Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23364 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23364 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a ROMA il 15/07/1973
avverso l’ordinanza del 06/12/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di Roma, in data 6 dicembre 2024, ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di permesso premio adottato dal Magistrato di Sorveglianza di Roma in data 3 aprile 2024.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con il patrocinio del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo due motivi di ricorso, di seguito enunciati secondo il disposto dell’art. 173 disp. att. cod. pr pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione nella part cui il Tribunale di Sorveglianza ha affermato la necessità di un positivo perfezionamento del processo di elaborazione critica della gravissima vicenda delittuosa, avviato solo in epoca recentissima, così confermando l’assunto del Magistrato di Sorveglianza attraverso una lettura parziale e superficiale del reclamo e della memoria difensiva del 24 novembre 2024.
In particolare la difesa evidenzia che il Tribunale non si sarebbe confrontato con le complessive valutazioni degli operatori penitenziari, fornendo una motivazione apodittica. Il provvedimento censurato si sarebbe limitato ad evidenziare la sussistenza di un recentissimo inizio di presa di coscienza della gravità del delitto commesso, affrontato solo con riferimento alla tematica genitoriale e rispetto al quale il condannato non si sarebbe posto con una predisposizione sufficiente; l’assenza di un progresso introspettivo riguardante anche la figura dell’ex coniuge ed il suo ruolo nel reato, ruolo che, ad avviso de Tribunale, il detenuto non riconoscerebbe, così giustificando la responsabilità dell’ex moglie e, di conseguenza, la propria; la necessità che il condannato oltre alla partecipazione al lavoro all’esterno debba impegnarsi per una maggiore presa di coscienza del disvalore del fatto che abbia riguardo reale, e non strumentale, alle vittime.
Secondo la difesa, dunque, tale motivazione, ingiustificatamente liquidatoria di una lunga esperienza detentiva, non avrebbe tenuto conto degli esiti della relazione del 19 maggio 2021 e del successivo aggiornamento del 20 settembre 2022 che inserisce nel programma di trattamento la possibilità della fruizione di permessi premio; a tal riguardo nel ricorso si rileva che il ricorrente è sta ammesso a svolgere attività lavorativa presso il bar dell’istituto (ai sensi dell’ 21 ord. pen.), svolgendo altresì attività di volontariato presso il teatro dell’Isti
Il Tribunale, inoltre, non avrebbe tenuto conto delle-relazione,del 27 febbraio 2023 e del 25 settembre 2023 che concludono, a compimento di un percorso psicologico durato diversi anni, per una sempre maggiore consapevolezza e responsabilizzazione del detenuto rispetto alle scelte devianti e del dolore arrecato.
La difesa evidenzia, poi, un difetto assoluto di motivazione in ordine alla valutazione della relazione di aggiornamento del 4 ottobre 2024, richiesta quale approfondimento istruttorio in vista della decisione ora impugnata.
Di tale relazione – che conferma le valutazioni già espresse e che, in particolare, dà atto che a partire dal 4 settembre 2023 il ricorrente è stato ammesso a svolgere il già avviato lavoro all’esterno, presso il Nucleo Traduzioni dell’Istituto penitenziario, al di fuori delle mura di cinta della struttura penitenziar – non vi sarebbe alcuna traccia nel provvedimento impugnato; ciò, pur trattandosi di una relazione che si esprime a favore dell’avvio dell’esperienza dei permessi premio, che contiene una dettagliata osservazione psicologica, ex art. 80 ord. pen. sulla persona del ricorrente, dando atto di una revisione critica molto approfondita, concludendo per l’utilità di un confronto con la realtà esterna.
Sotto altro concorrente profilo si deduce che l’ordinanza impugnata non attuerebbe correttamente i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla concessione di permessi premio nella parte in cui afferma che la fruizione degli stessi, per detenuti autori di reati particolarmente gravi, si subordinata al completamento di un processo di revisione critica.
