LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Permesso Premio: si applica la legge più severa?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22247 del 2024, ha stabilito che le modifiche legislative più restrittive in materia di “permesso premio” per i condannati per reati ostativi si applicano anche a coloro che hanno commesso il reato prima dell’entrata in vigore della nuova legge. Il caso riguardava un detenuto in ergastolo per reati di mafia, il quale si è visto negare il beneficio. La Corte ha chiarito che il permesso premio non altera la natura detentiva della pena, ma ne modifica solo le modalità esecutive. Pertanto, prevale il principio “tempus regit actum” e non quello di irretroattività della norma penale sfavorevole, respingendo così il ricorso del detenuto.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio e Reati Ostativi: La Cassazione Conferma la Legge più Severa

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22247/2024, è intervenuta su una questione di grande rilevanza nel diritto penitenziario: l’applicabilità delle norme più restrittive sul permesso premio ai condannati per reati commessi prima della loro entrata in vigore. La decisione chiarisce la distinzione tra modifiche sostanziali della pena e quelle relative alle modalità esecutive, confermando un orientamento rigoroso per i reati di criminalità organizzata.

I fatti del caso

Il caso ha origine dal ricorso di un detenuto che sta scontando la pena dell’ergastolo per gravi reati, tra cui associazione di tipo mafioso e omicidi, commessi tra il 1982 e il 1983. Il detenuto aveva richiesto un permesso premio, ma la sua istanza era stata respinta sia dal Magistrato di Sorveglianza sia, in sede di reclamo, dal Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila.

Il diniego si basava sull’applicazione della disciplina prevista dall’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, una normativa che impone condizioni molto più rigide per la concessione di benefici ai condannati per reati ostativi. Questa normativa è stata introdotta nel 1991, quindi successivamente all’epoca in cui i reati erano stati commessi.

La questione giuridica e la richiesta di permesso premio

Il fulcro della questione legale ruotava attorno al principio di irretroattività della norma penale sfavorevole, sancito dall’art. 25 della Costituzione e dall’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

La posizione del ricorrente

Il ricorrente sosteneva che l’applicazione delle disposizioni ostative dell’art. 4-bis, introdotte dopo i fatti, costituisse una violazione di tale principio. A suo avviso, le nuove e più severe condizioni per accedere al permesso premio rappresentavano un inasprimento della pena con effetto retroattivo, e quindi illegittimo. Inoltre, lamentava una motivazione carente da parte del Tribunale, che non avrebbe adeguatamente considerato la rescissione dei legami con l’ambiente criminale, avvenuta decenni prima, e il positivo percorso intramurario.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in entrambi i motivi. Ha confermato la correttezza della decisione del Tribunale di Sorveglianza, stabilendo che le modifiche normative relative alle condizioni di accesso ai permessi premio non violano il principio di irretroattività.

Le motivazioni della sentenza

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su una distinzione fondamentale, già delineata dalla Corte Costituzionale (in particolare con la sentenza n. 32 del 2020).

La natura del permesso premio

La sentenza chiarisce che il principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole si applica quando una nuova norma trasforma la natura stessa della pena, rendendola sostanzialmente diversa e più afflittiva. Un esempio classico è una legge che nega l’accesso a misure alternative (come l’affidamento in prova), trasformando una pena potenzialmente eseguibile ‘fuori’ dal carcere in una pena da scontare interamente ‘dentro’.

Il permesso premio, tuttavia, non rientra in questa casistica. Il condannato che ne fruisce resta a tutti gli effetti un detenuto che sconta una pena ‘intramuraria’. Il permesso rappresenta solo una temporanea e limitata modalità di esecuzione della pena, non una sua trasformazione. Di conseguenza, le norme che ne regolano la concessione hanno natura processuale o esecutiva, non sostanziale.

Il principio del ‘tempus regit actum’

Poiché si tratta di norme che disciplinano le modalità di esecuzione della pena, ad esse si applica il principio del ‘tempus regit actum’. Questo significa che la disciplina applicabile è quella in vigore al momento della decisione sull’istanza, e non quella vigente all’epoca del reato. L’inasprimento delle condizioni per ottenere il beneficio, quindi, può legittimamente essere applicato in modo retroattivo.

Sul secondo motivo di ricorso, la Corte ha ritenuto che il Tribunale di Sorveglianza avesse correttamente motivato il diniego, evidenziando la mancata revisione critica del passato criminale da parte del detenuto. Per i reati di tale gravità, la sola buona condotta carceraria non è sufficiente. È necessaria una presa di consapevolezza e una rivisitazione critica del proprio comportamento deviante, elementi che nel caso di specie sono stati ritenuti carenti.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un punto fermo nella giurisprudenza di legittimità: le modifiche peggiorative alle condizioni di accesso a benefici come il permesso premio non soggiacciono al divieto di retroattività della legge penale. La decisione sottolinea la specialità del regime previsto per i reati ostativi e l’importanza, per il giudice di sorveglianza, di valutare non solo la condotta intramuraria, ma anche e soprattutto l’avvenuta elaborazione critica del passato criminale come indicatore di assenza di pericolosità sociale.

Le norme più severe sui benefici penitenziari, introdotte dopo la commissione di un reato, si possono applicare a chi sta scontando la pena per quel reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, le norme che modificano le condizioni per accedere a benefici come il permesso premio hanno natura procedurale e non sostanziale. Pertanto, si applica la legge in vigore al momento della richiesta (principio del ‘tempus regit actum’) e non quella del tempo del reato.

Perché il permesso premio è diverso da una misura alternativa alla detenzione ai fini della retroattività della legge?
Perché il permesso premio non cambia la natura ‘intramuraria’ della pena; il detenuto rimane tale e soggetto al regime penitenziario. Una misura alternativa, invece, trasforma la pena da ‘dentro’ a ‘fuori’ il carcere, modificandone la natura sostanziale. Solo in quest’ultimo caso si applica il divieto di retroattività della legge più sfavorevole.

Quali sono i requisiti che un detenuto per reati ostativi deve dimostrare per ottenere un permesso premio in assenza di collaborazione?
Oltre alla regolare condotta, il detenuto deve dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili (o l’impossibilità di farlo) e fornire elementi specifici che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. Fondamentale, come sottolineato dalla sentenza, è anche la prova di una profonda e sincera rivisitazione critica del proprio passato criminale, quale segno di superamento della pericolosità sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati