Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32190 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32190 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
De NOMECOGNOME nato a Battipaglia il 07/08/1981
avverso l’ordinanza del 10/04/2025 del Tribunale della liberà di Salerno visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
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29 SET, 2025
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Salerno, .costituito ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di Salerno in data 4 marzo 2025, avente ad oggetto l’immobile sito in Battipaglia, INDIRIZZO ritenendo sussistente il fumus del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv. cod. pen., 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 1981, oggetto di contestazione provvisoria al capo A).
In particolare, a NOME COGNOME si contesta, in concorso con NOME COGNOME, di avere chiesto e ottenuto presso l’UT.C. di Battipaglia il rilascio, in data 8 novembre 2021, del permesso di costruire n. 140/2021 finalizzato alla demolizione e ricostruzione di manufatti ai sensi del Piano di Recupero ex I. n. 219 del 1981, approvato con delibera comunale n. 236 del 28 novembre 1988: permesso illegittimo ed inefficace perché rilasciato dall’arch. NOME COGNOME utilizzando le previsioni del predetto piano di recupero, nonostante fossero scadute, essendo trascorsi oltre dieci anni dalla loro approvazione. Inoltre, gli interventi costruttiv di cui si chiedeva e otteneva l’autorizzazione erano erroneamente classificati dal progettista e dal responsabile del procedimento comunale come “manutenzione straordinaria”, ai sensi della norma di attuazione di un piano di recupero scaduto, laddove, viceversa, ai sensi del d.P.R. n. 380 del 2001, non rientrano negli interventi di manutenzione straordinaria quelli afferenti alla demolizione e ricostruzione di un fabbricato con incremento della volumetria, essendo tale intervento classificabile quantomeno come ristrutturazione edilizia, se non addirittura come nuova costruzione. Conseguentemente, l’intervento attuato (demolizione e ricostruzione di un fabbricato con aumento di volumetria) non era assentibile per la zona urbanistica di riferimento (B1), per la quale, nelle more della definizione dei piani particolareggianti, il P.R.G. consentiva interventi costruttivi non più invasivi della “manutenzione straordinaria”, come definita dal d.P.R. n. 380 del 2001. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME per il ministero dei difensori di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, che lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110, 81 cpv. cod. pen., 31 e 44, comma 1, lett. b) d.P.R. n. 380 del 2001, nonché di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, e, segnatamente, gli artt. 11 I n. 1150 del 1942, 27 e 28 I. n. 457 del 1978 e 1 e 2 del Piano di recupero ex I. n. 219 del 1981, approvato dal Comune di Battipaglia con delibera
184 del 29 luglio 1988 e successiva variante approvata con delibera n. 2136 del 28 novembre 1988.
Il ricorrente contesta l’interpretazione fornita dal Tribunale avente ad oggetto l’illegittimità del permesso di costruire, fondata unicamente sul rilievo della cessata vigenza del Piano di recupero, per il decorso dei dieci anni previsto dall’art. 17 I. n. 1150 del 1942, a seguito del quale, rivivendo l’originaria previsione del Piano regolatore generale, in quella zona (“B1 – residenziale attuale da risanare”), sarebbe stato possibile realizzare solo interventi di “manutenzione straordinaria” che non consentono la creazione di nuovi volumi. Dopo aver analizzato la differenza tra Piano di recupero e Piano particolareggiato, espongono i difensori che erroneamente il Tribunale li avrebbe equiparati, mentre, alla scadenza decennale del Piano di recupero, sopravvivono le “prescrizioni di zona” in esso stabilite, come si desume dagli artt. 1 e 2 del Piano di recupero del Comune di Battipaglia, sicché esse – al di fuori di quelle a contenuto espropriativo, come affermato dalla giurisprudenza amministrativa – valgono a tempo indeterminato.
Il difensore ha depositato memoria, con la quale, nel riprendere le argomentazioni sviluppate nel ricorso, insiste per l’accoglimento del ricorso medesimo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per casi non consentiti.
Si rammenta che l’art. 325 cod. proc. pen. pone stringenti limiti per il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti cautelari di natura reale, che è consentito unicamente per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).
In particolare, ciò che rileva nel caso di specie, va richiamato il principio in forza del quale costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche l’affermata erronea interpretazione di un atto amministrativo, poiché, essendo relativa ad atti privi di carattere normativo, essa rientra, ai sensi dell’art.