Si afferma, altresì, che – diversamente da quanto affermato dal Tribunale – il fatto che il ricorrente tenda a sminuire la responsabilità concorsuale della ex moglie e a non riconoscere la premeditazione non potrebbe assumere valenza negativa e ostativa all’invocato beneficio in quanto la riflessione sulle condotte devianti è il frutto di un percorso interiore e personalissimo, sicché non può attribuirsi rilievo all’approfondimento da parte del detenuto delle responsabilità di concorrenti nel reato o della definizione giuridica di un evento.
Inoltre, il ricorrente eccepisce che il Tribunale non ha operato alcun bilanciamento tra il positivo percorso penitenziario avviato anche in considerazione dell’ammissione al lavoro esterno e gli elementi caratterizzanti la condotta criminosa e le sue modalità.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la mancanza della motivazione, nella parte in cui l’ordinanza ha omesso di valutare la complessiva positività del trattamento penitenziario nel corso di dodici anni di detenzione, attestati dalla ammissione al lavoro all’esterno del muro di cinta dell’Istituto detentivo, ai sensi dell’art. 21 or pen. Al riguardo si evidenzia che anche tale misura presuppone una preventiva verifica dell’assenza di pericolosità sociale.
Sussisterebbe, pertanto, un parallelismo tra il permesso premio e l’ammissione al lavoro esterno regolamentata dall’art. 48, comma 4, d.PR del 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), in quanto per l’accesso entrambi gli istituti sono richieste condizioni e percorsi intramurari non identic ma comunque coincidenti quanto alla necessità dell’assenza di pericolosità.
Pertanto, sarebbe viziata da una evidente contraddittorietà la motivazione dell’ordinanza che ha adottato una decisione negativa sul presupposto della perdurante pericolosità sociale, là dove invece tale pericolosità è stata esclusa fini dell’ammissione del ricorrente al lavoro esterno, ai sensi dell’art. 21 ord. p
Con requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma per nuovo esame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
Va preliminarmente evidenziato che l’art. 30-ter, comma 1, primo periodo, Ord. pen. dispone che «ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permess premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro».
Ai sensi del comma 8 della disposizione sopra richiamata «la condotta si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o cultural
Per il chiaro dettato dell’art. 30-ter, comma 3, Ord. pen. il permesso premio costituisce una parte integrante del programma di trattamento e, come affermato più volte dalla Corte costituzionale, «strumento di rieducazione in quanto consente un iniziale reinserimento del condannato nella società (sentenze n. 137 del 1999, n. 188 del 1990 e n. 504 del 1995)».
Ai fini della concessione del permesso premio il Magistrato di Sorveglianza deve, dunque, verificare, oltre la sussistenza dei requisiti della regolare condot del detenuto e dell’assenza di pericolosità sociale, che corrispondono alla funzione premiale dell’istituto, il profilo della funzionalità rispetto alla cura degli int affettivi, culturali e di lavoro del detenuto, acquisendo a tale ultimo riguardo informazioni necessarie a valutare la coerenza del beneficio con il trattamento complessivo e con le sue finalità di risocializzazione (Sez. 1, n. 36456 de
09/04/2018, Corrias, Rv. 273608; Sez. 1, n. 11581 del 05/02/2013, COGNOME, Rv. 255311).
Si tratta di requisiti che devono essere congiuntamente valutati perché possa affermarsi la meritevolezza da parte del detenuto del beneficio in questione, con la precisazione che il requisito dell’assenza di pericolosità sociale deve essere valutato con maggiore rigore nei casi di soggetti condannati per reati di particolare gravità e con fine pena lontana nel tempo, in relazione ai quali rileva, in senso negativo, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, anche la mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica del pregresso comportamento deviante (Sez. 1, n. 5505 del 11/10/2016, COGNOME, Rv. 269195, Sez. 1, n. 9796 del 23/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239173 – 01, Sez. 1, n. 5430 del 25/01/2005, COGNOME, Rv. 230924 – 01).
