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Permesso premio negato: le nuove regole del 4-bis

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto condannato all’ergastolo per reati associativi, che chiedeva un permesso premio. La Corte ha confermato la decisione del Tribunale di Sorveglianza, applicando le nuove e più stringenti regole dell’art. 4-bis Ord. pen. per i non collaboranti. È stato ritenuto che la sola buona condotta non è sufficiente a superare la presunzione di pericolosità sociale, essendo necessari elementi specifici che dimostrino la rottura dei legami con la criminalità organizzata e l’assenza del pericolo di un loro ripristino.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio e Reati Ostativi: La Cassazione Sulle Nuove Regole del 4-bis

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 43408 del 2024, offre un’importante chiave di lettura sulle nuove e più severe condizioni per la concessione del permesso premio a detenuti non collaboranti condannati per reati ostativi. La pronuncia chiarisce che la sola buona condotta intramuraria non basta più a superare la presunzione di pericolosità sociale, ma è necessario un onere probatorio molto più stringente a carico del richiedente.

I Fatti del Caso: La Richiesta del Detenuto

Il caso esaminato riguarda un detenuto condannato alla pena dell’ergastolo per gravi reati, tra cui la partecipazione a un’associazione di stampo mafioso con un ruolo di vertice. L’uomo aveva richiesto un permesso premio, ma il Tribunale di Sorveglianza aveva respinto la sua istanza. La motivazione del diniego si fondava sulla mancanza di un valido percorso di revisione critica del proprio passato criminale e sull’assenza di elementi concreti che potessero escludere l’attualità dei suoi collegamenti con l’organizzazione criminale di appartenenza o il pericolo di un loro ripristino.

Il Ricorso in Cassazione e le Argomentazioni Difensive

Il detenuto, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la revisione critica del passato non fosse un requisito legale per la concessione del beneficio. La difesa ha argomentato che il Tribunale avesse erroneamente dedotto la persistenza dei legami criminali dalla semplice non ammissione dei delitti contestati. Inoltre, ha evidenziato la buona condotta tenuta in carcere e la partecipazione a numerosi corsi di formazione come prove di un percorso rieducativo positivo.

Permesso premio e 4-bis: La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo e confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Il punto centrale della decisione risiede nell’applicazione della nuova normativa introdotta dal D.L. n. 162/2022, che ha modificato l’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario. Questa riforma ha inasprito i requisiti per l’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia.

Le Motivazioni: L’Onere della Prova a Carico del Detenuto

La Corte ha spiegato che, secondo la nuova legge, per ottenere un permesso premio, il detenuto non collaborante deve dimostrare non solo la regolare condotta carceraria, ma anche di aver adempiuto alle obbligazioni civili (come il risarcimento alle vittime) o di trovarsi nell’assoluta impossibilità di farlo.

Cruciale, però, è l’onere di allegare ‘elementi specifici, diversi e ulteriori’ rispetto alla buona condotta e alla partecipazione al percorso rieducativo. Questi elementi devono essere tali da ‘escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata … nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti’.

Nel caso specifico, i giudici hanno rilevato che il ricorrente non aveva fornito alcuno di questi elementi. Anzi, la sua tendenza a negare ogni responsabilità, l’assenza di iniziative risarcitorie verso le vittime e la mancata spiegazione della sua non collaborazione sono stati considerati indicatori di una permanente pericolosità sociale. La Corte ha quindi ritenuto logica e corretta la conclusione del Tribunale, secondo cui sussisteva un concreto pericolo di ripristino dei legami con il contesto criminale, ancora attivo sul territorio.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un principio fondamentale introdotto dalla recente riforma: per i condannati per reati di mafia non collaboranti, la strada per accedere ai benefici penitenziari è diventata significativamente più ardua. La presunzione di pericolosità sociale non può essere vinta con la sola attestazione di un comportamento corretto all’interno del carcere. È indispensabile che il detenuto si faccia parte attiva, fornendo prove concrete e specifiche di un’autentica e irreversibile dissociazione dal suo passato criminale. La decisione sottolinea come il silenzio e la mancata revisione critica, pur non essendo di per sé ostativi, possono essere valutati negativamente dal giudice come indici di una mancata evoluzione della personalità del condannato.

Per un detenuto non collaborante condannato per reati ostativi (art. 4-bis), la buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere un permesso premio?
No. Secondo la sentenza, che applica la nuova normativa (D.L. n. 162/2022), la buona condotta carceraria è un presupposto necessario ma non sufficiente. Il detenuto deve fornire elementi specifici, ulteriori e diversi, che dimostrino l’effettiva rottura dei legami con la criminalità organizzata.

La mancata ammissione dei propri reati impedisce la concessione del permesso premio?
La sentenza non stabilisce che l’ammissione dei reati sia un requisito obbligatorio. Tuttavia, la Corte chiarisce che la mancanza di un percorso di revisione critica del proprio passato, insieme ad altri elementi (come l’assenza di iniziative risarcitorie), può essere legittimamente valutata dal giudice come un indice della persistente pericolosità sociale del detenuto e del rischio di ripristino dei collegamenti criminali.

Qual è l’onere della prova per il detenuto che chiede un permesso premio ai sensi del nuovo art. 4-bis Ord. pen.?
L’onere della prova è a carico del detenuto. Egli deve allegare elementi specifici che consentano di escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di un loro futuro ripristino. Questo onere va oltre la semplice dimostrazione della regolare condotta carceraria e della partecipazione al percorso rieducativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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