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Permesso premio: no al ritorno nella città di origine

La Corte di Cassazione ha annullato una decisione che permetteva a un detenuto per reati di mafia di usufruire di un permesso premio nel suo luogo di provenienza. La Corte ha ritenuto che il Tribunale di Sorveglianza avesse sottovalutato il concreto rischio di riallacciare i contatti con l’ambiente criminale, omettendo la necessaria e approfondita valutazione individuale richiesta per detenuti di tale calibro.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio: la Cassazione Sottolinea il Rischio del Ritorno a Casa

Il tema del permesso premio per i detenuti condannati per reati di stampo mafioso è estremamente delicato, poiché bilancia il percorso rieducativo del singolo con la necessità di tutelare la collettività. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale: la buona condotta non basta se il luogo scelto per il permesso presenta un concreto rischio di riattivazione dei legami con la criminalità organizzata. La Corte ha annullato la decisione del Tribunale di Sorveglianza che aveva concesso a un detenuto di trascorrere il permesso nella sua città d’origine, epicentro delle attività del clan di appartenenza.

I Fatti del Caso: un Permesso Premio Conteso

Un detenuto, condannato per reati di mafia, otteneva dal Magistrato di Sorveglianza un permesso di cinque giorni da fruire in una località in Sardegna. L’uomo, tuttavia, presentava reclamo al Tribunale di Sorveglianza, chiedendo e ottenendo di poter trascorrere il permesso nella sua città natale in Sicilia, presso l’abitazione di famiglia.

Il Procuratore Generale impugnava questa decisione, evidenziando due criticità principali:
1. Mancanza di pareri aggiornati: La decisione si basava su pareri delle procure antimafia non recenti.
2. Motivazione insufficiente: Il Tribunale aveva sottovalutato elementi allarmanti, come l’offerta di lavoro al detenuto da parte di un’azienda vittima di estorsione da parte del suo stesso clan, un fatto che suggerisce una persistente capacità intimidatoria. Inoltre, la scelta di discostarsi dal programma trattamentale, che escludeva la fruizione di permessi in quella città, non era stata adeguatamente giustificata.

La Decisione della Cassazione sul Permesso Premio

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore Generale, annullando l’ordinanza e rinviando il caso al Tribunale di Sorveglianza per un nuovo esame. Secondo i giudici supremi, la questione non era la necessità di nuovi pareri, quanto la valutazione di un elemento fondamentale: il luogo di fruizione del permesso.

Le Motivazioni della Sentenza: Rischio e Valutazione Individuale

Le motivazioni della Corte si concentrano sulla ‘valenza evocativa’ del luogo. La città di origine del detenuto era anche il territorio in cui il suo clan aveva operato, commettendo atti estorsivi. La circostanza che una delle vittime si fosse dichiarata disponibile ad assumerlo era stata interpretata non come un segno di reinserimento, ma come un indizio di un persistente controllo intimidatorio sul territorio.

Il Tribunale di Sorveglianza, secondo la Cassazione, ha commesso un errore di illogicità nel momento in cui ha sostanzialmente accettato il rischio di una ripresa dei contatti con il mondo criminale, senza escluderlo in maniera netta e motivata. Per i soggetti condannati per ‘delitti ostativi’ di prima fascia, come quelli di mafia, il giudice deve compiere un esame molto più approfondito degli elementi ‘individualizzanti’. Deve verificare che il percorso rieducativo del soggetto dimostri una ‘sicura rescissione’ dei legami passati e una prognosi certa di non riattivazione in futuro. Questa valutazione, nel caso di specie, è mancata.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione

La sentenza ribadisce che la concessione di un permesso premio, specialmente per reati di tale gravità, non può essere un automatismo basato sulla sola buona condotta. Il giudice ha il dovere di effettuare una valutazione concreta e attenta di tutti gli elementi, primo tra tutti il contesto territoriale in cui il beneficio verrà fruito. Consentire a un detenuto di tornare, anche solo per pochi giorni, nel luogo dove ha radici criminali attive, rappresenta un rischio che lo Stato non può correre senza una motivazione eccezionalmente solida che dimostri l’inesistenza di ogni pericolo di ricaduta e di contatto con l’ambiente malavitoso.

È possibile per un detenuto per reati di mafia ottenere un permesso premio da trascorrere nella sua città di origine?
In linea di principio è possibile, ma la decisione è soggetta a una valutazione estremamente rigorosa. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice deve escludere con certezza il rischio che il detenuto possa riallacciare i contatti con l’ambiente criminale di provenienza, motivando in modo approfondito perché tale rischio è considerato inesistente.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere un permesso premio in un luogo considerato a rischio?
No. Secondo la sentenza, la buona condotta e i progressi nel percorso trattamentale sono condizioni necessarie ma non sufficienti, specialmente per detenuti condannati per gravi reati. Il fattore decisivo è la valutazione del rischio concreto legato al luogo di fruizione del permesso. Se il luogo è quello di origine e di operatività criminale, è necessaria una prognosi di ‘sicura rescissione’ dai pregressi collegamenti.

Perché il Tribunale di Sorveglianza ha sbagliato nel concedere il permesso nella città di provenienza del detenuto?
Il Tribunale ha commesso un vizio di illogicità nella motivazione perché ha sottovalutato il rischio concreto che il detenuto potesse riprendere i contatti con il suo mondo criminale. Non ha compiuto un esame approfondito degli elementi ‘individualizzanti’ del percorso del detenuto né ha adeguatamente giustificato la sua decisione di accettare un rischio così elevato, discostandosi peraltro dal programma trattamentale già approvato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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