stesso tempo – di non poter intervenire, non potendo individuare in concreto l’opzione preferibile tra l tante soluzioni costituzionalmente percorribili.
I Giudici hanno tuttavia inviato un chiaro monito al legislatore: “in assenza di una univoca indicazione legislativa già disponibile nel sistema giuridico, questa Corte reputa necessario, nel rispetto delle reciproche competenze istituzionali, richiamare prioritariamente il legislatore alla propria responsabilità, affinché la misura della pe sia riportata in armonia con i principi costituzionali per via legislativa, scegliendo tra le molteplici opzioni sanzionatorie tutte ugualmente legittime e alternative a quell censurata. In mancanza di un intervento del legislatore, la Corte sarebbe però successivamente obbligata a intervenire, non mai in rnalam partem, e comunque nei limiti già tracciati dalla sua giurisprudenza”. (sent. n. 179 del 2017).
Si tratta di affermazioni che, riconoscendo la necessità di riportare in armonia con i principi costituzionali la pena prevista dall’art. 73, cornma 1, d.P.R. cit., impongono interpretare la norma prevista dall’art. 73,comma 5, cit. in maniera stringente e conforme ai principi costituzionali di offensività e di proporzione tra offesa e pena.
La pena è costruita sulla gravità del fatto e giustificata da essa, nelle sue componenti oggettive (importanza del bene, modalità di aggressione, grado di anticipazione della tutela) e soggettive (grado di compenetrazione fatto-autore), come sua variabile dipendente: una distonia nel rapporto o addirittura uno iato tra i due fattori sarebbero costituzionalmente intollerabili.
Dunque, con la forbice edittale il legislatore esprime la sua valutazione sulla gravità del fatto di reato che decide di incriminare, della gravità in astratto, ovviamente; che uguale per tutta la classe di fatti concreti riconducibili al precetto.
Il giudice vi riconosce una presa di posizione su tale elemento e, nell’esercitare il su potere discrezionale di commisurazione, prosegue il “lavoro” affinandolo sui dati della realtà del singolo caso concreto (cfr., per tutte Sez. U., n. 33040 del 26/02/2015, COGNOME, in motivazione).
Nella medesima prospettiva si è collocata anche Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076, che ha fatto applicazione di tali principi affermando che la diversità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato in esame, in quanto l’accertamento della lieve entità del fatt implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione.
Dalla enunciazione di tali principi si desume un parametro interpretativo univoco, secondo cui nella valutazione del fatto lieve, ai sensi del quinto comma della richiamata disposizione, non può assumere, di norma, valenza esclusiva ed assorbente il dato quantitativo, né quello qualitativo con riferimento alla diversità delle sostanze oggett di cessione.
La valutazione del fatto, pertanto, deve guardare alla sua complessità, valorizzando – in senso positivo o negativo – tutti gli elementi che contraddistinguono quell determinata condotta (mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza, anche con riferimento alla percentuale di purezza della stessa): criterio di giudizio, questo, che può subire una flessione solo nel caso in cui il dato ponderale sia di per sé talmente rilevante da determinare l’assorbimento dei restanti aspetti della condotta (in tal senso, da ultimo, Sez. 6, n. 812 del 29/11/2022, dep. 2023, COGNOME, non massimata).
Si è già spiegato come, ai fini del riconoscimento del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la valutazione dell’offensività della condotta debba essere ancorata alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/ alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine (cfr., Sez. 6, n. 13982 del 20/02/201 Lombino, Rv. 272529).
È configurabile l’ipotesi di c.d. piccolo spaccio, cioè, quando si è in presenza d un’attività che si caratterizza per una complessiva minore portata dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, che riveli una ridotta circolazione di merce e di denaro potenzialità di guadagni limitati; tale attività può riconnprendere anche la detenzione d una provvista per la vendita che, comunque, non sia tale da dar luogo ad una prolungata attività di spaccio, rivolta ad un numero indiscriminato di soggetti. (Sez. 6, n. 45061 de 03/11/2022, COGNOME Rv. 284149 in fattispecie caratterizzata dalla mancata emersione del numero degli assuntori che si rivolgevano all’imputato, nonché della capacità di 4
questi – in termini di contatti con i fornitori all’ingrosso e di disponibilità economic procurarsi sostanza stupefacente stabilmente ed in quantitativi apprezzabili).
Nella specie, i Giudice di merito non hanno fatto corretta applicazione dei principi indicati, avendo escluso la riconducibilità dei fatti alla fattispecie meno grave attraver un richiamo alla reiterazione degli episodi di cessione, alla durata di quattro mes dell’attività illecita, all’essere stata detta attività radicata e alla entità d “ragionevolmente incamerati”. O itt)
Si tratta di una valutazione che, in applicazione dei principi indicati, non autoevidente della incompatibilità dell’attività di spaccio compiuta dall’imputato rispet alla fattispecie di cui al comma 5 della norma in esame, tenuto conto della obiettiva esiguità della quantità di sostanza stupefacente di cui avrebbe avuta la disponibilità i ricorrente, dell’assenza di sequestri, della mancata rilevazione della entità dei profi conseguiti, del mancato accertamento di ogni forma di collegamento con circuiti criminali più ampi e organizzati, della limitata circolazione di merce, delle limit potenzialità di guadagni illeciti, della ridotta capacità dell’imputato – in termini di co con i fornitori all’ingrosso e di disponibilità economica – di procurarsi sostan stupefacente stabilmente ed in quantitativi apprezzabili.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata; la Corte di appello, in sede di rinvio, applicherà i principi indicati e verificherà se ed in quali te i fatti per cui si procede siano riconducibili alla fattispecie prevista dall’art. 73, c 5, d.P.R. cit. GLYPH ,y-vug
La Corte, inoltre, verificherà se e in che limiti debbano esser r ri – élla specie pene accessorie (secondo motivo di ricorso).
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Così deciso in Roma il 6 novembre 2024
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Il Presidente