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Permesso premio: negato senza revisione critica

Un detenuto, condannato per gravi reati ostativi, si è visto negare un permesso premio. La richiesta è stata respinta perché, nonostante la nuova normativa che apre ai benefici per i non collaboranti, il soggetto non ha dimostrato una reale e profonda revisione critica del proprio passato criminale. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, ritenendo l’appello inammissibile e sottolineando come l’assenza di una sincera riconsiderazione del proprio vissuto delinquenziale impedisca di superare la presunzione di pericolosità sociale.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio per Reati Ostativi: La Cassazione Sottolinea l’Importanza della Revisione Critica

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale del diritto penitenziario: la concessione del permesso premio a detenuti condannati per reati ostativi che non hanno collaborato con la giustizia. La Corte di Cassazione, con una decisione chiara, stabilisce che la mera dissociazione non è sufficiente. È indispensabile una profonda e sincera revisione critica del proprio passato criminale per poter accedere al beneficio. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

Il Caso: La Richiesta di Permesso Premio di un Detenuto non Collaborante

Un detenuto, in espiazione di pena per reati di “prima fascia”, ovvero quelli considerati più gravi e ostativi alla concessione di benefici, presentava istanza per ottenere un permesso premio. La sua richiesta veniva respinta prima dal Magistrato di Sorveglianza e successivamente, in sede di reclamo, dal Tribunale di Sorveglianza di Perugia.

Il ricorrente si rivolgeva quindi alla Corte di Cassazione, lamentando l’illogicità della motivazione del Tribunale, che a suo dire non aveva adeguatamente considerato il parere favorevole dell’equipe trattamentale. Il nucleo della questione risiedeva nella valutazione della sua pericolosità sociale e della possibilità di accedere ai benefici penitenziari alla luce della nuova normativa introdotta dal D.L. n. 162/2022.

La Nuova Normativa e i Requisiti per il Permesso Premio

La recente riforma ha modificato l’art. 4-bis della legge sull’ordinamento penitenziario, trasformando la presunzione di pericolosità per i non collaboranti da assoluta a relativa. Oggi, anche chi non collabora può accedere ai benefici, ma a condizioni molto stringenti. Il giudice deve accertare:

1. L’adempimento delle obbligazioni civili o l’impossibilità di adempiervi.
2. L’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e il pericolo di un loro ripristino.
3. La sussistenza di elementi specifici e ulteriori rispetto alla buona condotta carceraria, che dimostrino il reale distacco dal passato criminale.

Questo accertamento richiede un’istruttoria complessa, che include la valutazione della revisione critica della condotta criminosa, le ragioni della mancata collaborazione e ogni altra informazione disponibile.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Permesso Premio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La Suprema Corte ha ritenuto che i giudici di merito abbiano correttamente applicato la nuova normativa, svolgendo una valutazione completa e priva di vizi logici.

Le motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda su un punto centrale: il ricorrente, pur avendo formalmente preso le distanze, aveva di fatto minimizzato il proprio ruolo nei gravi reati commessi. Questo atteggiamento, secondo la Corte, è sintomatico di una mancata e piena revisione critica del proprio passato delinquenziale. Il Tribunale di Sorveglianza aveva correttamente valorizzato questo dato, emerso dalla relazione dell’equipe, per dedurne l’assenza di uno dei requisiti fondamentali per superare la presunzione di pericolosità. L’apparato motivazionale del provvedimento impugnato è stato giudicato solido, equilibrato e ben ancorato alle emergenze istruttorie, frutto di una corretta applicazione della discrezionalità riconosciuta alla magistratura di sorveglianza.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte ribadisce un principio fondamentale: per i condannati per reati ostativi non collaboranti, l’accesso ai benefici non è automatico. La “non collaborazione” deve essere bilanciata da prove concrete e specifiche di un reale cambiamento interiore. La semplice partecipazione al percorso rieducativo o una mera dichiarazione di dissociazione non sono sufficienti se non sono accompagnate da una sincera e approfondita revisione critica del proprio passato. La decisione sottolinea la rigorosità del percorso richiesto al detenuto per dimostrare di aver reciso ogni legame, anche solo ideologico, con il mondo criminale. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Un detenuto per reati ostativi ‘di prima fascia’ che non collabora con la giustizia può ottenere un permesso premio?
Sì, a seguito della recente riforma normativa, può ottenere un permesso premio, ma solo a condizioni molto stringenti. Deve dimostrare di aver adempiuto alle obbligazioni civili, fornire elementi specifici che escludano collegamenti attuali con la criminalità organizzata e provare di aver compiuto una sincera revisione critica del proprio passato criminale.

Quali sono i requisiti che il giudice deve verificare per concedere un permesso premio a un detenuto non collaborante?
Il giudice deve verificare tre requisiti principali: 1) la regolare condotta; 2) l’assenza di pericolosità sociale attuale; 3) la funzionalità del permesso alla coltivazione di interessi affettivi, culturali o di lavoro, in coerenza con il percorso di risocializzazione. Per i reati ostativi, a ciò si aggiunge la necessità di accertare l’assenza di legami con la criminalità e una reale revisione critica del passato.

Perché in questo caso specifico il permesso premio è stato negato?
È stato negato perché il Tribunale di Sorveglianza, con una valutazione confermata dalla Cassazione, ha ritenuto che il detenuto non avesse compiuto una piena e autentica revisione critica del proprio passato delinquenziale. In particolare, è emerso che il soggetto tendeva a minimizzare il proprio ruolo nei gravi reati commessi, un atteggiamento che è stato considerato incompatibile con il requisito del completo distacco dal mondo criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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