Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1235 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1235 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CASTELVETRANO il 03/05/1947
avverso l’ordinanza del 04/10/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di CAGLIARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
È impugnata l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Cagliari che ha rigettato il reclamo proposto da COGNOME NOME avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza aveva rigettato la richiesta di concessione di permesso premio dal medesimo avanzata, ai sensi dell’art. 30-ter ord. pen.
Il COGNOME era stato condannato per i reati di omicidio, associazione mafiosa e armi, ed è detenuto dal 1996. Il Tribunale di sorveglianza, premesso che era stata acclarata la possibile ed esigibile collaborazione, che il COGNOME aveva tenuto una regolare condotta e che aveva raggiunto un’età ormai avanzata, ha tuttavia confermato il rigetto dell’istanza, ravvisando il perdurante e concreto rischio di ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata. A tale conclusione è pervenuto sula considerazione del fatto che il COGNOME era radicato nell’ambiente criminale di Castelvetrano, e intraneo alla famiglia mafiosa NOME COGNOME che è tuttora una delle più pericolose e potenti cosche mafiose, avendo avuto rapporti con i capi della cosca. Inoltre, ha sottolineato la totale assenza di revisione critica dei fatti commessi, l’atteggiamento di reticenza e negazione delle condotte criminose, l’indifferenza verso le ragioni delle vittime, evidenziate anche dalla relazione dell’esperto criminologo del carcere ove si trova detenuto.
Il COGNOME a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione articolando un’unica censura con la quale lamenta l’errata applicazione dei principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 253 del 2019, dal momento che il rigetto dell’istanza sarebbe stato sostanzialmente giustificato dalla «mancata abiure morale» del fenomeno mafioso.
Inoltre, l’ordinanza impugnata sarebbe motivata in modo contraddittorio, in quanto non ha concesso il permesso premio pur avendo riconosciuto che il COGNOME aveva compreso la perniciosità delle condotte malavitose. Mancherebbe, altresì, ogni valutazione in ordine alla incidenza sull’affermato ripristino dei collegamenti della circostanza che il ricorrente aveva richiesto di fruire del permesso all’interno di una struttura comunitaria, lontana dal luogo di attività dell’associazione e dei fatti criminosi.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e deve essere pertanto rigettato.
A seguito della sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis ord. pen., nella parte in in difetto di collaborazione con la giustizia, escludeva il riconoscimento dei benefici ai detenuti condannati per delitti ostativi di cui all’art. 4-bis, comma 1, ord. pen.
anche allorché fossero stati acquisiti elementi che escludessero sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata che il pericolo di un loro ripristino possono essere concessi permessi premio anche in assenza della collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter ord. pen, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti (Sez. 5, n. 19536 de 28/02/2022, Barranca, Rv. 28309601).
La citata sentenza della Consulta ha invero rimosso la presunzione assoluta di pericolosità che era alla base del divieto di accesso al permesso premio penitenziario, prevista nei confronti dei soggetti detenuti per uno dei reati predetti, in caso di non collaborazione con la giustizia.
La Corte costituzionale ha evidenziato che tale presunzione di carattere assoluto, anziché relativo, era lesiva dei principi di ragionevolezza e della finalità rieducativa della pena, poiché la sua assolutezza – basata su una generalizzazione che può invece essere contraddetta, a determinate e rigorose condizioni, da allegazioni contrarie – impedisce alla magistratura di sorveglianza di valutare in concreto e secondo criteri individualizzanti il percorso carcerario del condannato, ai fini dell’ammissione al permesso premio, che ha una peculiare funzione pedagogico-propulsiva.
