Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 32879 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1   Num. 32879  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ABBADIA SAN SALVATORE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/04/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di sorveglianza Roma ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME, detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo , avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza di Viterbo aveva denegato il beneficio del permesso premio.
A ragione della decisione osserva che, alla luce degli insoddisfacenti risultati del  trattamento  personologico  e  rieducativo  finora  conseguiti,  non  possono ritenersi sussistenti i presupposti per l’affidabilità esterna del condannato.
Ricorre COGNOME, per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico motivo con cui denuncia illogicità della motivazione e violazione di legge
Lamenta che l ‘ ordinanza impugnata ha attribuito carattere ostativo all’accoglimento  del  beneficio  alla  mancata  proclamazione  di  colpevolezza  del detenuto.
Si è, pertanto, posta in stridente contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, analiticamente richiamata, secondo cui, ai fini della concessione del permesso premio come per ogni altra misura alternativa alla detenzione, non può mai pretendersi la confessione del condannato, il quale ha diritto di non ammettere le proprie responsabilità, pur dovendosi attivare per prendere parte in modo attivo all’opera di rieducazione. Al condannato non si richiede, quindi, una confessione postuma, ma un rifiuto netto della pratica criminale.
Nel caso concreto il giudizio prognostico favorevole sul comportamento futuro del ricorrente e sull’assenza di pericolosità sociale ben poteva essere ancorato sul dato pacifico della sua buona condotta carceraria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unica censura sviluppata non è fondata e, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Il beneficio previsto dall’art. 30-ter I. 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.) ha un carattere plurifunzionale. Oltre ad avere una specifica funzione pedagogico propulsiva, quale parte integrante del trattamento di cui, come correttamente ricordato dal ricorrente, costituisce uno strumento cruciale (cfr. sentenza della Corte Costituzionale n. 504 del 1995), ha una funzione premiale, per la stretta subordinazione alla osservanza di una regolare condotta da parte del detenuto e dall’assenza nel beneficiano di pericolosità sociale, anche se orientata alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro.
Il  giudice,  pertanto,  ai  fini  della  concessione  dei  permessi-premio,  deve accertare,  acquisendo  informazioni  adeguate,  la  contestuale  sussistenza  di  tre requisiti, da considerarsi presupposti logico-giuridici della concedibilità del beneficio: in primo luogo, la regolare condotta del detenuto; in secondo luogo, l’assenza  di  pericolosità  sociale  dello  stesso;  in  terzo  luogo,  la  funzionalità  del permesso premio alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro.
Il Tribunale di Sorveglianza non si è discostato dagli esposti principi.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’ordinanza impugnata non ha respinto la richiesta considerando ostativa la mancata confessione del grave fatto di sangue per il quale era intervenuta la condanna in esecuzione.
N ell’ambito del necessario giudizio prognostico sull’attuale pericolosità sociale del detenuto e quindi sulla sua capacità di uniformarsi alle regole della convivenza nel caso in cui sia ammesso a fruire di spazi di libertà al di fuori della struttura carceraria, il Tribunale, pur dando ampiamente atto della regolare condotta carceraria del condannato, ha considerato tale elemento di valutazione recessivo rispetto alle risultanze del trattamento rieducativo, come documentate nelle relazioni di sintesi in atti.
Nel pervenire a tale conclusione ha seguito un percorso argomentativo logico e rigoroso.
Ha, in particolare, evidenziato che COGNOME, lungi dall’ avviare nel corso della detenzione carceraria un sincero processo di revisione critica del passato deviante, ha, invece, mantenuto un atteggiamento superficiale e sfuggente, impedendo nei colloqui  psicologici  di  accedere  ai  contenuti  più  profondi  del  suo  inconscio, limitandosi a fornire un racconto di vita povera e insignificante.
Emblematiche di tale,  preoccupante, atteggiamento di  chiusura  sono state ritenute  le  valutazioni  degli  operatori  che  si  sono  occupati  dell ‘ osservazione scientifica della personalità del condannato.
