Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21555 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21555 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
In nome del Popolo Italiano
Data Udienza: 10/04/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 10/04/2025
R.G.N. 6034/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a SALEMI il 09/09/1948 avverso l’ordinanza del 21/11/2024 del TRIBUNALE DI RAGIONE_SOCIALE di Sassari lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Letta la memoria depositata dal difensore;
Dato avviso al difensore.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza di Sassari, in accoglimento del reclamo proposto dal pubblico ministero, ha annullato il permesso premio ex art. 30-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 (ord. pen.) concesso a NOME COGNOME con ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Nuoro in data 14 settembre 2024, ritenendo sussistente il pericolo concreto di ripristino dei contatti con la criminalità organizzata da parte di condannato alla pena dell’ergastolo per associazione mafiosa e omicidio, reati ostativi di ‘prima fascia’ ex art. 4-bis ord. pen., non superati dalle allegazioni difensive.
Ricorre NOME COGNOME a mezzo del difensore avv. NOME COGNOME che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando la violazione di legge e il vizio della motivazione.
Il ricorrente lamenta che l’ordinanza impugnata abbia operato una errata valutazione degli elementi dai quali ha tratto la convinzione che i famigliari del condannato abbiano intrattenuto o possano intrattenere ‘rapporti opachi’ con la criminalità organizzata, mentre il primo giudice aveva
ritenuto inconsistente il detto pericolo.
2.1. Il difensore ha depositato una memoria con la quale insiste.
Il procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso, ritenendo non fondate le doglianze difensive in quanto il Tribunale di sorveglianza ha spiegato, con motivazione logica che, pur avendo il ricorrente avviato un percorso positivo, sussiste ad oggi il pericolo di ripristino dei contatti con la criminalità organizzata mediante collegamenti indiretti essendosi accertato che COGNOME gode ancora di considerazione nell’ambiente atteso che i suoi due figli sono stati favoriti proprio dalla considerazione avuta per il genitore, in forza del ruolo di capo mafia un tempo ricoperto.
La motivazione resa dal Tribunale, che ha valorizzato, l’intraneità di NOME COGNOME al contesto mafioso e gli stretti legami tra il capo mafia NOME COGNOME e l’amministratore della cooperativa Kaggera, presso la quale era assunta la figlia del ricorrente, per come risultanti dalle conversazioni intercettate e dunque non esclusi, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, dall’intervenuta assoluzione del predetto amministratore dal reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., si presenta congrua e conforme al dettato di cui all’art. 4 bis ord. pen. quanto al pericolo di ripristino di collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con la criminalità organizzata.
Ad avviso del Procuratore generale, i rilievi difensivi si presentano infondati in quanto il ricorso non si confronta adeguatamente con le motivazioni del provvedimento impugnato, ma Ł volto a provocare una nuova – non consentita in questa sede – valutazione di merito dei presupposti per la concessione del beneficio penitenziario del permesso premio, nonchØ delle circostanze di fatto già correttamente vagliate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł inammissibile.
1.1. Va premesso che la richiesta di discussione orale, avanzata dal difensore in data 13 marzo 2025, Ł stata rigettata poichØ non prevista per il rito camerale non partecipato ex art. 611 cod. proc. pen. con il quale deve essere trattato il ricorso.
Nel caso di condannati, come l’odierno ricorrente, in espiazione di una pena per reati ostativi «di prima fascia», quale quello di associazione mafiosa, nel quadro della normativa in vigore al momento della valutazione del reclamo da parte del Tribunale deve tenersi conto delle modifiche normative introdotte dalla legge n. 199 del 2022 che, sulla scia della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, ha modificato l’art. 4-bis ord. pen.
Con la citata sentenza Ł stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, ord. pen., nella parte in cui non prevedeva che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo o al fine di agevolare l’attività delle associazioni ivi previste (i cd. detenuti “di prima fascia”), potessero essere concessi permessi premio anche in assenza della collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter ord. pen, allorchØ fossero stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
Attraverso tale decisione Ł stata rimossa la presunzione assoluta di pericolosità che era alla base del divieto di accesso al permesso premio penitenziario, prevista nei confronti dei soggetti detenuti per uno dei reati predetti, in caso di non collaborazione con la giustizia.
La Corte costituzionale ha evidenziato che tale presunzione di carattere assoluto, anzichØ relativo, ledeva i principi di ragionevolezza e della finalità rieducativa della pena, poichØ la sua
assolutezza basata su una generalizzazione che può invece essere contraddetta, a determinate e rigorose condizioni, da allegazioni contrarie impediva alla magistratura di sorveglianza di valutare, in concreto e secondo criteri individualizzanti, il percorso carcerario del condannato, ai fini dell’ammissione al permesso premio, che ha una peculiare funzione pedagogico-propulsiva.
La sentenza n. 253 del 2019 ha anche chiarito come l’assenza di collaborazione con la giustizia dopo la condanna non possa tradursi in un aggravamento delle modalità di esecuzione della pena, in conseguenza del fatto che il detenuto esercita la facoltà di non prestare partecipazione attiva a una finalità di politica criminale e investigativa dello Stato. Piuttosto ha evidenziato la Corte costituzionale le particolari connotazioni criminologiche del delitto di associazione mafiosa impongono che la presunzione di pericolosità sociale del detenuto che non collabora, non piø assoluta, possa essere sì superata, ma solo in forza dell’acquisizione di altri, congrui e specifici elementi, che lo stesso condannato ha l’onere di allegare a sostegno della mancanza di attualità e del pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, oltre che sulla base delle dettagliate informazioni ricevute dalle autorità competenti.