325, comma 1, cod. proc. pen., nella valutazione del fatto (Sez. 3, n. 37451 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270543; in senso conforme, Sez. 3, n. 14977 del 25/02/2022, COGNOME, Rv. 283035, e, con riferimento agli atti di natura contrattuale, Sez. 3, n. 385 del 06/10/2022, dep. 10/01/2023, COGNOME, Rv. 283916).
3. Orbene, in forza dei limiti dinanzi indicati a cui soggiace il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti cautelari di natura reale nel caso in cui oggetto di contestazione sia, come nella specie, il contenuto di un atto amministrativo, non può certamente affermarsi che la motivazione resa dal provvedimento impugnato, quanto ai dati di fatto valorizzati e alle conclusioni da essi tratte, sia omessa o ovvero apparente, in quanto il Tribunale non ha utilizzato espressioni di stile o stereotipate, ma, con una valutazione di fatto, ha richiamato un precedente di questa Sezione, espresso da Sez. 3, n. 26834 del 8/9/2020, sicuramente pertinente, benché si vertesse, in quel caso, in ipotesi di piano particolareggiato – e non di recupero – scaduto, considerato che, in entrambi i casi, unica è la norma di riferimento, ossia quella contenuta nell’art. 17 legge n. 1150 del 1942.
4. Il Tribunale, infatti, ha puntualmente richiamato la giurisprudenza amministrativa, la quale, con riferimento al principio generale contenuto nell’art. 17, primo comma, della legge n. 1150 del 1942 (secondo cui “decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano particolareggiato, questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal pian stesso”) ha costantemente affermato che, fino all’approvazione di un nuovo strumento attuativo che disciplini le aree in essi incluse, deve riconoscersi efficacia “ultrattiva” ai piani attuativi scaduti (ex plurimis, Sez. V, 30 aprile 2009 n. 2768) Sez. IV, 4 dicembre 2007 n. 6170, 28 luglio 2005, n. 4018, 02 giugno 2000, n. 3172, T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 24 gennaio 2006, n. 508, T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 27 aprile 2005, n. 638, T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 29 settembre 2004, n. 2718 e T.A.R. Campania Salerno, 07 agosto 1997, n. 488).
Ciò sull’assunto che il richiamato art. 17 si ispira al principio secondo cui, mentre le previsioni del piano regolatore rientrano in una prospettiva dinamica della utilizzazione dei suoli (e determinano ciò che è consentito e ciò che è vietato nel territorio comunale sotto il profilo urbanistico ed edilizio, con la devoluzione al piano attuativo delle determinazioni sulle specifiche conformazioni delle proprietà), le previsioni dello strumento attuativo hanno carattere di tendenziale stabilità (perché specificano in dettaglio le consentite modifiche del territorio, in una
prospettiva in cui l’attuazione del piano esecutivo esaurisce la fase della pianificazione, determina l’assetto definitivo della parte del territorio in considerazione e inserisce gli edifici in un contesto compiutamente definito); ne consegue che il termine di efficacia degli strumenti di pianificazione attuativa opera rispetto alle (eventuali) sole disposizioni di contenuto espropriativo e non anche alle prescrizioni urbanistiche di piano che rimangono pienamente operanti e vincolanti senza limiti di tempo, fino all’eventuale approvazione di un nuovo strumento urbanistico attuativo.
Sulla scorta di tale condivisibile ricostruzione, il Tribunale ha perciò evidenziato che il piano regolatore generale non consentiva la demo-ricostruzione con ampliamento di volumetria del 40 °/(:), oggetto del titolo edilizio, certamente illegittimo nel fare riferimento (anche ai fini della gratuità dell’intervento) a un piano scaduto da ventitré anni e del quale neppure viene dedotta una, anche parziale, attuazione.
A fronte di tale motivazione, che – si ribadisce – certamente non può dirsi né mancante, né apparente, il ricorrente deduce questioni interpretative che, involgendo (anche) atti di natura amministrativa, quale il Piano di recupero del Comune di Battipaglia, scivolano nella valutazione del fatto e, quindi, fuoriescono dal perimetro segnato dall’art. 325 cod. proc. pen.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 11/09/2025.