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Permesso premio: valutazione del ravvedimento

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che negava un permesso premio a un detenuto in espiazione pena per omicidio aggravato. La Corte ha stabilito che la valutazione sulla mancanza di una revisione critica del passato criminale, necessaria per escludere la pericolosità sociale, non può fondarsi su un giudizio puramente intuitivo del giudice, ma deve essere supportata da elementi oggettivi e concreti, che nel caso di specie mancavano.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio: Quando il Giudizio sul Ravvedimento Deve Essere Oggettivo

Il permesso premio rappresenta uno degli strumenti più significativi nel percorso di reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione è subordinata a una valutazione attenta da parte del giudice, che deve bilanciare le finalità rieducative della pena con le esigenze di sicurezza della collettività. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un’importante precisazione sui criteri da adottare, stabilendo che la valutazione sulla revisione critica del passato criminale non può essere basata su un giudizio soggettivo o intuitivo, ma deve ancorarsi a elementi concreti e oggettivi.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguarda un detenuto condannato a trent’anni di reclusione per concorso in omicidio aggravato, commesso nell’ambito delle attività di un’associazione di tipo mafioso. In espiazione pena dal 2012, dal 2019 l’uomo aveva intrapreso un percorso di collaborazione con la giustizia. Nonostante ciò, il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva respinto la sua richiesta di permesso premio. La motivazione del diniego risiedeva nella convinzione del Tribunale che il condannato dovesse “ulteriormente esplorare ed approfondire il proprio vissuto criminale” e dare prova di una più adeguata revisione critica dei reati commessi. In sostanza, il percorso di ravvedimento non era stato ritenuto ancora maturo e completo.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso in Cassazione

Il detenuto, tramite il suo difensore, ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo la difesa, l’ordinanza del Tribunale aveva illogicamente ignorato elementi positivi cruciali, quali:

* Il giudizio favorevole della Direzione Nazionale Antimafia (D.N.A.) sulla collaborazione prestata.
* Le valutazioni positive dell’equipe di osservazione carceraria.
* L’effettivo distacco del ricorrente dagli ambienti criminali e la coesione del suo nucleo familiare.
* La sua attiva partecipazione alle attività trattamentali offerte dal carcere.

La difesa ha sostenuto che il Tribunale, nel pretendere una sorta di “prova diabolica” sul ravvedimento, stesse andando oltre i requisiti di legge, chiedendo al condannato di riesporre le sue motivazioni a delinquere con il linguaggio e la profondità di analisi di un giudice o di uno psicologo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul permesso premio

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso, accogliendo le argomentazioni della difesa. I giudici hanno innanzitutto richiamato l’art. 30-ter dell’ordinamento penitenziario, che individua tre requisiti fondamentali per la concessione del permesso premio: la regolare condotta, l’assenza di pericolosità sociale e la funzionalità del permesso alla coltivazione di interessi affettivi, culturali o di lavoro.

Nel caso specifico, la questione non riguardava la condotta o la funzionalità del permesso, bensì la valutazione della pericolosità sociale. Il Tribunale di sorveglianza l’aveva desunta dalla presunta assenza di un’adeguata revisione critica delle condotte passate. La Cassazione ha chiarito che, sebbene la richiesta di un processo di revisione critica non sia di per sé errata, la sua insufficienza non può essere affermata sulla base di un “giudizio puramente intuitivo”.

La decisione di negare il beneficio deve essere supportata da una base di carattere oggettivo. La Corte ha specificato quali elementi avrebbero potuto, a titolo di esempio, giustificare un giudizio negativo:

* La mancanza di consapevolezza del disvalore delle condotte criminali.
* Il mancato contatto con le vittime.
* L’assenza di iniziative di giustizia riparativa.

In assenza di tali elementi oggettivi, la decisione del Tribunale appariva come una valutazione astratta e soggettiva, priva del necessario fondamento fattuale. Di conseguenza, la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata, rinviando il caso al Tribunale di sorveglianza per un nuovo giudizio che tenga conto di questi principi.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale nell’esecuzione della pena: le decisioni che incidono sulla libertà personale del detenuto devono essere motivate in modo rigoroso e basate su fatti concreti, non su impressioni o intuizioni. Negare un permesso premio perché si ritiene che il percorso di ravvedimento non sia sufficientemente “profondo”, senza indicare elementi oggettivi che lo dimostrino, equivale a un esercizio arbitrario del potere discrezionale. La pronuncia della Cassazione tutela quindi il condannato da valutazioni insindacabili e astratte, rafforzando il principio secondo cui ogni provvedimento giurisdizionale deve essere ancorato a prove e fatti verificabili.

Quali sono i tre requisiti fondamentali per la concessione di un permesso premio secondo la legge?
Secondo l’art. 30-ter dell’ordinamento penitenziario, i tre requisiti sono: la regolare condotta del detenuto, l’assenza di pericolosità sociale e la funzionalità del permesso a coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro.

Può un giudice negare un permesso premio basandosi su una sua impressione soggettiva riguardo al ravvedimento del detenuto?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione sulla mancanza di una revisione critica del passato, ai fini di accertare la pericolosità sociale, non può fondarsi su un giudizio puramente intuitivo, ma deve essere supportata da una base di carattere oggettivo.

Quali sono alcuni esempi di elementi oggettivi che possono indicare un’insufficiente revisione critica da parte di un detenuto?
La sentenza indica, a titolo di esempio, elementi come la mancanza di consapevolezza del disvalore delle proprie azioni criminali, l’assenza di contatti con le vittime o il mancato avvio di percorsi di giustizia riparativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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