2.1. Il legislatore, come si Ł detto, ha recepito le indicazioni del giudice delle leggi e ha modificato il comma 1-bis dell’art. 4-bis ord. pen., il quale oggi prevede: «I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, anche in assenza di collaborazione con la giustizia ai sensi dell’articolo 58-ter, ai detenuti e agli internati per delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, per i delitti di cui agli articoli 416-bis e 416-ter del codice penale, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, per i delitti di cui agli articoli 12, commi 1 e 3, e 12-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e per i delitti di cui all’articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, purchØ gli stessi dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato Ł stato commesso, nonchØ il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile. Al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta altresì la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa».
2.2. Dunque, al momento della delibazione del Tribunale di sorveglianza, sulla scorta di tali principi, l’esito favorevole della domanda per la fruizione del permesso premio era specificamente subordinato all’avvenuta acquisizione di elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
Le verifiche propedeutiche all’accertamento delle indicate condizioni dovevano, pertanto, estendersi, oltre agli ordinari presupposti del permesso premio, all’eventuale esistenza di elementi, concreti e specifici, idonei a escludere non solo l’attualità dei collegamenti tra il condannato e la
criminalità organizzata, terroristica o eversiva – requisito espressamente previsto dall’art. 4-bis, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 – ma anche il pericolo del ripristino di siffatti collegamenti, tenuto conto delle circostanze del caso.
La giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 33743 del 14/7/2021, COGNOME Rv. 281764) ha, in proposito, precisato che, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, il condannato non collaborante che intenda accedere al permesso premio può limitarsi ad allegare elementi fattuali – quali, ad esempio, l’assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive o la partecipazione fattiva all’opera rieducativa – che, anche solo in chiave logica, siano idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità prevista dalla legge, spettando, invece, al giudice il compito di completare, se necessario, l’istruttoria, anche d’ufficio e restando, comunque, indefettibile l’acquisizione di informazioni dal Procuratore nazionale antimafia, dal Procuratore distrettuale territorialmente competente e dal Comitato dell’ordine e della sicurezza pubblica. Tanto, in vista dell’esame in concreto degli elementi «individualizzanti» che caratterizzano il percorso rieducativo del detenuto, dai quali si possa desumere la proiezione attuale a recidere i collegamenti criminali mafiosi e a non riattivarli in futuro (Sez. 5, n. 19536 del 28/02/2022, COGNOME, Rv. 283096).
2.3. Fermo restando che la valutazione, in concreto, degli elementi idonei a superare la presunzione dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata deve rispondere a criteri «di particolare rigore, proporzionati alla forza del vincolo imposto dal sodalizio criminale del quale si esige l’abbandono definitivo» (così la Corte costituzionale nella citata sentenza n. 253 del 2019), gli oneri dimostrativi imposti al richiedente il permesso premio non possono basarsi, in misura decisiva, sul suo atteggiamento soggettivo.
In questa direzione si Ł posta, del resto, la piø recente pronunzia della Corte costituzionale che, dichiarando, con la sentenza n. 20 del 2022, l’infondatezza della questione di legittimità sollevata con riferimento alla diversità di oneri probatori richiesti a chi, rispettivamente, non abbia collaborato con la giustizia per libera scelta o perchØ oggettivamente impossibilitato, ha osservato che l’accoglimento o meno dell’istanza dipende dalla situazione oggettiva all’esame della magistratura di sorveglianza, alla quale l’ordinamento, non irragionevolmente, Ł ancorato per stabilirne la forza presuntiva e, conseguentemente, per definire il regime probatorio necessario a superarla.
Tanto premesso, le doglianze sviluppate dal ricorrente sono orientate ed ottenere una non consentita rivalutazione del merito del provvedimento, ipotizzando generiche contraddizioni e illogicità della motivazione, peraltro senza confrontarsi con le disposizioni normative contenute nell’art. 4-bis ord. pen., come modificato dalla legge n. 199/2022, che ha convertito in legge il D.L. 162/2022.
L’ordinanza impugnata, che ha evidenziato la contraddittorietà e carenza motivazionale del favorevole provvedimento emesso dal Magistrato di sorveglianza, fa corretta applicazione del dato normativo, quale emerge dal combinato disposto dell’art. 30-ter ord. pen. e dell’art. 4-bis ord. pen. vigente, come novellato nel 2022, ed esamina compiutamente la posizione del detenuto ai fini della concessione del permesso, soppesandone motivatamente le informazioni relative all’intero percorso detentivo.
3.1. I giudici di sorveglianza hanno evidenziato, senza ricevere critiche specifiche, ma soltanto confutative, che le vicende, anche di rilievo criminale, che hanno recentemente coinvolto i figli del condannato (uno dei quali condannato in primo grado per i reati di tentata estorsione e lesioni, tutti aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen., pretendendo il riconoscimento di sudditanza dovuto al padre, già vertice associativo, e palesando violenza e ostilità verso il collaboratore di giustizia che ne aveva determinato la condanna), sono tali da costituire ostacolo a ritenere inesistente il pericolo di mantenimento o ripresa dei contatti illeciti.
Il ricorso, che si dilunga confusamente nel riferire gli elementi ritenuti ostativi, si limita a proporne una meno grave lettura, senza contrastarli specificamente.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME