Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11201 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11201 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di NELANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/9944U le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. COGNOME NOME ricorre avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Milano del 13 giugno 2023, che ha rigettato il reclamo avverso il provvedimento del 25 settembre 2019, con il quale il Magistrato di sorveglianza di Milano aveva rigettato la richiesta di permesso premio ex art. 300-ter legge 26 luglio 1975, n. 354.
La Corte di cassazione, con sentenza del 22 giugno 2020, aveva annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Milano dell’8 gennaio 2020, cui era seguita una nuova ordinanza del 16 giugno 2021, nuovamente annullata con rinvio dalla Corte di cassazione con sentenza del 28 febbraio 2022.
Il Tribunale di sorveglianza, ritenendo applicabile al caso di specie la nuova normativa ex art. 4-bis Ord. pen., introdotta dal d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199), ha evidenziato che il condannato, che aveva scelto di non collaborare, non aveva adempiuto l’onere di allegare elementi specifici diversi dalla mera condotta carceraria o della mera dichiarazione di dissociazione e l’onere di allegare l’avvenuta partecipazione a iniziative trattamentali di significativa valenza riparatoria.
2.1. Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 627 cod. proc. pen. e 30-ter Ord. pen., perché il Tribunale di sorveglianza avrebbe rigettato l’istanza in forza delle medesime considerazioni di cui al precedente provvedimento di diniego ar nullato dalla Corte di cassazione, che aveva evidenziato come quella decisione si fosse fondata solo su una valutazione morale di insufficienza di riscontri positivi della personalità del detenuto rispetto al peso di quanto commesso in passato.
Il Tribunale di sorveglianza, infatti, anche dopo aver disposto l’acquisizione a fini istruttori di una serie di documenti dai quali erano emersi elementi di segno positivo (tra i quali, l’elenco delle persone che andavano regolarmente a colloquio con il detenuto, le informazioni della Guardia RAGIONE_SOCIALE in o x dine al tenore di vita di tali persone, la relazione di sintesi – aggiornata all’esito di colloqui con l’esper ex art. 80 Ord. pen. – e il parere della RAGIONE_SOCIALE distrettuale RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE) avrebbe rigettato l’istanza in maniera illogica ed errata, dopo essersi limitato a chiedere al detenuto «uno sforzo in più» rispetto alla mera dichiarazione di presa di distanza dalla realtà associativa di riferimento, ritenendo che il detenuto avesse assunto un ruolo apicale nel sodalizio, senza considerare che lo stesso, in ordine
ai gravi fatti per i quali era stato condannato, aveva svolto un ruolo esclusivamente gregario e limitato alla macinatura e al porto dell’esplosivo.
In sostanza, il Tribunale di sorveglianza, in violazione di quanto deciso dalla Corte costituzione con la sentenza n. 253 del 2019, avrebbe cercato di reintrodurre in via surrettizia la presunzione assoluta di pericolosità sociale del detenuto non collaborante, solo perché l’associazione di tipo mafioso risultava ancora attiva, pur in assenza di elementi di collegamento tra lo stesso detenuto e tale realtà associativa.
Sostenendo tale tesi, quindi, si rischierebbe di affermare in maniera implicita che, fino a quando risulti attiva l’associazione di tipo mafioso nell’ambito della quale erano stati commessi i reati accertati, l’unica strada idonea a garantire al detenuto l’ottenimento di un permesso premio sarebbe quella della collaborazione con la giustizia.
2.2. Con motivi aggiunti, il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 627 cod. proc. pen. e 30-ter Ord. pen., e insiste per l’accoglimento del ricorso.
In particolare, il ricorrente evidenzia che il Tribunale di sorveglianza, in forza delle disposizioni transitorie ex art. 3, COMMa 2, d.l. n. 162 del 2022, avrebbe dovuto ritenere che il caso di specie non fosse soggetto alla disciplina che impone la necessità di procedere con un’istruttoria rafforzata.
Il giudice del rinvio, pertanto, si sarebbe dovuto attenere ai principi di diritt di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 e, ai sensi dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., ai principi di diritto decisi dalla Corte di cassazione nel provvedimento di annullamento con rinvio.
Nel ricorso, pertanto, si evidenzia che il Tribunale di sorveglianza avrebbe di fatto – scelto di applicare alla posizione del detenuto una normativa deteriore solo perché questi non aveva inteso collaborare, in violazione di quanto statuito dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento, con la quale era stato prescritto al giudice di merito di non tenere conto della scelta collaborativa o meno operata dal condannato.
Il ricorrente, quindi, ritiene che il giudice di merito non avrebbe potuto applicare al caso di specie la norma ex art. 4-bis Ord. pen, nella sua nuova formulazione che impone la necessità di porre in essere un’istruttoria rafforzata, attesa la natura sostanziale della disciplina afferente ai benefici penitenziari.
