Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3815 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3815 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 29/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 14/12/1972
avverso l’ordinanza del 17/07/2024 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Roma ha rigettato l’istanza, presentata da Cittadini NOME, di autorizzazione ad allontanarsi dal Comune di dimora e di potere rientrare oltre le ore 21,00 del 9 agosto 2024 per partecipare alla festa di compleanno della figlia della sua attuale compagna in quanto la richiesta non si giustifica con la finalità della misura imposta al sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno secondo la previsione dell’art.12 D. L. vo 159/2011.
Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia Avv. NOME COGNOME affidato ad un unico motivo sintetizzato ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 n primo ed unico motivo di ricorso lamenta illegittimità per violazione di legge in relazione agli artt.12 D. L. vo 159/2011 e 125 cod. proc. pen. e carenza assoluta di motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso inammissibile.
2.1 II primo ed unico motivo di ricorso, che lamenta violazione di legge in relazione agli artt.12 D. L. vo 159/2011 e 125 cod. proc. pen. e carenza assoluta di motivazione, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
2.1.1 La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel restringere l’ambito delle situazioni che giustificano un’autorizzazione a lasciare il domicilio coatto. Ritiene, infatti, la Corte che sia da escludere la possibilità di concedere autorizzazioni ad allontanarsi dal comune di domicilio coatto per ragioni diverse da quelle indicate nella norma. Anche la giurisprudenza più possibilista, che ha dato alla norma una interpretazione meno rigida e più ampia, ha comunque precisato che la prescrizione del divieto di soggiorno (che è provvedimento speculare all’obbligo del soggiorno) può essere sì temporaneamente modificata anche per ragioni di famiglia (o di lavoro), ma che deve comunque trattarsi di ragioni del pari gravi e comprovate, e cioè di contingenti ragioni familiari che rendano assolutamente necessario, pena gravi conseguenze, l’allontanamento della persona sottoposta a misura di prevenzione (v. Cass., Sez. I, sent. n. 1121 del 24/4/1989, Pagano).
E’ stato già affermato che l’art.12 cit. non può quindi essere applicato indiscriminatamente al di fuori dei limiti che gli sono propri e, quindi, nei casi di esigenze, anche legittime, che non abbiano comunque il carattere di urgenza e gravità previste dalla legge. Ciò, per la semplice ragione che, altrimenti, verrebbe totalmente frustrata la necessità di garantire la salvaguardia della sicurezza pubblica e di tutela sociale, propria della misura applicata, con le sole eccezioni delle gravi e comprovate esigenze indicate dalla disposizione in esame (Sentenza n. 44152 del 2003 ). E’ stato anche coerentemente osservato che la limitazione di altri diritti di rango costituzionale diversi da quello alla salute alla contingente tutela di strette relazioni familiari) non è irragionevole, costituendo “una scelta del legislatore esercitata nell’ambito di opzioni riservate alla sua discrezionalità e non ingiustificata”, a fronte della prevalenza
riconosciuta alle ragioni costituzionali di segno collettivo rappresentate dalla prevenzione di attività criminose sottese alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno (Sentenza n. 47588 del 2014; Sez. 2, Sentenza n. 38825 del 28/04/2017, Rv. 271299 – 01).
2.1.2 La norma, pertanto, deve essere applicata nei rigorosi termini in essa contenuti, come avvenuto nel provvedimento impugnato, che ha rigettato l’istanza di autorizzazione in quanto la richiesta non si giustificava con le finalità della misura imposta al sorvegliato con obbligo di soggiorno secondo la previsione dell’art.12 D. L. vo 159/2011 che consente l’allontanamento dal luogo di soggiorno coatto quando ricorrono gravi e comprovati motivi di salute, ai fini degli accertamenti sanitari e delle cure indispensabili o, quando ricorrano gravi e comprovati motivi di famiglia che rendano assolutamente necessario ed urgente l’allontanamento dal luogo di soggiorno coatto. Nella specie, la causale della richiesta di permesso non rientra tra i gravi e comprovati motivi di famiglia indicati dalla norma richiamata.
Il ricorso è, comunque, inammissibile per carenza di interesse in quanto l’evento per cui doveva essere rilasciato il permesso è già avvenuto.
Quanto al dedotto difetto di motivazione, il motivo del ricorso è inammissibile in quanto attiene a vizi di motivazione non già mancante o meramente apparente, ma eventualmente illogica o non condivisa dal ricorrente, per questo esclusi dal sindacato della Corte di cassazione in materia di misure di prevenzione, limitato ai vizi di motivazione che sfocino in violazioni di legge, da sempre individuati dalla giurisprudenza di legittimità solo nell’inesistenza o nella carenza assoluta o mera apparenza della motivazione (Sez. U, n. 33451 del 29/5/2014, Repaci, 10 Rv. 260246; Sez. 1, n. 6636 del 7/1/2016, COGNOME, Rv. 266365), che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 33705 del 15/6/2016, COGNOME, Rv. 270080).
Nella specie, la motivazione non è apparente o assente in quanto l’ordinanza impugnata nel fare esplicito riferimento alla norma che disciplina i permessi ha chiaramente motivato che la causale della richiesta non poteva essere ricompresa nel dettato normativo.
Il ricorso deve va dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/11/2024