Ciò precisato, con riferimento al primo motivo di ricorso, va rilevato che il Tribunale di Sorveglianza ha fondato il giudizio di non meritevolezza del permesso premio su una valutazione congiunta dei requisiti sopra indicati, espletata alla luce di tutti gli elementi a disposizione, positivi e negativi, concludendo per la persistenza della pericolosità sociale del ricorrente, in considerazione della quale gli esiti del percorso trattamentale, di cui alle relazioni in atti, pur positivi, s stati valutati e ritenuti, con una motivazione adeguata, lineare e logicamente corretta, recessivi.
Il provvedimento censurato, infatti, si sofferma sulla sussistenza della regolare condotta del ricorrente, ma – pur in presenza di una positiva adesione al lavoro e al trattamento penitenziario concretamente portato avanti – evidenzia la necessità del consolidamento del processo di rivisitazione critica delle condotte pregresse, rilevando un recentissimo inizio di presa di coscienza della gravità del delitto commesso.
Le doglianze difensive investono l’ordinanza impugnata proprio con riferimento a tale profilo motivazionale deducendo che dagli atti e, in particolare dalle relazioni della equipe dell’Area trattamentale della struttura penitenziaria, risulta che il ricorrente ha già in atto un percorso di revisione critica, non essendo necessario per l’accesso ad un beneficio quale il permesso premio che lo stesso debba essere completato.
Va rilevato che il provvedimento impugnato resiste a tali censure in quanto il Tribunale di Sorveglianza ha operato un corretto bilanciamento dei valori in gioco, conferendo una prevalente valenza negativa alla riscontrata assenza di una approfondita presa di coscienza della gravità dei fatti commessi dal ricorrente perché si è rivelata non ricomprendere anche la perpetrazione dell’omicidio come
fatto premeditato e non occasionale; da tale assenza i giudici di merito hanno dedotto, non illogicamente, la permanenza della pericolosità sociale.
Al riguardo si è effettivamente affermato che ai fini della concessione del permesso premio non è necessario il completamento del processo di revisione critica del vissuto criminale, potendo ritenersi sufficiente che tale processo abbia avuto inizio in modo significativo (Sez. 1, n. 26557 del 10/05/2023, COGNOME, Rv. 284894 – 01), tuttavia, va aggiunto, che deve trattarsi di un avvio di un processo di presa di conoscenza del pregresso vissuto che sia sintomatico di una pericolosità sociale cessata.
Sotto tale profilo l’ordinanza ha, in primo luogo, posto in rilievo l’estrema gravità dei fatti per cui il ricorrente è stato condannato alla pena di trenta an per avere in concorso con la ex moglie (concorrente morale) ucciso e tentato di uccidere due guardie giurate al fine di impossessarsi del denaro prelevato dalle vittime dalle casse di un supermercato; evidenziando che si è trattato di condanna per un fatto omicidiario aggravato dalla premeditazione, in relazione alla quale un ruolo preminente era stato attribuito alla ex coniuge quale organizzatrice delle modalità dell’agguato.
Ciò posto, il Tribunale di Sorveglianza, pur considerando il proficuo esito del lavoro intramurario svolto ex art. 21 Ord. pen, dell’attività di volontariato svol presso il teatro dell’istituto e pur rilevando l’avvenuta ammissione del ricorrent al lavoro esterno presso il Nucleo traduzioni della Polizia penitenziaria dell’Istitut penitenziario ha, tuttavia attribuito decisivo rilievo agli esiti dei colloqui con psicologo nei quali è mancato l’approfondimento degli aspetti psicologici connessi al dato della premeditazione dell’omicidio ed al ruolo della ex coniuge.
Dal mancato confronto con tali significativi elementi, con ragionamento privo di vizi logici, il Tribunale ha evidenziato che il detenuto, pur provando dolore e pentimento, non ha preso cognizione del fatto che la commissione dell’omicidio è consistito in un fatto programmato, ritenendolo piuttosto un evento occasionale, dando prova di un atteggiamento espressivo di una non piena consapevolezza del disvalore del suo comportamento, ciò anche in riferimento alla estraneità al fatto omicidiario dell’ex moglie.