In ogni caso, anche volendo ritenere applicabile al caso di specie la nuova normativa, il Tribunale di sorveglianza si sarebbe limitato a evidenziare – quale elemento negativo – il dato relativo al reddito con il quale si sarebbe mantenuta la moglie del ricorrente durante gli anni di carcerazione e il fatto che quest’ultima sarebbe stata la protagonista di un procedimento in ordine al reats di false
dichiarazioni inerenti la percezione del reddito di cittadinanza, nonostante fosse emersa la totale infondatezza di tale ipotesi di reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Giova in diritto evidenziare che la disciplina di cui all’art. 4-bis Ord. pen. ha subìto un’importante modifica in forza del d.l. n. 162 del 2022, che ha introdotto una distinzione netta tra il detenuto che ha deciso di collaborare con la giustizia e il detenuto che, invece, ha deciso di non collaborare.
In tale ultimo caso, il legislatore ha previsto che il detenuto condannato in ordine al reato ex art. 416-bis cod. pen. sia gravato da un onere di “istruttoria rafforzata”, volta a dimostrare l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e l’assenza di qualunque pericolo di ripristino di tali reati: ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1-bis, Ord. pen., infatti, in assenza di collaborazione, i benefici penitenziari possono essere concessi purché il detenuto dimostri «l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale. adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condott carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali ccllegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione elisponibile. Al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta altresì la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che quelle della giustizia riparativa». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, in tema di concessione del permesso premio a soggetto condannato per reati ostativi c.d. “di prima fascia” che non abbia collaborato con la giustizia, sono applicabili ai procedimenti in corso le modifiche apportate all’art. 4-bis Ord. pen. con dl. n. 162 del 2022, in ragione della natura processuale delle norme inerenti ai benefici penitenziari, che, in assenza di una specifica disciplina transitoria, soggiacciono al principio del tempus regít actum (Sez. 1, n. 38278 del 20/04/2023, Perrone, Rv. 285203).
Il ricorrente, poi, non si confronta con l’ordinanza impugnata, nella parte in cui il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che lo stesso condannat i o non aveva
dimostrato l’adempimento delle obbligazioni civili degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, ovvero l’assoluta impossibilità di tale adempimento.
In particolare, il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che la difesa non aveva allegato alcun elemento significativo, se non un generico riferimento alle condizioni patrimoniali del condannato, oltre al riferimento ai modesti importi versati a favore di un’associazione di natura benefica a tutela di bambini in situazioni disagiate.
Secondo il giudice di merito, tale attività non poteva considerarsi condotta integrante una riparazione dei reati commessi, in quanto relativa ad attività che nulla aveva a che vedere con le vittime dei reati da lui posti in essere e, in ogni caso, del tutto insufficiente a dimostrare un’effettiva presa di distanza da parte del condannato nei confronti della realtà associativa di appartenenza, anche e soprattutto alla luce del suo coinvolgimento effettivo in più stragi mafiose, elemento sintomatico della sua partecipazione non occasionale all’associazione di tipo mafioso di riferimento.
Il detenuto, invece, grazie alle possibilità offerte dalla RAGIONE_SOCIALE, avrebbe potuto partecipare a iniziative trattamentali di significativa valenza riparatoria, tra le quali: gruppi di giustizia riparativa; attività teatrali con val riparatoria; partecipazioni a lezioni nelle scuole per parlare della propria esperienza all’interno della criminalità organizzata.
Il Tribunale di sorveglianza, poi, ha evidenziato che, dalla lettura della relazione di sintesi, era emerso che il detenuto non aveva saputo offrire elementi concreti dai quali poter desumere la non sussistenza di legami attuali con la criminalità organizzata e l’assenza del pericolo di ripristino di tali collegamenti, non bastando – a tal fine – la mera dichiarazione di dissociazione rilasciata dal detenuto agli educatori dell’istituto detentivo.
Secondo il giudice di merito, infatti, il ruolo rivestito da COGNOME all’intern del sodalizio non permetteva di ritenersi applicabile al caso di specie la fattispecie della cd. collaborazione impossibile, posto che questi, qualora avesse voluto, avrebbe potuto fornire un contributo utile all’accertamento di innumerevoli condotte delittuose.
Il condannato, quindi, soggetto non collaborante, non aveva effettuato nulla di concreto nel corso di lunghi anni di detenzione, per dimostrare un’effettiva presa di distanza dalla criminalità organizzata, anche considerando che, dai pareri espressi dalla RAGIONE_SOCIALE e dalle Direzioni distrettuali di RAGIONE_SOCIALE e Firenze, era emersa l’attualità dell’operatività della cosca mafiosa di appartenenza.
Pertanto, tenuto conto delle condizioni richieste dall’art. 4- bis Ord. pen. nella sua nuova formulazione per poter accedere ai benefici penitenziari in caso di detenuto non collaborante condannato per reati ostativi cli prima fascia, il Tribunale di sorveglianza, con motivazione coerente ed ineccepibile, ha escluso, in assenza di indici esteriori comprovanti l’asserita dissociazione, la sussistenza dei presupposti per la concessione del permesso premio.
In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21/12/2023