Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37098 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37098 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Taurianova il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna del 18/1/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 18.1.2024, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha rigettato un reclamo, presentato nell’interesse di COGNOME NOME, avverso un decreto del Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia del 24/6/2023, con cui era stata rigettata una istanza di permesso premio, a causa dell’assenza di revisione critica e di un programma attuale di trattamento intramurariO.
Il Tribunale di Sorveglianza ha ritenuto condivisibile la motivazione del decreto, richiamando testualmente la relazione di sintesi, nella quale viene
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confutata la asserzione del detenuto di essere consapevole della gravità dei reati commessi e risulta invece sussistente un atteggiamento da parte di COGNOME di minimizzazione, se non addirittura di negazione, delle proprie responsabilità.
L’ordinanza evidenzia che il detenuto è stato condannato quale esecutore materiale di plurimi omicidi e, quanto alla sua affermazione secondo cui non vi sarebbe spazio per una eventuale collaborazione giacchè i delitti sono stati compiutamente accertati, stigmatizza che ciò sia indice del mancato riconoscimento dell’autorità con un atteggiamento tipico della criminalità organizzata mafiosa.
In questo contesto, è privo di pregio – ad avviso del Tribunale – il riferimento del reclamo alla condotta corretta e all’adesione alle attività trattamentali, dovendosi rilevare in proposito che il detenuto sia stato condannato per falsità nella dichiarazione sostitutiva di certificazione ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio e che tale condotta fraudolenta tenuta durante la detenzione sia idonea a far dubitare della sua effettiva adesione al progetto rieducativo. Quanto, infine, al rilievo di non aver ricoperto posizioni apicali della cosca di appartenenza, il provvedimento replica che la cosca reca il cognome stesso del detenuto.
Avverso tale ordinanza, ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, articolando un unico motivo, con il quale deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 4-bis Ord. pen. e la illogica valutazione dell’assenza di collaborazione con la giustizia, del requisito del risarcimento delle vittime e delle risultanze della osservazione della personalità.
Il ricorso evidenzia che, se è vero che COGNOME non ha mai collaborato, ciò nondimeno non si ha evidenza di delitti, persone o fatti rispetto ai quali avrebbe potuto fornire una utile collaborazione. I giudici del merito si sono richiamati a fatti risalenti a trent’anni orsono e a informative non attuali in ordine al collegamento con la criminalità organizzata. Si aggiunge che nel 2006 è stato revocato al detenuto il regime di cui all’art. 41-bis Ord. Pen. per assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e che l’ultimo reato accertato con sentenza definitiva risale al 2007: da allora il detenuto ha avuto un comportamento intramurario leale e non ha commesso reati. Il Tribunale di Sorveglianza, poi, non ha valorizzato l’elemento costituito dal fatto che nell’elenco dei visitatori del condannato non ci siano suoi familiari e che anche i colloqui intrattenuti con un nipote o con un fratello siano cessati da qualche mese.
Si lamenta, infine, che non siano state considerate le miserevoli condizioni economiche e materiali del condannato e non siano state colte le contraddizioni nella relazione negativa del carcere, in cui si riferisce che il detenuto fatica a riconoscersi responsabile di delitti commessi, ma dopo aver riferito della sua
condotta intramuraria positiva. Del resto, anche il fatto che la richiesta di permesso premio riguardava la possibilità di pregare in un luogo di culto prova che il condannato abbia riconosciuto la gravità delle proprie condotte e cerchi di porvi riparo.
Con requisitoria scritta del 24.4.2024, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO generale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto il Tribunale ha coerentemente motivato il diniego, facendo riferimento alle risultanze dell’osservazione della personalità, mentre il rilievo difensivo sulla valutazione della relazione del carcere sollecita soltanto un differente apprezzamento delle relative emergenze.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
Va innanzitutto rilevato che la denuncia della violazione dell’art. 4-bis Ord. Pen. è del tutto inconferente, in quanto – come già evidenziato nel provvedimento impugnato del Tribunale di Sorveglianza, cui era stata rappresentata la medesima doglianza avverso il decreto del Magistrato di Sorveglianza – il rigetto della richiesta del detenuto è fondato su presupposti diversi: dunque, il ricorrente non si confronta con il contenuto dell’ordinanza.
Per il resto, la motivazione del diniego del permesso-premio appare del tutto congrua, nient’affatto contraddittoria o illogica, in relazione ai requisiti soggettiv necessari per l’ammissione al beneficio.
Il ricorso mette in risalto la condotta intramuraria positiva di COGNOME e la sua partecipazione alle attività trattamentali, che il Tribunale, però, non ha affatto omesso di richiamare, ritenendoli tuttavia elementi inidonei a superare il dato, emergente dalla c.d. relazione di sintesi, dell’assenza di revisione critica.
A questo proposito, va ricordato che per risultare “regolare”, ex art. 30-ter, commi 1 e 8, Ord. Pen., la condotta intramuraria del richiedente deve essere espressione della volontà di intraprendere un processo di rivisitazione critica delle precedenti scelte delittuose.
E sull’assenza di revisione critica, il tribunale richiama testualmente ed esaustivamente la relazione di sintesi, la quale dà atto che il condannato non ammetta le proprie responsabilità, neghi di avere commesso attività illecite con l’organizzazione criminale, ritenga in ordine agli omicidi per cui è stato condannato di avere solo una responsabilità “morale” nonostante la condanna come esecutore materiale, adotti tecniche di neutralizzazione e di negazione e accrediti una idea fatalistica di quanto accaduto per essere stato il suo destino segnato dal contesto culturale e geografico di inserimento, sicché questo gli serve per sostenere la tesi
di una responsabilità attenuata e la convinzione che la condanna sia ingiusta ed eccessiva.
Peraltro, il tribunale aggiunge che il riferimento alla corretta condotta in carcere è eliso dal rilievo che COGNOME sia stato condannato per un reato commesso proprio durante la detenzione (falsità della dichiarazione per l’ammissione al gratuito patrocinio).
Quest’ultimo elemento, peraltro, concorre anche a corroborare il giudizio negativo che il Tribunale ha espresso circa l’altro requisito soggettivo dell’assenza di pericolosità sociale (da intendersi, ex art. 203 cod. pen., come assenza della probabilità che il soggetto commetta altri fatti preveduti dalla legge come reato), in ordine al quale legittimamente possono essere ricavati dati di valutazione dal certificato penale, dalle notizie provenienti delle forze di polizia sul territorio, da informazioni sulla situazione familiare del condannato, oltre che dalla stessa relazione di sintesi.
Si tratta, dunque, di una complessiva motivazione che risponde coerentemente alla regola secondo cui, in tema di permessi premio ex art. 30-ter Ord. Pen., oltre al requisito della regolare condotta, è necessaria l’assenza di pericolosità sociale del detenuto, sicché rileva, in senso negativo, la mancata rivisitazione critica del pregresso comportamento deviante. (Sez. 1, n. 435 del 29/11/2023, dep. 2024, Rv. 285567 – 01; Sez. 1, n. 5505 dell’11.10.2016, dep. 2017, Rv. 269195 – 01).
Di contro, le censure mosse nel ricorso tendono prevalentemente a sollecitare non più che una diversa valutazione dei medesimi elementi che erano stati già tenuti presenti dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna, ovvero a proporre elementi di valutazione irrilevanti (come le condizioni economiche del condannato) ai fini del giudizio sulla concessione del permesso-premio.
Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 7.6.2024 •