Nelle loro relazioni è rimarcato che COGNOME, oltre a non avere mai parlato dei fatti di reato oggetto della condanna in esecuzione, non solo aveva rimosso in tutti in colloqui ogni riferimento alla scomparsa dell’ex compagna e della figlia di lei, vittime  dell’azione  omicidiaria  di  cui  è  stato  ritenuto  colpevole ,  ma  non  aveva nemmeno mostrato un accenno di pietà o rimorso o dispiacere né manifestato preoccupazione per sua figlia costretta a crescere da sola senza la madre.
 Le  divisate  argomentazioni,  oltre  ad  essere  plausibili  in  fatto,  sono ineccepibili sul piano giuridico.
il Tribunale è tenuto ad accertare l’idoneità del beneficio richiesto a contribuire al reinserimento sociale del condannato ed a contenerne la sua pericolosità sociale sulla scorta dei dati conoscitivi forniti dalla osservazione ed in esito ad un’analisi globale della personalità individuale e di verifica della sua evoluzione psicologica, (Sez. 1, n. 33287 del 11/06/2013, COGNOME, Rv. 257001 – 01; Sez. 1, n. 5061 del 29/11/1999, COGNOME, Rv. 214844; Sez. 1, n. 6680 del 22/11/2000, Matera, Rv. 218314).
Nell’ambito di tale giudizio pronostico le criticità nel processo di rivisitazione critica, pur non essendo da sole ostative alla concessione del permesso premio, ai sensi dell’art. 30-ter Ord. pen., possono essere, tuttavia, valutate quale indicatori di  uno  dei  presupposti  normativamente  previsti  per  l’ammissione  al  beneficio ovvero l’assenza della pericolosità sociale.
In quest’ottica, anche di recente, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che nella valutazione delle istanze di permesso premio ex art. 30-ter Ord. pen. può attribuirsi rilevanza negativa alla mancata rivisitazione critica del pregresso comportamento deviante da parte del condannato (Sez. 1 , n. 435 del 29/11/2023, dep. 2024, Barcella, Rv. 285567 – 01), a condizione che non si pretenda il completamento del processo di rivisitazione del vissuto criminale, non richiesto nemmeno per benefici certamente più estesi del permesso premio come l’affidamento in prova, potendo, invece, ritenersi sufficiente “che il processo abbia avuto inizio in modo significativo” (Sez. 1,n. 26557 del 10/05/2023, COGNOME, Rv. 284894 – 01).
Anche ai fini della concessione permesso premio, come per ogni altra misura alternativa alla detenzione, non può mai pretendersi la confessione del condannato, il quale ha il diritto di non ammettere le proprie responsabilità, pur dovendosi attivare  per  prendere  parte  in  modo  attivo  all’opera  di  rieducazione (Sez.  1,  n.  8258  dell’8/2/2008,  COGNOME,  n.  240586;  sez.  1,  n.  18388  del 20/2/2008, COGNOME, n. 240306.).
Non la confessione può assumere rilievo, ma ‘l’accettazione della sentenza e della sanzione inflitta nell’ambito di un giudizio che ha ad oggetto l’evoluzione della personalità successivamente al fatto nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale” (Sez. 1, n. 10586 del 08/02/2019, COGNOME, Rv. 274993 – 01; Sez. 1, n. 33287 del 11/06/2013, COGNOME, Rv. 257001 – 01).
L’atteggiamento di negazione dell’addebito può, tuttavia, essere valorizzato, come avvenuto nel caso in esame, quale elemento negativo di valutazione se si è tradotto nel rifiuto dell’istante di prendere coscienza della gravità dell’accusa e di partecipare  all’opera  rieducativa  fondata  su  tale  presupposto ,  l’uno  e  l’altro sintomatici di perdurante pericolosità sociale e di inaffidabilità del detenuto.
Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso è infondato e deve essere rigettato,  con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna  il ricorrente  al  pagamento  delle  spese processuali.
Così deciso, in Roma 16 settembre 2025.
Il Consigliere estensore                                                Il Presidente
NOME COGNOME                                                      NOME COGNOME