Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11103 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11103 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME, nato a Monopoli il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Ancona in data 5/07/2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 13 ottobre 2021, il Tribunale di sorveglianza di Ancona aveva respinto il reclamo avverso il decreto del 14 luglio 2021 con cui il Magistrato sorveglianza di Ancona aveva rigettato l’istanza di permesso premio proposta da NOME COGNOME, rilevando come costui fosse stato condannato per associazione RAGIONE_SOCIALE e per altri delitti, tra cui due omicidi, aggravati dal metodo mafioso e come, in difetto di allegazioni difensive, dovesse ritenersi che egli non avesse mai collaborato con la giustizia.
1.1. Con sentenza n. 49595 del 20 ottobre 2022, la Corte di cassazione aveva annullato la predetta ordinanza, rilevando che il Tribunale aveva omesso di valorizzare alcuni elementi forniti dal detenuto per contrastare la presunzione di
perdurante pericolosità (quali il lungo periodo dì detenzione, la proficua partecipazione all’opera di rieducazione, premiata con giorni 1920 di liberazione anticipata, la rescissione di ogni legame con la vita precedente, l’assenza di procedimenti sopravvenuti, il piano di trattamento e il parere favorevole della RAGIONE_SOCIALE), senza attivare i suoi poteri officiosi, ma valorizzando soltanto il rifiuto del lavoro nel 2021 e le numerose assenze dal corso scolastico frequentato.
1.2. Con ordinanza in data 5 luglio 2023, pronunciandosi in sede rinvio, il Tribunale di sorveglianza di Ancona ha rigettato l’istanza di permesso premio avanzata nell’interesse di NOME COGNOME, condannato alla pena dell’ergastolo determinata dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Taranto in relazione ai delitti di omicidio, associazione di tipo mafioso e altro. Secondo il Collegio, infatti, deve confermarsi il giudizio espresso dal Magistrato di sorveglianza in ordine alla permanenza di profili di pericolosità sociale del condannato e alla mancata acquisizione di elementi tali da escludere collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo del loro ripristino, non risultando che NOME si sia mai interessato alle vittime dei suoi reati a dimostrazione della sua effettiva resipiscenza.
Dopo avere ricordato i gravissimi precedenti penali del detenuto, il Tribunale ha posto in evidenza le negative informazioni offerte dalle locali Forze dell’Ordine, che avevano riferito in ordine all’elevato spessore criminale di NOME, capo di un sodalizio resosi responsabile di omicidi in quei territori, al pericolo di azioni ritorsive da parte di pregiudicati del luogo, ai collegamenti con clan anche all’estero, che avrebbero potuto aiutarlo a rendersi irreperibile. Indicazioni, queste, confermate sia dalla RAGIONE_SOCIALE di Bari, che con nota del 29 marzo 2023 aveva espresso parere contrario alla luce del novellato art. 4-bis Ord. pen. che richiede specifiche allegazioni da parte dell’istante, anche circa le motivazioni della mancata collaborazione, nel caso di specie carenti; sia dalla RAGIONE_SOCIALE, la quale, con nota ricevuta il 18 maggio 2023, aveva rilevato come NOME fosse al vertice dell’omonimo clan mafioso, attivo negli anni ’90 in Monopoli e comuni limitrofi, come il ruolo rivestito gli avrebbe consentito di fornire un utile contributo all’accertamento di innumerevoli condotte delittuose ascrivibili allo stesso e alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di riferimento, come il sodalizio criminale fosse tuttora attivo, come COGNOME non avesse posto in essere i «comportamenti virtuosi» di cui all’art. 4-bis, comma 1-bis, Ord. pen.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza
o erronea applicazione degli artt. 30-ter e 4-bis Ord. pen. con riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019.
Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la mancata valorizzazione della regolare condotta inframuraria del detenuto, perdurante dal 1999, che gli sarebbe valsa il riconoscimento di 1920 giorni di liberazione anticipata, nonché della proficua partecipazione alle attività trattamentali, oltre che della rescissione di ogni legame con la sua vita precedente. Quanto alla mancata allegazione di specifici elementi idonei ad attestare l’assenza di attuali collegamenti con la criminalità organizzata nonché del pericolo di un loro ripristino, il ricorso richiama il recente orientamento giurisprudenziale secondo cui sia sufficiente l’allegazione di elementi fattuali (quali, ad esempio, l’assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive o la partecipazione fattiva all’opera rieducativa) che, anche solo in chiave logica, siano idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità prevista dalla legge. Orientamento che l’ordinanza impugnata avrebbe disatteso, posto che i Giudici di merito avrebbero considerato irrilevanti il lungo periodo trascorso da NOME in carcere, la fattiva partecipazione prestata alle attività trattamentali e l’assenza di ulteriori pendenze giudiziarie: fattori da ritenersi rilevanti ai fini del definit abbandono della precedente cultura criminale, secondo una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti, da interpretare alla luce della finalità rieducativa della pena. Al contrario, l’attualità della pericolosit sarebbe stata fondata sulla scorta di informazioni risalenti, omettendo di considerare il percorso rieducativo intrapreso dal detenuto in ventidue anni di reclusione, attestato dal parere favorevole del Direttore dell’istituto penitenziario in cui NOME è ristretto dal 2007 e dal programma di trattamento, ove l’équipe darebbe atto della sua positiva risposta all’azione trattamentale e dell’adeguata revisione critica mostrata per i reati commessi. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In data 10 novembre 2023 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Va premesso che l’art. 4-bis Ord. pen. stabilisce, per le categorie di persone detenute e internate ivi previste, condizioni particolarmente restrittive per l’accesso alle misure alternative e trattamentali, tra le quali, per quanto qui di interesse, rientrano i permessi premio.
2.1. Nella sua configurazione normativa precedente alla sentenza n. 253 del 23 ottobre 2019 della Corte costituzionale, l’art. 4-bis Ord. pen. prevedeva, con riferimento ai reati cd. di prima fascia (tra i quali rientrano quelli, qui i considerazione, previsti dall’art. 416-bis cod. pen. o comunque aggravati dal metodo mafioso o dall’agevolazione di una associazione RAGIONE_SOCIALE) che la persona detenuta o internata avesse necessariamente collaborato con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter Ord. pen. ovvero che fosse stata accertata la l’impossibilità, irrilevanza o inesigibilità della sua collaborazione.
2.2. Tale regime giuridico è stato ritenuto costituzionalmente illegittimo dalla Consulta, la quale, con la citata sentenza, ha dichiarato il contrasto tra l’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen. e gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. nella parte in cui detta disposizione non prevedeva che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, potessero essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter Ord. pen., allorché fossero stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di essi.
Nel frangente, la Corte costituzionale ha affermato l’illegittimità di una presunzione assoluta di pericolosità correlata alla mancata collaborazione, essendo tale presunzione ragionevole solo se prevista in termini relativi. In altri termini, mentre non è irragionevole presumere che il condannato non collaborante non abbia rescisso i legami con l’organizzazione criminale di originaria RAGIONE_SOCIALE, è irragionevole ritenere che essa non possa essere superata quando siano stati acquisiti elementi tali da escludere che il detenuto abbia ancora collegamenti con l’associazione criminale o che vi sia il pericolo del ripristino di questi rapporti. Fermo restando che, ai fini di tale accertamento, la Consulta ha affermato la necessità che la valutazione avvenga sulla base di criteri particolarmente rigorosi, proporzionati alla forza del vincolo criminale di cui si esige il definitivo abbandono dalla persona detenuta, di tal che deve ritenersi insufficiente, da parte di quest’ultima, il mero regolare comportamento, la sola partecipazione al percorso rieducativo e tantomeno una semplice dichiarazione di dissociazione. E sulla scorta di tali indicazioni, nel periodo successivo alla declaratoria di incostituzionalità, la giurisprudenza di legittimità e di merito ha, dunque, ritenuto che la collaborazione con la giustizia o, comunque, l’accertamento della sua impossibilità o inesigibilità non fosse più condizione di ammissibilità dell’istanza del beneficio.
2.3. Con il decreto legge n. 162 del 2022, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, l’art. 4-bis Ord. pen. è stato modificato e, per quanto di interesse in questa sede, con riferimento ai reati di prima fascia è stato stabilito, al comma 1, che i benefici penitenziari (assegnazione al lavoro all’esterno
e permessi premio) e le misure alternative alla detenzione possono essere concessi ai detenuti e internati per tali delitti solo nei casi in cui essi collaborino con l giustizia a norma dell’art. 58-ter Ord. pen.; e, al successivo comma 1-bis, che i predetti benefici e misure possono essere concessi, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, ai detenuti e agli internati per i delitti menzionati purché gli stessi dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale RAGIONE_SOCIALE, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile. E, al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta, altresì, la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.
2.4. Tali disposizioni sono applicabili, nei confronti della persona condannata per reati ostativi cd. “di prima fascia” che non abbia collaborato con la giustizia, qualora il relativo procedimento di applicazione sia in corso, avuto riguardo alla natura processuale delle norme inerenti ai benefici penitenziari come il permesso premio, che, in assenza di una specifica disciplina transitoria, soggiacciono al principio del tempus regit actum (Sez. 1, n. 38278 del 20/04/2023, Perrone, Rv. 285203 – 01).
Sulla base della nuova disciplina, qualora la persona detenuta presenti, come nel caso di specie, richiesta di permesso premio, essa dovrà allegare specificamente i concreti elementi in base ai quali, anche in via logica, escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di un loro rispristino (si veda sul punto Sez. 1, n. 33743 del 14/07/2021, Marazzotta, Rv. 281764 – 01, la quale, pronunciata nella vigenza della precedente disciplina mantiene intatta la rilevanza delle sue considerazioni anche con riferimento a quella introdotta dalla novella). Dovendo, poi, il giudice, a seguito di tali allegazioni, compiere un esame in concreto degli elementi «individualizzanti» che caratterizzano il percorso rieducativo della persona detenuta, dai quali si possa desumere la proiezione attuale a recidere i collegamenti criminali mafiosi e a non riattivarli in futuro (Sez. 5, n. 19536 del 28/02/2022, Barranca, Rv. 283096 – 01).
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3. Tanto premesso in termini di ricostruzione del quadro normativo di riferimento, va osservato il Tribunale di sorveglianza, adempiendo a quanto richiesto in sede rescindente, ha provveduto a compiere un’adeguata istruttoria, acquisendo le informazioni dall’istituto sull’andamento del percorso detentivo e dagli organi investigativi e inquirenti sul territorio. Da questi ultimi, e in particola dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE competente, è emersa la perdurante operatività, sul territorio di Monopoli e nelle zone limitrofe, della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, nonché la mancata collaborazione con la giustizia da parte del richiedente, rispetto alla quale, peraltro, egli non ha mai inteso fornire alcun chiarimento. Se è vero che, come ha ricordato la Corte costituzionale nella sentenza n. 253 del 2019, non può configurarsi un obbligo di collaborare, né, corrispondentemente, un divieto assoluto di accesso ai benefici per chi non collabora, nondimeno le ragioni individuali della non collaborazione non costituiscono un fatto neutro, ben potendo essere valutati, nell’ambito di un complessivo apprezzamento dell’insieme delle risultanze istruttorie, per scandagliare il percorso compiuto dalla persona detenuta nel corso dell’esecuzione della pena.
In quest’ottica, ritiene il Collegio che le carenze motivazionali poste a base dell’annullamento della prima ordinanza siano state colmate alla stregua di un percorso argomentativo congruo e logico, che ha affermato la permanenza di profili di pericolosità sociale del condannato a partire, da un lato, dalla considerazione dei gravissimi precedenti e del ruolo di capo rivestito all’interno del sodalizio mafioso di riferimento e, dall’altro lato, dall’assenza di un abbrivio di revisione critica rispetto al proprio passato criminale, secondo quanto emerge dalla relazione di sintesi, in cui si parla, in una prospettiva meramente futura, di «un percorso positivo finalizzato a maturare una revisione critica adeguata».
Ora, se è vero che non può richiedersi, in specie per l’ammissione a un permesso premio, che costituisce la prima fase del percorso trattamentale extramurario, che il richiedente abbia già maturato una completa revisione critica rispetto ai propri trascorsi, non può negarsi che, in specie quando ci si trovi al cospetto di persone condannate per gravissimi reati commessi in contesti di criminalità organizzata nel cui ambito avevano rivestito ruoli apicali, lo scrutinio sulla pericolosità sociale debba essere compiuto in maniera rigorosa, indagando, in chiave prognostica, sulla distanza personale che il richiedente abbia maturato rispetto ai quei trascorsi e, dunque, sul processo di cambiamento che l’esecuzione penale sia stata in grado di determinare sulla persona che chieda l’accesso la beneficio.
Sotto altro profilo, va altresì posto in luce che nessuna allegazione è stata fornita dal richiedente e dal suo difensore in ordine all’adempimento delle
obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, né rispetto all’assoluta impossibilità di tale adempimento.
A fronte di tale congrua motivazione, il ricorso si è limitato a ribadire il dato, significativo ma certamente non determinante, della regolarità della condotta intramuraria, e ad affermare, in maniera non autosufficiente, dell’avvenuto riscontro, da parte dell’équipe penitenziaria, di una adeguata revisione critica mostrata per i reati commessi. Ciò che, conclusivamente, impone di ritenere infondate le censure poste a fondamento dell’odierno ricorso.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 9 gennaio 2024
Il Consigliere estensore