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Permesso premio: nuove regole per i reati ostativi

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che concedeva un permesso premio a un detenuto per reati di mafia. La Corte ha stabilito che i giudici di merito non hanno applicato la nuova normativa (legge 199/2022), la quale impone al detenuto non collaborante un onere della prova rafforzato. Per ottenere il beneficio, il detenuto deve fornire elementi specifici che dimostrino l’effettiva rottura con l’associazione criminale e l’assenza del pericolo di ripristino dei contatti, onere che nel caso di specie non era stato soddisfatto.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio: La Cassazione e le Nuove Regole per i Reati Ostativi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13520/2024, ha tracciato una linea netta sull’applicazione delle nuove e più stringenti regole per la concessione del permesso premio a detenuti condannati per reati ostativi, come quelli di criminalità organizzata. Questa decisione chiarisce che, a seguito della riforma introdotta con la legge n. 199/2022, l’onere di dimostrare la rottura con il passato criminale ricade interamente sul detenuto, che deve fornire prove concrete e specifiche.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dalla concessione di un permesso premio a un detenuto condannato per la sua appartenenza a un’associazione di tipo mafioso. Il magistrato di sorveglianza prima, e il Tribunale di sorveglianza in sede di reclamo poi, avevano ritenuto sussistenti le condizioni per il beneficio. La decisione si basava sulla regolare condotta carceraria, sul percorso di giustizia riparativa avviato e sulla revoca, risalente al 2010, del regime speciale del 41-bis Ord.pen.

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, tuttavia, ha impugnato tale provvedimento dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero omesso di applicare la nuova disciplina dell’art. 4-bis, comma 1-bis, dell’Ordinamento Penitenziario. Secondo il ricorrente, non era stata adeguatamente valutata la persistente pericolosità del soggetto e il rischio di riallacciare i contatti con il clan di appartenenza, soprattutto in assenza di una qualsiasi forma di collaborazione con la giustizia o di elementi concreti, forniti dal detenuto, che attestassero un reale distacco dal mondo criminale.

Le nuove regole per il permesso premio

Il cuore della questione giuridica risiede nell’interpretazione e applicazione del novellato art. 4-bis, comma 1-bis, Ord. Pen., in vigore dal 31 dicembre 2022. Questa norma ha introdotto un cambiamento radicale per i condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia.

Per accedere a benefici come il permesso premio, non sono più sufficienti la buona condotta o la partecipazione a percorsi rieducativi. La legge ora impone al detenuto un onere di allegazione specifico: deve fornire “elementi specifici, diversi e ulteriori” che consentano di escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo che tali collegamenti possano essere ripristinati. In sostanza, la presunzione di pericolosità sociale legata a questi reati può essere superata solo da una prova contraria fornita attivamente dal condannato.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del Procuratore Generale, ritenendolo fondato. La motivazione della sentenza impugnata è stata giudicata assente e illogica proprio perché non si è conformata al nuovo principio di diritto. Il Tribunale di sorveglianza ha erroneamente fondato la sua decisione su elementi generici o datati, come la revoca del 41-bis avvenuta oltre un decennio prima, senza considerare che tale provvedimento non ha alcuna attualità nel dimostrare l’assenza di pericolosità oggi.

I giudici di legittimità hanno sottolineato che il Tribunale ha omesso di valutare la mancata allegazione, da parte del detenuto, di quegli elementi specifici richiesti dalla nuova normativa. La decisione si è basata su pareri (peraltro negativi) delle forze di polizia e su relazioni carcerarie, ignorando completamente il nuovo onere probatorio che grava sul detenuto. L’ordinanza, di fatto, non ha applicato la nuova legge, pur essendo questa già in vigore al momento della decisione.

Le conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha annullato l’ordinanza e ha rinviato il caso al Tribunale di sorveglianza per un nuovo esame, che dovrà essere condotto nel pieno rispetto della nuova e più rigorosa disciplina. Questa sentenza rafforza un principio fondamentale: per i condannati per reati di mafia che non scelgono la via della collaborazione, l’accesso ai benefici penitenziari è subordinato a una prova rigorosa e attiva della rescissione dei legami con l’ambiente criminale. La semplice buona condotta non basta più; serve un cambiamento dimostrabile con fatti concreti allegati dall’interessato.

Cosa deve fare oggi un detenuto per reati ostativi non collaborante per ottenere un permesso premio?
Deve fornire al giudice elementi di prova specifici e concreti, diversi dalla sola buona condotta, che dimostrino di aver interrotto ogni legame con la criminalità organizzata e che non vi sia pericolo di ripristinarli. Deve inoltre dimostrare di aver adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato o l’impossibilità di farlo.

La revoca del regime carcerario del 41-bis è sufficiente a dimostrare la cessazione dei legami con la mafia?
No. Secondo la sentenza, una revoca del 41-bis, specialmente se avvenuta molti anni prima, è un elemento privo di attualità e non è di per sé sufficiente a soddisfare i nuovi e più stringenti requisiti di prova richiesti dalla legge per la concessione dei benefici.

Su chi ricade l’onere di provare la rottura con l’associazione criminale?
L’onere della prova ricade interamente sul detenuto. È lui che deve attivarsi per allegare e dimostrare, con elementi concreti, di aver superato la presunzione di pericolosità sociale e di aver tagliato i ponti con il suo passato criminale, come richiesto dalla nuova formulazione dell’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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