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Persona estranea al reato: quando non si è in buona fede

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso della moglie di un imputato contro il sequestro del proprio conto. Non è ritenuta una ‘persona estranea al reato’ perché, pur essendo intestataria del conto, questo era alimentato dai proventi illeciti del marito e lei ne traeva vantaggio, mancando quindi la buona fede.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo e la figura della persona estranea al reato: un’analisi della Cassazione

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 23271/2024 offre un’importante chiave di lettura sul concetto di persona estranea al reato nel contesto del sequestro preventivo. Il caso analizza la posizione del terzo intestatario di beni che, secondo l’accusa, sono riconducibili a attività illecite altrui. La Corte stabilisce criteri rigorosi per determinare quando un soggetto possa effettivamente considerarsi ‘terzo in buona fede’ e ottenere così il dissequestro dei propri beni.

La Vicenda Processuale: Il Sequestro del Conto Corrente

Il caso ha origine dal ricorso presentato dalla moglie di un uomo imputato per reati di truffa aggravata e autoriciclaggio. La ricorrente si opponeva a un’ordinanza del Tribunale di Genova che aveva respinto la sua richiesta di dissequestro di una somma di denaro, quasi 8.000 euro, presente su un conto corrente a lei intestato.

La difesa sosteneva che la donna fosse una terza interessata, del tutto estranea ai presunti illeciti del marito, e che mancasse la prova sia della disponibilità del conto da parte di quest’ultimo, sia del nesso di derivazione tra la somma sequestrata e i reati contestati.

La Decisione del Tribunale del Riesame

Il Tribunale del Riesame aveva già rigettato l’appello della donna, basando la sua decisione su elementi fattuali precisi. Era emerso che il conto corrente, sebbene formalmente intestato alla ricorrente, era quasi esclusivamente alimentato da ingenti e costanti versamenti provenienti dal marito. Nei primi dieci mesi del 2023, i versamenti avevano superato i centocinquantamila euro, una cifra sproporzionata rispetto ai redditi leciti dell’uomo. Inoltre, in diverse occasioni, il marito risultava essere il beneficiario di bonifici disposti da quel conto.

Sulla base di questi elementi, il Tribunale aveva concluso che la donna non poteva essere considerata una persona estranea al reato in buona fede, in quanto aveva tratto evidenti vantaggi e utilità dall’attività criminosa del coniuge, mantenendo un tenore di vita non giustificabile con le entrate lecite del nucleo familiare.

L’interpretazione della Cassazione sulla persona estranea al reato

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, consolida un principio giurisprudenziale fondamentale. Per essere considerata ‘persona estranea al reato’, ai fini di escludere un bene dalla confisca, non è sufficiente non aver concorso alla commissione del reato. È necessario, inoltre, non aver tratto alcun vantaggio dall’attività criminosa e aver mantenuto una condotta ineccepibile sotto il profilo della buona fede.

Nel caso specifico, la ricorrente non poteva dirsi in buona fede. I bonifici ricevuti dal marito erano continuati per un lungo arco temporale, anche dopo l’adozione del provvedimento di sequestro e l’emissione del decreto di rinvio a giudizio nei confronti del coniuge. Questa circostanza, secondo la Corte, smentiva qualsiasi pretesa di inconsapevolezza.

Le motivazioni della Sentenza

La Cassazione ha basato la sua decisione di inammissibilità su due profili principali.

1. Aspecificità del Ricorso

Il primo motivo di inammissibilità risiede nel fatto che il ricorso era ‘aspecifico’, ovvero generico. La difesa si era limitata a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dal Tribunale del Riesame, senza confrontarsi criticamente con le specifiche motivazioni dell’ordinanza impugnata. In particolare, non aveva contestato nel merito gli elementi che dimostravano la disponibilità di fatto del conto da parte del marito e la mancanza di buona fede della moglie.

2. Manifesta Infondatezza

Il secondo profilo riguarda la ‘manifesta infondatezza’ della tesi difensiva sulla necessità di provare un nesso di pertinenzialità diretta tra il denaro sequestrato e il reato. La Corte ha ribadito un principio ormai pacifico in giurisprudenza, sancito anche dalle Sezioni Unite: quando si tratta di sequestro finalizzato alla confisca diretta di denaro, quale profitto del reato, non è necessaria la prova della derivazione diretta della specifica somma sequestrata dal reato. Il denaro è un bene fungibile per eccellenza, e una volta che una somma illecita entra nel patrimonio di una persona, ogni parte di quel patrimonio monetario è suscettibile di essere confiscata fino alla concorrenza del profitto illecito.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio di grande importanza pratica: l’intestazione formale di un bene, come un conto corrente, non costituisce uno scudo invalicabile contro le misure cautelari reali. Se viene dimostrato che il bene è nella disponibilità effettiva di un soggetto indagato per reati che generano profitto illecito, e che l’intestatario formale non solo non era in buona fede, ma ha anche tratto vantaggio da tale attività, il sequestro e la successiva confisca sono pienamente legittimi. Questa decisione serve da monito sulla necessità di trasparenza e sulla impossibilità di utilizzare terzi ‘prestanome’ per schermare i proventi di attività criminali.

Quando un terzo intestatario di un bene può essere considerato ‘persona estranea al reato’?
Secondo la Cassazione, un soggetto è considerato ‘persona estranea al reato’ non solo se non ha partecipato alla commissione del crimine, ma anche se non ne ha tratto alcun vantaggio e ha mantenuto una condotta in buona fede, ovvero non era a conoscenza della provenienza illecita del bene.

Per sequestrare denaro considerato profitto di reato, è necessario provare che quelle specifiche banconote o somme derivano dal crimine?
No. La giurisprudenza consolidata, richiamata nella sentenza, afferma che per il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di denaro non è necessaria la prova di un legame diretto tra la somma sequestrata e il reato. Essendo il denaro un bene fungibile, è sufficiente che nel patrimonio del soggetto sia entrato un profitto illecito per poter sequestrare una somma di pari valore.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione non affronta specificamente le motivazioni della decisione impugnata?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per ‘aspecificità’ o ‘genericità’. È onere del ricorrente confrontarsi punto per punto con le argomentazioni del giudice che ha emesso il provvedimento contestato, non essendo sufficiente riproporre le medesime ragioni già esaminate e respinte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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