Si tratta di aspetti che il Tribunale, a seguito di puntuale analisi degli es dell’osservazione psicologica, correttamente, afferma essere indici di un processo di rivisitazione critica del vissuto deviante, allo stato, inadeguato in punto assenza di pericolosità sociale.
Peraltro, l’ordinanza censurata ha concluso per l’assenza di una adeguata presa di coscienza del vissuto pregresso, non solo per i profili concernenti la premeditazione e il coinvolgimento della ex moglie, ma anche in relazione alla riscontrata assenza di coinvolgimento interiore in relazione al grave fatto
commesso, ritenuto sussistente solo con riferimento alla perdita della figura paterna per la figlia della vittima, ma – si osserva – come focalizzazione del proprio interesse a rinsaldare il rapporto con i propri figli, evincendo ciò dalla relazione del 25 settembre 2023 e traendo il convincimento che il detenuto non abbia effettiva cognizione del disvalore del fatto commesso.
Pur valutando il positivo percorso trattamentale, il Tribunale, con motivazione completa e corretta sul piano logico, ha respinto il reclamo avverso il diniego del permesso premio in modo coerente rispetto alla estrema gravità del reato commesso, ritenendo che il mancato approfondimento della premeditazione, significativamente rilevante ai fini della presa di coscienza del disvalore della gravità del fatto, fosse indice della persistenza della pericolosità sociale del ricorrente.
In conclusione, deve affermarsi che ai fini del giudizio prognostico in ordine alla mancanza di pericolosità sociale per la concessione del permesso premio è necessario che l’avvio del processo di revisione critica del vissuto criminale abbia ad oggetto il complesso degli elementi indicativi della gravità del fatto, non essendo sufficiente un positivo percorso trattamentale di rieducazione e recupero.
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, per ragioni analoghe a quelle già indicate e per quanto di seguito evidenziato.
Con motivazione sintetica, ma adeguata alla luce del complessivo percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata, il Tribunale di Sorveglianza ha ritenuto non significativa ai fini dell’assenza della pericolosità l’avvenuta ammissione del ricorrente al lavoro esterno.
La giurisprudenza di legittimità ha effettivamente affermato che nella valutazione della richiesta di permesso premio presentata da un detenuto già ammesso al “lavoro esterno”, il Magistrato di Sorveglianza, pur in assenza di un rapporto di necessaria implicazione tra i due istituti, non può omettere di considerare, nel contesto della verifica dell’attuale pericolosità sociale dell’interessato e della corrispondenza del permesso a esigenze di risocializzazione, il modo in cui il detenuto ha fruito degli spazi di libertà già concessi per effetto del provvedimento emesso ai sensi dell’art. 21 ord. pen. (Sez. 1, Sentenza n. 36456 del 09/04/2018, Rv. 273609 – 01).
Nella fattispecie deve, tuttavia, evidenziarsi che il Tribunale di Sorveglianza, in ragione della ritenuta persistente pericolosità del condannato come argomentata nel provvedimento impugnato alla luce del complessivo impianto argomentativo, ha correttamente ridimensionato il rilievo positivo dell’essere stato il ricorrente ammesso a prestare l’attività lavorativa, sia pure
proficuamente svolta, presso il Nucleo Traduzioni della Polizia Penitenziaria, all’esterno del muro di cinta dell’Istituto detentivo.
L’esito cui il Tribunale è pervenuto si mostra coerente rispetto alla diversa funzione e alla più ampia portata dell’istituto del permesso premio, il quale è
finalizzato a concedere maggiori spazi di libertà per la coltivazione di interess affettivi, culturali e anche di lavoro, rispetto al lavoro esterno.
4. Per le ragioni che precedono il ricorso va, dunque, rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 20 marzo 2025.