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Permesso premio negato per legami con la mafia

Un uomo condannato per assistenza ad associazione mafiosa si è visto negare un permesso premio. La decisione, basata sulla scelta di un noto esponente criminale come padrino per il proprio figlio, è stata confermata dalla Corte di Cassazione. Secondo la Corte, tale gesto dimostra la persistenza dei legami con l’ambiente mafioso, un fattore che prevale sulla buona condotta tenuta in carcere e giustifica il diniego del beneficio.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio e Legami Mafiosi: Un Padrino di Battesimo può Costare il Beneficio

La concessione di un permesso premio a un detenuto per reati di mafia rappresenta uno dei nodi più complessi del nostro ordinamento penitenziario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la buona condotta in carcere non basta se persistono concreti segnali di contiguità con l’ambiente criminale di provenienza. Il caso esaminato riguarda un condannato per assistenza ad associazione mafiosa, la cui richiesta di permesso è stata respinta a causa della scelta, ritenuta simbolicamente pesante, del padrino di battesimo per il proprio figlio.

I Fatti del Caso

Un uomo, detenuto per espiare una pena per il reato di assistenza agli associati di stampo mafioso, presentava istanza per ottenere un permesso premio al fine di coltivare i legami familiari. Il Tribunale di Sorveglianza rigettava la richiesta. La motivazione del diniego si fondava su un elemento specifico: nonostante al condannato fosse stata riconosciuta la cosiddetta “collaborazione impossibile”, i giudici ritenevano non recisi i suoi legami con la criminalità organizzata.

La prova regina di questa persistente vicinanza era la scelta, avvenuta nel 2021, di nominare come padrino di battesimo del figlio uno dei suoi co-imputati nel processo, un soggetto descritto come un “ndranghetista di sicuro lignaggio”. Questo gesto è stato interpretato non come una scelta privata, ma come un forte segnale di fedeltà e appartenenza a quel mondo da cui il percorso rieducativo dovrebbe, invece, allontanare.

La Decisione della Corte di Cassazione

Il detenuto ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la decisione del Tribunale di Sorveglianza fosse viziata e non avesse considerato adeguatamente la sua condotta intramuraria positiva e l’adesione al trattamento rieducativo. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando la validità e la logicità della decisione impugnata.

Il permesso premio e i reati ostativi

La sentenza si inserisce nel delicato dibattito sui benefici per i condannati per “reati ostativi” di prima fascia, come quelli legati alla mafia. Per questi reati, la legge pone condizioni molto rigide per l’accesso a misure come il permesso premio. La Corte ha chiarito che, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, è necessario dimostrare in modo inequivocabile l’avvenuto distacco dall’ambiente criminale. La valutazione del giudice non può basarsi su presunzioni, ma deve fondarsi su elementi di fatto concreti.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha ritenuto che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza fosse immune da vizi logici o giuridici. I giudici di legittimità hanno sottolineato come l’analisi dei magistrati di sorveglianza sia stata completa e attenta a tutti gli elementi disponibili.

La persistenza dei legami criminali come fattore decisivo

Il fulcro della motivazione risiede nell’interpretazione del gesto compiuto dal detenuto. La scelta del padrino non è stata considerata un fatto neutro, ma un elemento “di univoca significazione”. In un contesto mafioso, la figura del padrino assume una valenza simbolica fortissima, che va oltre la sfera religiosa e familiare, rappresentando un legame di fiducia e alleanza. Aver scelto un esponente di spicco della cosca di appartenenza è stato visto come la prova oggettiva del mancato distacco.

La valutazione della pericolosità sociale

Di fronte a un segnale così forte di contiguità con l’ambiente criminale, la Corte ha stabilito che la condotta positiva tenuta all’interno del carcere diventa “recessiva”. In altre parole, il buon comportamento, pur essendo un elemento positivo, non è sufficiente a superare la presunzione di pericolosità sociale che deriva dalla prova di legami ancora attivi. La decisione, quindi, non si basa su un “malcelato pregiudizio”, ma su una lettura oggettiva e rigorosa dei fatti, in linea con il principio di gradualità del trattamento penitenziario, che impone un’attenta osservazione prima di concedere benefici che comportino un contatto con l’esterno.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa sentenza riafferma un principio cruciale nella valutazione delle istanze di permesso premio per reati ostativi: la rescissione dei legami con la criminalità organizzata deve essere dimostrata con fatti concreti e inequivocabili. Le scelte di vita del detenuto, anche quelle apparentemente personali come la nomina di un padrino, possono essere scrutinate e assumere un valore probatorio decisivo. Per i condannati per tali reati, il percorso verso il reinserimento sociale passa non solo attraverso una condotta formalmente corretta in istituto, ma soprattutto attraverso atti che manifestino una rottura netta e irreversibile con il proprio passato criminale. La decisione sottolinea che il giudizio del Tribunale di Sorveglianza deve essere una ponderazione ad ampio raggio di tutti gli elementi disponibili, dove un singolo gesto, se particolarmente significativo, può orientare l’intero esito della valutazione.

Può essere concesso un permesso premio a un condannato per reati di mafia anche senza una collaborazione con la giustizia?
Sì, può essere concesso, ma solo a condizione che siano stati acquisiti elementi specifici che dimostrino in modo inequivocabile la rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata. La semplice buona condotta in carcere non è sufficiente.

Quale valore assume la scelta del padrino di battesimo nella valutazione del giudice?
Nel caso specifico, la scelta di un co-imputato, descritto come esponente di spicco di una cosca mafiosa, è stata considerata un fatto oggettivo e storicamente rilevante, idoneo a dimostrare il mancato distacco del ricorrente dall’ambiente malavitoso e la persistenza di una forte commistione con esso.

La buona condotta tenuta in carcere è sufficiente per ottenere il permesso premio?
No. La sentenza chiarisce che la positività della condotta intramuraria diventa recessiva e non è sufficiente a superare la valutazione di pericolosità sociale quando esistono prove concrete della persistenza di collegamenti con l’ambiente criminale, come nel caso esaminato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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