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Permesso premio reati ostativi: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto, condannato all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidi, che chiedeva un permesso premio. La Corte ha confermato la decisione del Tribunale di sorveglianza, sottolineando che, in caso di permesso premio per reati ostativi e in assenza di collaborazione con la giustizia, non basta la buona condotta carceraria. È necessario che il detenuto fornisca prove concrete e specifiche che dimostrino l’effettiva rottura dei legami con la criminalità organizzata e l’assenza del pericolo di un loro ripristino, onere che nel caso di specie non è stato assolto.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso premio reati ostativi: non basta la buona condotta se il passato criminale è ingombrante

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 11103 del 2024, affronta un tema cruciale nell’ambito del diritto penitenziario: la concessione del permesso premio per reati ostativi a un detenuto non collaborante. La pronuncia ribadisce la necessità di un’analisi rigorosa e approfondita, che vada oltre la semplice regolarità della condotta intramuraria, per accertare l’effettivo e definitivo abbandono del percorso criminale. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere i criteri che guidano i giudici nella valutazione della pericolosità sociale residua di chi è stato condannato per crimini di mafia.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un uomo condannato alla pena dell’ergastolo per reati gravissimi, tra cui associazione di tipo mafioso e duplice omicidio aggravato dal metodo mafioso. Dopo un lungo periodo di detenzione, l’uomo ha presentato un’istanza per ottenere un permesso premio. La sua richiesta è stata rigettata sia dal Magistrato di sorveglianza sia, in sede di reclamo, dal Tribunale di sorveglianza. La motivazione principale del diniego risiedeva nella permanenza di un profilo di pericolosità sociale, data l’assenza di collaborazione con la giustizia e la mancanza di elementi concreti che potessero escludere i suoi legami con la criminalità organizzata. A seguito di un primo annullamento con rinvio da parte della Cassazione, il Tribunale di sorveglianza ha nuovamente respinto la richiesta, questa volta sulla base di una più approfondita istruttoria.

Il quadro normativo sul permesso premio reati ostativi

Il fulcro della questione risiede nell’interpretazione dell’articolo 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario. Questa norma, soprattutto dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 253 del 2019 e le successive modifiche legislative, ha stabilito che anche i condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia possono accedere ai benefici penitenziari. Tuttavia, ciò non è automatico. La legge impone al detenuto di allegare elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla buona condotta carceraria, che consentano di escludere sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata sia il pericolo che questi possano essere ripristinati. L’onere della prova, di fatto, ricade sul richiedente.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso del detenuto infondato, confermando la decisione del Tribunale di sorveglianza. I giudici di legittimità hanno stabilito che il Tribunale ha correttamente adempiuto al suo dovere, compiendo un’adeguata istruttoria e basando la sua decisione su un percorso argomentativo logico e congruo. Sono state acquisite informazioni sia dall’istituto penitenziario sia dagli organi investigativi competenti, come la Direzione Nazionale e Distrettuale Antimafia. Queste informazioni hanno confermato la perdurante operatività della consorteria mafiosa di appartenenza del detenuto e il suo ruolo apicale in passato.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si concentrano su punti essenziali. In primo luogo, viene sottolineato come il mero trascorrere del tempo e la regolare condotta in carcere, pur significativi, non siano di per sé determinanti per superare la presunzione di pericolosità. Di fronte a reati gravissimi e a un ruolo di vertice in un’organizzazione criminale, lo scrutinio deve essere particolarmente rigoroso. Il Tribunale ha correttamente evidenziato che, nonostante il lungo periodo di detenzione, mancava un reale ‘abbrivio di revisione critica’ del passato criminale. La relazione di sintesi parlava di un percorso ‘finalizzato a maturare’ una revisione, indicando quindi un processo non ancora compiuto.

Inoltre, la Corte ha dato peso al fatto che il richiedente non ha fornito alcun chiarimento sulle ragioni della sua mancata collaborazione, né ha allegato elementi concreti per dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili e risarcitorie verso le vittime. L’assenza di questi elementi, unita alle negative informazioni degli organi investigativi, ha portato il Collegio a concludere per la permanenza di un profilo di pericolosità sociale. Il ricorso, limitandosi a ribadire la buona condotta e una generica revisione critica, è stato ritenuto non sufficiente a scalfire la solida motivazione del provvedimento impugnato.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cardine: per i condannati per permesso premio reati ostativi, la strada verso i benefici penitenziari in assenza di collaborazione è percorribile, ma irta di ostacoli probatori. Non è sufficiente un comportamento impeccabile tra le mura del carcere. È indispensabile fornire al giudice un quadro completo e convincente di un cambiamento profondo e irreversibile, supportato da elementi fattuali concreti che dimostrino la recisione di ogni legame con l’ambiente criminale di provenienza e un’autentica revisione critica del proprio passato. La valutazione della pericolosità sociale rimane un’indagine prognostica rigorosa, basata su un complesso di elementi che vanno ben oltre la condotta detentiva.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere un permesso premio per reati ostativi in assenza di collaborazione con la giustizia?
No, la sola regolarità della condotta intramuraria, pur essendo un dato significativo, non è determinante. Il detenuto deve fornire elementi specifici, ulteriori e concreti che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo di un loro ripristino.

Cosa deve dimostrare un detenuto non collaborante per superare la presunzione di pericolosità sociale?
Deve dimostrare un effettivo e definitivo abbandono della cultura criminale precedente. Ciò implica non solo una partecipazione al percorso rieducativo, ma anche allegazioni specifiche sull’assenza di legami attuali con il crimine, sulle ragioni della mancata collaborazione e, ove possibile, sull’adempimento delle obbligazioni civili verso le vittime.

Qual è il ruolo delle informazioni degli organi investigativi (come DDA e DNA) nella valutazione della richiesta di permesso premio?
Le informazioni fornite dagli organi investigativi e inquirenti sono fondamentali. Nel caso di specie, hanno evidenziato la perdurante operatività della consorteria mafiosa di appartenenza del detenuto e il suo passato ruolo apicale, elementi che hanno contribuito in modo decisivo a fondare il giudizio sulla permanenza della sua pericolosità sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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