La sentenza n. 253 del 2019 ha anche chiarito come l’assenza di collaborazione con la giustizia dopo la condanna non possa tradursi in un aggravamento delle modalità di esecuzione della pena, in conseguenza del fatto che il detenuto esercita la facoltà di non prestare partecipazione attiva a una finalità di politica criminale e investigativa dello Stato. Piuttosto, le partico connotazioni criminologiche del delitto di associazione mafiosa, le quali impongono che la presunzione di pericolosità sociale del detenuto che non collabora, non più assoluta, possa essere superata, ma solo in forza dell’acquisizione di altri, congrui e specifici elementi, che lo stesso condannato ha l’onere di allegare a sostegno della mancanza di attualità e del pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, oltre che sulla base delle dettagliate informazioni ricevute dalle autorità competenti. In sostanza, ove il condannato abbia scelto di mantenere il silenzio sui fatti delittuosi avvenuti prima della condanna, non è sufficiente l’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, ma occorre altresì verificare l’inesistenza del pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali. Grava sullo stesso condannato che richiede il beneficio l’onere di specifica allegazione di entrambe le suddette circostanze – esclusione sia dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che del pericolo di un loro rispristino (Sez. 1, n. 5553 del 28/01/2020, COGNOME, Rv. 279783). Il giudice di sorveglianza
è, perciò, tenuto a compiere un esame concreto degli elementi che caratterizzano il percorso rieducativo del detenuto, dai quali si possa desumere la attuale rescissione dei collegamenti con la criminalità mafiosa e operare una prognosi di non riattivazione futura degli stessi (Sez. 1, n. 33743 del 14/07/2021, COGNOME, Rv. 281764).
Nel caso di specie il Tribunale si è attenuto ai criteri di valutazione evidenziati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità. Infatti, pur avendo dato atto del lungo periodo di carcerazione subito dal COGNOME (il quale è detenuto dal 1996), l’età avanzata del medesimo, e la buona condotta intramuraria dallo stesso serbata, ha tuttavia evidenziato come permanesse attuale e concreto il rischio di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata.
A tale conclusione l’ordinanza è pervenuta sulla base della considerazione di una pluralità di elementi, tutti puntualmente relativi alla vicenda del COGNOME, ed in particolare: a) il suo forte radicamento nell’ambiente criminale del paese di origine, come risulta dalla sentenza in esecuzione, ed la sua intraneità con la cosca Messina Denaro una delle più potenti e pericolose, avente anche collegamenti internazionali; b) l’irrilevanza che il ricorrente avesse il ruolo di mero affiliat non un ruolo di spicco nella cosca di riferimento, ciò non escludendo il pericolo di ripristino dei collegamenti con la medesima, alla luce dei rapporti personali dallo stesso intrattenuti con i capi della suddetta cosca mafiosa; c) il contenuto della relazione dell’esperta criminologa del carcere, ove si evidenzia la assoluta mancanza di revisione critica del proprio operato da parte del COGNOME, l’atteggiamento reticente e comunque teso a sminuire il rilievo criminale del fenomeno mafioso, nonché la sostanziale indifferenza verso le vittime; d) l’irrilevanza della cessazione, dal 2012, del regime di cui al 41-bis ord. pen., attesa l’eterogeneità delle valutazioni alla base di tale decisione e di quella concernente la concessione dei permessi premio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Tribunale ha altresì avuto cura di precisare come la mancanza di confessione da parte del COGNOME è irrilevante ai fini della valutazione in ordine al pericolo d ripristino di collegamenti con la criminalità mafiosa.
A fronte di tali specifiche e concrete argomentazioni, il ricorrente si è limitato a sostenere che il Tribunale avrebbe richiesto una «presa di distanza etica e morale» dal fenomeno mafioso – peraltro contraddetta dal chiaro contenuto dell’ordinanza impugnata – senza tuttavia allegare, come era suo onere, alcuna specifica circostanza a sostegno della mancanza di attualità e del pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata.
Anche la censura con cui si lamenta l’asserita mancata considerazione del luogo indicato per la fruizione del permesso premio (una struttura comunitaria
lontana dal luogo di consumazione del reato in espiazione, nonché dal luogo di attività della cosca mafiosa di appartenenza) è infondata. Invero – come correttamente affermato dal Procuratore generale – lo sviluppo argomentativo dell’ordinanza impugnata è tutto volto ad evidenziare la pericolosità della cosca mafiosa di appartenenza del Nastasi, e il carattere anche internazionale della sua attività, oltre che particolare vicinanza del ricorrente ad elementi di spicco della cosca, elementi, questi, che hanno portato il Tribunale di sorveglianza a ravvisare, in modo del tutto logico e coerente, la sussistenza del pericolo di ristabilire collegamenti con l’organizzazione criminale di appartenenza a prescindere dal luogo indicato per la fruizione del permesso premio.
In conclusione, dunque, l’ordinanza impugnata va esente da censure.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2023.