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Permesso premio: no se c’è pericolo di legami mafiosi

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto contro il diniego di un permesso premio. La decisione si fonda sulla valutazione, ritenuta corretta, del Tribunale di Sorveglianza circa la persistente pericolosità sociale del soggetto e il rischio concreto di riattivare collegamenti con la criminalità organizzata, nonostante le affermazioni del ricorrente sulla presunta inattività del suo clan di appartenenza. L’atteggiamento oppositivo nel percorso trattamentale ha ulteriormente supportato il rigetto.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio: il Pericolo di Legami con la Criminalità Organizzata Giustifica il Diniego

Il permesso premio rappresenta uno strumento fondamentale nel percorso di rieducazione del condannato, un ponte verso il reinserimento sociale. Tuttavia, la sua concessione non è automatica ma subordinata a una rigorosa valutazione della personalità e della pericolosità del detenuto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 5426/2024) ribadisce un principio cruciale: il timore fondato che il detenuto possa riattivare collegamenti con la criminalità organizzata costituisce un ostacolo insormontabile per l’ottenimento del beneficio.

I Fatti del Caso

Un detenuto si era visto negare un’istanza di permesso premio dal Magistrato di Sorveglianza. La decisione era stata confermata anche in sede di reclamo dal Tribunale di Sorveglianza di Milano. Il condannato ha quindi proposto ricorso per cassazione, basando le sue doglianze su due punti principali. In primo luogo, sosteneva che la valutazione sulla sua pericolosità fosse viziata, poiché il clan di cui faceva parte non sarebbe più operativo da diversi anni. In secondo luogo, giustificava la sua mancata partecipazione al percorso di trattamento penitenziario con le sue precarie condizioni di salute.

La Decisione della Corte sul Permesso Premio

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la decisione del Tribunale di Sorveglianza fosse adeguatamente e coerentemente motivata. Il Tribunale aveva infatti basato il proprio convincimento su elementi concreti acquisiti durante l’istruttoria, che evidenziavano non solo la pericolosità intrinseca del condannato, ma anche e soprattutto il pericolo attuale e concreto che potesse, una volta fuori dal carcere, riallacciare i rapporti con ambienti della criminalità organizzata.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha chiarito che il compito del giudice di sorveglianza è quello di effettuare una valutazione complessiva e attuale. Non è sufficiente, per il detenuto, affermare l’inattività del proprio gruppo criminale di riferimento. Ciò che conta è il rischio individuale che egli possa riattivare tali legami o crearne di nuovi. Nel caso di specie, il percorso trattamentale del condannato era stato caratterizzato da un atteggiamento oppositivo, un fattore che l’equipe di osservazione aveva correttamente interpretato in senso negativo. Questo comportamento, unito al profilo criminale, rendeva condivisibile il parere contrario alla concessione del permesso premio. La Corte ha inoltre ricordato che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. Il ricorrente, infatti, non lamentava una violazione di legge, ma sollecitava una diversa e alternativa lettura dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. L’inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di benefici penitenziari per soggetti legati alla criminalità organizzata. La valutazione del giudice non può limitarsi a dati formali, come la presunta cessazione delle attività di un clan, ma deve scendere nel concreto, analizzando la personalità del singolo, il suo percorso carcerario e il rischio effettivo di recidiva e di reinserimento nel circuito criminale. L’adesione al percorso rieducativo e un atteggiamento collaborativo sono elementi imprescindibili per dimostrare un reale cambiamento, senza i quali benefici come il permesso premio rimangono giustamente inaccessibili.

Perché è stato negato il permesso premio al ricorrente?
Il permesso è stato negato perché il Tribunale di Sorveglianza ha ravvisato un pericolo concreto e attuale che il detenuto potesse riattivare collegamenti con la criminalità organizzata. A questa valutazione si è aggiunto il suo atteggiamento oppositivo durante il percorso trattamentale, che ha supportato il parere negativo dell’equipe.

È sufficiente affermare che il proprio clan di appartenenza non è più operativo per ottenere un beneficio penitenziario?
No. Secondo questa ordinanza, tale affermazione non è sufficiente. La valutazione del giudice deve concentrarsi sulla pericolosità attuale del singolo individuo e sul rischio concreto che egli possa riallacciare legami con il mondo criminale, indipendentemente dallo stato operativo del clan di origine.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non entra nel merito della questione. Di conseguenza, la decisione impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla cassa delle ammende a titolo di sanzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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