Perquisizione da Fonte Anonima: Quando è Legittima secondo la Cassazione
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nella procedura penale: la validità di una perquisizione da fonte anonima. La decisione chiarisce fino a che punto le informazioni confidenziali possano giustificare un’attività investigativa invasiva come la perquisizione e quali siano le conseguenze sull’utilizzabilità delle prove raccolte. Il caso in esame riguarda un ricorso contro una condanna per detenzione di stupefacenti, basato proprio sulla presunta illegittimità della perquisizione iniziale.
I Fatti del Caso
L’imputato era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Catania alla pena di 1 anno e 4 mesi di reclusione e 4.000 euro di multa. La Corte d’Appello di Catania, successivamente, aveva parzialmente riformato la sentenza, riqualificando il reato come fattispecie di lieve entità (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990) e rideterminando la pena in 8 mesi di reclusione e 1.000 euro di multa.
Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo: l’inutilizzabilità degli elementi probatori acquisiti tramite una perquisizione avvenuta il 14 gennaio 2019. Secondo la difesa, tale perquisizione era invalida perché sollecitata da una fonte anonima, configurando un vizio di motivazione, una violazione di legge e un travisamento della prova.
La questione giuridica e la validità della perquisizione
Il nucleo della questione legale ruota attorno alla legittimità di un’azione di polizia giudiziaria basata su una “soffiata” non riconducibile a una fonte identificata. L’argomentazione difensiva mirava a invalidare l’intero impianto probatorio, sostenendo che un’informazione anonima non potesse costituire un presupposto sufficiente per procedere a una perquisizione, atto che limita la libertà personale e domiciliare.
La difesa ha quindi censurato la decisione dei giudici di merito di considerare utilizzabili le prove raccolte a seguito di tale atto, ritenendolo viziato all’origine.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicandolo manifestamente infondato. I giudici supremi hanno confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello, facendo leva su un principio consolidato in materia di stupefacenti.
La Corte ha richiamato l’art. 103 del D.P.R. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti), il quale conferisce alla polizia giudiziaria il potere di effettuare perquisizioni in caso di sospetto di illecita detenzione di sostanze stupefacenti. Secondo la Cassazione, queste perquisizioni non richiedono necessariamente la preesistenza di una notizia di reato formale, ma possono essere legittimamente eseguite anche sulla base di notizie apprese in via confidenziale.
Il punto cruciale della motivazione risiede in un secondo, e ancora più importante, principio: anche qualora la perquisizione fosse stata effettuata in modo illegittimo, tale illegittimità non si estenderebbe al sequestro dello stupefacente e delle altre cose pertinenti al reato rinvenute. In altre parole, la scoperta del corpo del reato (la droga) rende di per sé legittimo il sequestro, sanando eventuali vizi procedurali a monte. A supporto di questa tesi, la Corte ha citato un suo precedente (Sez. III pen. n. 19365 del 2015).
Conclusioni
Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce due concetti fondamentali. In primo luogo, nel contrasto al traffico di stupefacenti, la polizia giudiziaria dispone di strumenti investigativi incisivi, potendo procedere a una perquisizione da fonte anonima o confidenziale. In secondo luogo, e in via dirimente, la validità del sequestro di sostanze illecite non è inficiata da eventuali irregolarità nella perquisizione che ha portato al loro ritrovamento.
La declaratoria di inammissibilità ha comportato, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. La decisione rappresenta un’importante conferma della prevalenza della sostanza sulla forma nelle indagini per reati di droga, limitando le possibilità per la difesa di far leva su vizi procedurali per invalidare prove decisive.
Una perquisizione basata su una soffiata anonima è valida?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, nel caso di sospetta detenzione di sostanze stupefacenti, le perquisizioni effettuate dalla polizia giudiziaria sono legittime anche se basate su notizie confidenzialmente apprese, senza che sia necessaria la preesistenza di una formale notizia di reato.
Se una perquisizione viene eseguita in modo irregolare, le prove trovate sono comunque utilizzabili?
Sì. La Corte ha stabilito che, anche se una perquisizione fosse effettuata illegittimamente, ciò non rende illegittimo il sequestro dello stupefacente e delle altre cose pertinenti al reato trovate durante l’operazione. La prova rimane quindi utilizzabile.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la legge prevede la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questa vicenda è stata fissata in 3.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31014 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31014 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME ACIREALE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/03/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che con sentenza depositata il giorno 28 aprile 2023 la Corte di appello di Catania riformava parzialmente la sentenza del 19 febbraio 2019 con cui il Tribunale di Catania aveva condanNOME COGNOME NOME alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed C 4.000 di multa, rideterminando la pena in complessivi mesi 8 di reclusione ed C 1.000 di multa per effetto della riqualificazione del fatto nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309 del 1990, e confermando nel resto, avendolo ritenuto colpevole del reato ascritto;
che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il prevenuto articolando un unico motivo di impugnazione con cui eccepiva il vizio di motivazione, la violazione di legge, l’inosservanza di norme processuali ed il travisamento della prova censurando il provvedimento impugNOME nella parte in cui i Giudici dl merito avevano ritenuto utilizzabili gli elementi probatori assunti a seguito della perquisizione avvenuta il 14 gennaio 2019 la quale risulterebbe invalidata dalla circostanza di essere stata sollecitata da una fonte anonima.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il motivo in esso contenuto è manifestamente infondato atteso che la Corte di appello di Catania ha correttamente ritenuto utilizzabili le risultanze investigative derivanti dalla citata perquisizione del 14 gennaio 2019 rigettando la medesima argomentazione avanzata in sede di gravame, mostrando di fare buon governo del principio secondo cui le perquisizioni che la polizia giudiziaria, nel caso di sospetto di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, è legittimata a compiere in forza del disposto dell’art. 103 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non presuppongono necessariamente la commissione di un reato, ma possono essere effettuate sulla base di notizie confidenzialmente apprese, senza obbligo di avvertire la persona sottoposta a controllo del diritto all’assistenza di un difensore; in ogni caso, anche se effettuate illegittimamente, non rendono illegittimo l’eventuale sequestro dello stupefacente e delle altre cose pertinenti al reato rinvenute all’esito della perquisizione. (Corte di cassazione, Sez. III pen. n. 19365 del 10 maggio 2015);
che il ricorso devo perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente fissata in C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2024 Il Consigliere estensore
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