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Permesso premio: negato per pericolosità sociale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto, condannato per l’omicidio preterintenzionale della moglie, contro il diniego di un permesso premio. La decisione si fonda sulla persistente pericolosità sociale del soggetto, desunta dalla mancata avvio di un percorso di revisione critica del proprio crimine, nonostante la regolare condotta carceraria. Per la Corte, la riflessione sul reato commesso è un requisito imprescindibile per valutare il superamento della pericolosità e concedere il beneficio.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio e Pericolosità Sociale: La Revisione Critica è Indispensabile

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nell’ambito dell’esecuzione della pena: la concessione del permesso premio. Questo beneficio, pur essendo uno strumento fondamentale per il graduale reinserimento sociale del detenuto, non è un automatismo legato alla sola buona condotta. La Suprema Corte ribadisce che per la sua concessione è necessaria una valutazione approfondita sulla cessazione della pericolosità sociale, la quale passa inderogabilmente attraverso una sincera e matura revisione critica del reato commesso.

I Fatti del Caso: Oltre la Buona Condotta Carceraria

Il caso riguarda un uomo condannato a dodici anni di reclusione per un delitto di eccezionale gravità: l’omicidio preterintenzionale della propria moglie. Durante la detenzione, l’uomo ha mantenuto una condotta carceraria regolare e ha partecipato alle attività trattamentali proposte. Sulla base di questi elementi, ha richiesto la concessione di un permesso premio. Sia il Magistrato di Sorveglianza prima, sia il Tribunale di Sorveglianza in sede di reclamo dopo, hanno respinto la sua istanza. La ragione del diniego non risiedeva nella condotta intramuraria, ma nella valutazione della sua personalità: secondo i giudici, il detenuto non aveva ancora intrapreso un reale percorso di revisione critica sul gravissimo gesto compiuto, manifestando così una residua pericolosità sociale. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte: Il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno ritenuto la motivazione del Tribunale di Sorveglianza logica, coerente e priva di vizi. Il ricorso del detenuto è stato giudicato meramente “confutativo”, ovvero teso a proporre una diversa interpretazione degli stessi fatti già valutati dai giudici di merito (il lungo periodo di detenzione e il buon comportamento), senza però scalfire la solidità del ragionamento alla base del diniego. La Corte ha quindi confermato la necessità di proseguire l’osservazione del detenuto in carcere, integrandola con percorsi specifici per la gestione della violenza e il controllo degli impulsi.

Le Motivazioni: Perché il permesso premio è stato negato?

Il fulcro della decisione risiede nella distinzione tra “buona condotta” e “superamento della pericolosità sociale”. La Corte chiarisce che una condotta regolare all’interno dell’istituto penitenziario è un prerequisito, ma non è di per sé sufficiente a dimostrare che il condannato abbia superato le cause che lo hanno portato a delinquere. Nel caso specifico, la gravità del reato (un atto di violenza estrema in un contesto familiare) imponeva una valutazione ancora più rigorosa.

Il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente evidenziato come mancasse un “approdo critico”, ovvero una riflessione matura e consapevole sugli eventi passati. Senza questa presa di distanza dalle proprie scelte delinquenziali, il rischio di recidiva rimane concreto. Il permesso premio non può essere concesso se permane il dubbio che il soggetto, una volta fuori, possa commettere nuovi reati. La necessità di percorsi trattamentali mirati al recupero della capacità di controllo dei freni inibitori e alla gestione della violenza è stata quindi considerata prioritaria rispetto alla concessione del beneficio.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale del diritto penitenziario: i benefici non sono diritti acquisiti automaticamente con il tempo o con il semplice rispetto delle regole carcerarie. Essi sono il risultato di un percorso rieducativo effettivo e verificabile. Per i detenuti, ciò significa che la partecipazione formale ai programmi di trattamento non basta; è richiesta una trasformazione interiore, una reale presa di coscienza della gravità dei propri atti. Per gli operatori della giustizia e per i magistrati di sorveglianza, la decisione sottolinea l’importanza di una valutazione complessa e multifattoriale della personalità del condannato, che vada oltre gli aspetti puramente comportamentali per indagare la profondità del cambiamento interiore, presupposto indispensabile per un sicuro reinserimento nella società.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere un permesso premio?
No, secondo l’ordinanza la regolare condotta carceraria è un presupposto necessario ma non sufficiente. È indispensabile anche una valutazione positiva sulla cessazione della pericolosità sociale del detenuto.

Cosa si intende per “revisione critica del proprio agito” nella valutazione per un permesso premio?
Si intende un percorso interiore di riflessione matura e consapevole sul reato commesso e sugli eventi passati. È una presa di distanza dalle scelte delinquenziali che dimostra un reale cambiamento e favorisce il graduale reinserimento sociale.

Perché il ricorso del detenuto è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la motivazione del Tribunale di Sorveglianza è stata giudicata logica e coerente. Il ricorrente si è limitato a contestare la valutazione dei fatti senza individuare vizi di legittimità nella decisione, proponendo una diversa interpretazione degli elementi già considerati dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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